Non lo credevo possibile, invece è successo: il Parlamento greco non ha trovato l’accordo sul nuovo Presidente nemmeno alla terza chiama, quindi si va a elezioni anticipate il 25 gennaio prossimo. E adesso? Come vi dicevo ieri, questo significa che è tutto preordinato. A descrivere la situazione per quella che realmente è ci ha pensato domenica, ovvero il giorno prima del voto di Atene, un eminente membro del partito di Angela Merkel, Hans Michelbach, il quale ha sentito il bisogno di rendere noto con un comunicato via mai il suo pensiero al riguardo. Eccolo: «La prospettiva di un default greco non rappresenta più una preoccupazione per gli altri paesi membri dell’eurozona perché le banche hanno tagliato le loro detenzioni di bond ellenici. Ogni speranza che i partner internazionali paghino il prezzo del fatto che i politici greci si rifiutino di portare a termine le riforme è mal riposta. Sarebbe infatti la popolazione greca la principale vittima del default, per evitare il quale la Grecia dovrebbe privatizzare ulteriormente il suo settore pubblico».
Uno con le idee chiare, non c’è che dire. D’altronde, i numeri davano una prima conferma: nel momento della terza fumata nera al Parlamento di Atene, lo spread tra decennale greco e Bund prendeva 70 punti base raggiungendo quota 861, con la carta ellenica a 10 anni che pagava oltre il 9,5% di rendimento, livello che non si vedeva dal settembre 2013, la curva dei rendimenti radicalizzava la sua inversione e vedeva il titolo a 3 anni prezzare un rendimento record post-salvataggio del 12%, mentre lo yield del Bund piombava al livello record dello 0,563%. In Borsa, scesa fino a -11% subito dopo il voto parlamentare, crollavano i titoli delle banche greche, con Eurobank Egasias a -23%, Piraeus Bank a -21%, la National Bank of Greece a -18% e Alpha Bank a -17%.
Certo, anche Milano e Madrid, le madrine delle Borse periferiche, cadevano e male, ma qualcosa nell’aria faceva capire che quanto accaduto non stupiva veramente i grandi players, anzi li compiaceva come se un grande ed elaborato piano vedesse un nuovo tassello andare al suo posto in vista del trionfo finale. Già, perché se l’eminente politico tedesco con le sue frasi fa capire come a Berlino non si tema affatto né il voto, né tantomeno la possibile vittoria di Syriza, nottetempo un altro soggetto si era espresso su quanto sarebbe successo di lì a poche ore ad Atene: Goldman Sachs, ovvero l’ex datore di lavoro di Mario Draghi.
E cosa diceva la potente banca d’affari Usa? Quanto di fatto io vi dico da qualche mese a questa parte e che lo scorso 4 ottobre Standard&Poor’s predisse chiaramente: la Grecia farà default entro massimo 15 mesi. Ma c’è di più, la banca d’investimento si spinge oltre e sembra prefigurare quanto minacciato poco tempo da Jean-Claude Juncker quando invitava i greci a «non sbagliare il voto»: ovvero, «in caso di un serio scontro tra governo greco e creditori internazionali, l’interruzione dell’offerta di liquidità della Bce verso le banche greche potrebbe portare a una sorta di “blocco bancario” in stile cipriota ma molto più prolungato. E a quel punto, le paure dei mercato per i rischi di una potenziale uscita dall’euro saliranno».
Insomma, i greci andranno sì a votare il 25 gennaio prossimo, ma l’esito è già scontato: un’operazione perfetta, si garantisce l’illusione della democrazia permettendo ai cittadini di esprimersi nelle urne, ma da oggi ad allora la macchina della propaganda da armageddon e i mercati con le loro pressioni faranno in modo che ogni singolo avente diritto si rechi al seggio con la paura come unico Dio e punto di riferimento. D’altronde, quando dopo la prima chiama di due settimane fa emerse subito uno scandalo di corruzione, ovvero un politico pronto a comprare il voto di colleghi, bisognava capirlo che l’idea era quella di arrivare al voto: tanto ora ci sono ancora giorni sufficienti a trasformare Syriza nel partito del diavolo. O, utilizzando un’altra strategia, per riportare lo stesso a più miti consigli su riforme e soprattutto riduzione del debito.
Era tutto previsto e organizzato, altrimenti non si spiegherebbe come mai dopo mesi di calma e annunci-barzelletta di Samaras che i mercati hanno sempre fatto finta di bersi, negli ultimi tre mesi immediatamente Borsa e obbligazioni abbiano magicamente ricominciato a essere prezzate in base al mark-to-market, anzi mark-to-data, ovvero quei fondamentali economici che non hanno cominciato a peggiorare a inizio ottobre ma che fanno in realtà schifo da sempre. Da settembre a oggi, il rendimento del decennale è salito dal 5,5% al 9,5% e la Borsa di Atene ha perso il 32%: cosa è successo? Il governo parlava di fine della crisi, inventava dati fantasiosi, addirittura annunciava il ritorno sui mercati obbligazionari lungo tutte le scadenze e per tutta risposta parte la sell-off? Ma è chiaro, i mercati vendevano per la paura del voto e di Syriza, come se le stesse forze economiche non fossero in grado di piegare ai loro voleri i governi di qualsiasi colore (tanto più che quelli più smaccatamente socialisti sono i preferiti dagli speculatori, basti pensare quanto ha fatto guadagnare proprio a Goldman Sachs la buonanima di Hugo Chavez).
