«Tagliamo subito Iva e accisa sui carburanti per permettere a famiglie e piccole imprese di beneficiare del crollo del prezzo del petrolio». È la proposta di Oscar Giannino, giornalista economico, nel momento in cui le quotazioni di un barile di Brent sono pari a 63,11 dollari. Trainata dalle recenti dichiarazioni di Fed e Bce, ieri Piazza Affari ha registrato un forte rialzo mentre il rendimento del Btp decennale hanno toccato il minimo storico dell’1,94%.
Giannino, come si spiega tutta questa euforia dei mercati?
In ciò che sta avvenendo ci sono tre componenti. Fino a questo momento non è ancora scattato alcun fenomeno di fusione su altri paesi euro deboli del rischio collegato alla Grecia. I mercati restano fiduciosi sul fatto che la dinamica degli eventi di Atene non avrà ricadute preoccupanti. Lo ritengo un fatto molto positivo, ma credo che ciò dipenda dagli altri due fattori.
Quali sono?
Per molti analisti la prospettiva di un aumento dei tassi della Fed nel 2015 non è così probabile. I rischi geopolitici connessi con l’andamento del deprezzamento dello yen, che tutti si aspettano che si riprenderà dopo le elezioni giapponesi, e con l’avversione con cui la Cina guarderebbe a un rialzo dei tassi della Fed se fosse molto accentuato, insieme alla verticalizzazione della crisi e della tenuta finanziaria e monetaria della Russia, debba indurre la Fed non solo a rinviare nel tempo l’aumento dei tassi, ma forse persino a immaginare un quarto Quantitative easing.
E le dichiarazioni delle Bce sul Quantitative easing?
Questo è appunto il terzo fattore. C’è una grande fiducia nel fatto che alla Bce Mario Draghi riuscirà di fatto ad accelerare veramente su un Quantitative easing “all’europea” che comprenda anche l’acquisto di titoli di debito sovrano, sia pure non concentrati sui paesi più esposti, ma magari in percentuale del Pil dell’Eurozona. Questi tre fattori spiegano perché non siamo in presenza di fenomeni di panico che si diffonde sui mercati.
Quali possono essere le conseguenze per l’Italia del calo del prezzo del petrolio?
L’Italia dipende per il 75% da fonti energetiche importate dall’estero, e quindi in teoria dovrebbe beneficarne più di altri. I nostri consumatori scontano però un “freno idraulico” molto potente, in quanto Iva e accise sono pari a circa il 60% del costo finale dei carburanti alla pompa. Gli oneri impropri hanno inoltre un’incidenza fortissima sul costo della bolletta elettrica. Poiché l’effetto del bonus da 80 euro sui consumi è molto basso, oggi in presenza di un calo così consistente del prezzo del petrolio occorre un intervento che preveda un abbattimento di una componente significativa di accise e Iva. In questo modo aumentiamo e moltiplichiamo l’effetto sulla ripresa italiana, perché il calo della componente dei prezzi industriali del carburante si trasla in modo molto più significativo sul prezzo finale.
Il calo del prezzo del petrolio avrà anche effetti negativi?
Gli effetti negativi riguardano le esportazioni di prodotti europei in Russia. L’Ue dovrebbe rendersi conto rapidamente che gli effetti delle sanzioni per la crisi Ucraina sono molto amplificate dal calo del prezzo del petrolio, e proprio per questo aprire un canale di cooperazione con Mosca. Un conto è tenere alta la guardia per via di ciò che Putin ha fatto in Ucraina, altro conto è non vedere che la cooperazione con la Russia da parte dell’Ue è molto più vantaggiosa degli effetti che un default russo avrebbe sull’economia stessa dell’Eurozona.
Che cosa si aspetta per l’Italia nel 2015 anche alla luce di un eventuale Quantitative easing della Bce?
Il Quantitative easing può solo a tenere basso lo spread Btp/Bund, ma non sfiorerebbe il problema di fondo del nostro Paese. Mi riferisco alla bassa crescita, che anche nel 2015 nella migliore delle ipotesi continuerà a essere modestissima. La disoccupazione resterà elevata anche l’anno prossimo e non si recupererà nulla sui 12 punti in meno di occupati rispetto alla Germania.
Perché il Quantitative easing non basta?
Perché non ci risolve il problema, ma si limita a fornirci una cornice di stabilità. Dal 2012 Draghi ci sta “regalando tempo”, il problema è come lo si utilizza. Bisogna aumentare dell’80% la produttività di ciascun lavoratore.
Come sarà la politica economica del governo l’anno prossimo?
La politica economica del governo per il 2015 è scritta nella manovra. La Legge di stabilità conferma per il 2015 il bonus da 80 euro, tagliando inoltre la componente lavoro dell’Irap. Restano però enormi punti interrogativi, per esempio sulla tassazione retroattiva sul risparmio previdenziale. Il gettito delle tasse locali sugli immobili passerà inoltre da 9 miliardi nel 2011 a 25/26 miliardi nel 2014.
Andiamo nella giusta direzione?
Occorre fare di più. Se la Bce sventa il rischio di sostenibilità del debito nei paesi euro deboli, il governo deve prendersi un secondo la testa tra le mani, riflettere e capire che cosa fare in più di incisivo nel 2015 rispetto al quadro delineato dalla Legge di stabilità. Finora il governo Renzi è andato avanti con una prospettiva che faceva pensare che le scelte di fondo compiute andassero verso le elezioni anticipate nel 2015 e quindi un rinvio della soluzione dei problemi a dopo il voto.
Perché?
Mi riferisco in particolare alla scelta di rinviare al 2016-2018 la soluzione della maggior parte dei problemi irrisolti nel bilancio pubblico, cioè degli aumenti per 68 miliardi aggiuntivi di entrate con 30 miliardi di clausola di stabilità. Il nuovo scenario in cui ci troviamo rende impossibile andare a votare in primavera e fa sì che siano ancora più necessarie delle misure per cercare di alzare il tasso di crescita nel 2015 senza aspettare oltre.
(Pietro Vernizzi)