Perché? È presto detto, il 2015 è un anno chiave per la Grecia, l’ultimo nel quale potrebbe aver bisogno disperato di aiuto finanziario per colmare i gap sul debito e garantirsi stabilità finanziaria. L’anno che comincia giovedì, infatti, è l’ultimo nel quale le necessità di finanziamento governativo sono molto ampie, per l’esattezza 24 miliardi al netto dell’avanzo primario. Parte di queste necessità potrebbero essere coperte con risorse interne, ma serviranno comunque fondi addizionali per garantire al governo di non sopperire alle liabilities e questi fondi sono quantificabili in un range che va dai 6 ai 15 miliardi, questo in base a quanto accadrà a livello economico nel Paese.
Dal 2016 in poi, invece, le necessità di finanziamento generale si abbasseranno rispetto a quelle dell’anno prossimo, fino a scendere sotto quota 10 miliardi entro il 2022, salvo scossoni che devastino lo spread e un avanzo primario più basso del previsto. Quindi, per capirci, o la Grecia diventa il Frankenstein del nuovo ordine economico entro il 2015 o potrebbe non diventarlo più, facendo crollare il precedente e l’esempio che serve alla Bce per eterodirigere anche le scelte economiche degli altri paesi membri: guarda caso, la Grecia ha già a disposizione 7,1 miliardi di dollari del Fmi ma vincolati a condizioni molto stringenti e la scorsa settimana l’Eurogruppo ha deciso lo stanziamento di una linea di credito precauzionale per Atene di 10 miliardi di euro anch’essa però vincolata alle riforme da farsi e che verrà ufficializzata solo dopo la review delle condizioni imposte a fine febbraio.
E quali sono queste condizioni? Ulteriori riforme del mercato del lavoro e della legislazione sindacale; ulteriore riforma del sistema pensionistico; ulteriori tagli al budget. Non male, non pensate? Insomma, la Germania dice chiaro che se anche la Grecia fallisce non saranno gli altri a pagare e Goldman fa notare che per salvarsi Atene ha già a disposizione i fondi ma deve ottemperare alle richieste di Fmi e Ue: a vostro modo di vedere, non si tratta di un ricatto geniale destinato a tagliare le gambe a Syriza?
Se questo non bastasse, poi, potrebbe accadere anche dell’altro. Ovvero, la fine dell’utilizzo dei fondi di liquidità di emergenza Eladella Bce nei confronti della banche greche, un qualcosa che non a caso Goldman ha sottolineato, ricordando come l’epilogo di una tale evenienza non potrebbe che essere la deriva cipriota. Questa volta, infatti, se il governo greco dovesse essere a guida socialista estrema e dovesse davvero ingaggiare uno scontro con i creditori internazionali e i soggetti ufficiali – vedi Bce e Fmi – non basterebbero certo le emissioni di debito a breve garantito dal governo per operazioni repo presso la Bce – trucchetto usato nel 2011 e 2012 – a mantenere liquide le banche elleniche e garantire al governo i fondi necessari al finanziamento.
Tanto più che il sistema bancario greco deve restare ampiamente liquido non solo per offrire potenziali risorse per aiutare una riduzione dei rischi di finanziamento per il debito sovrano, ma anche perché già oggi è molto dipendente da securities emesse o garantite dal governo per mantenere costante il livello attuale di liquidità: insomma, ancora una volta il bersaglio è in posizione. E il piano appare davvero preparato con attenzione, perché nella parte finale del suo report Goldman Sachs sposa in pieno la tesi di Hans Michelbach citata all’inizio dell’articolo: gli assets europei subiranno danni un potenziale defualt greco? Per la banca d’affari è «altamente improbabile. Certo, le pressioni in arrivo dalla Grecia potrebbe colpire nazioni periferiche come Irlanda e Portogallo che hanno già vissuto programmi di salvataggio, ma ci sono accordi che rendono possibile evitare la trasmissione a livello locale dello shock. Dal nostro punto di vista, la Bce sta per far partire il suo programma di ampi acquisti di securities legate al debito sovrano come parte della sua politica monetaria per la prima metà del 2015 e crediamo che l’instabilità greca non minerà questa decisione verso il Qe».
Anzi, aggiungo io, potrebbe farla aumentare e accelerare, cosa che a chi ha in portafoglio miliardi di titoli come Goldman non può che fare piacere. E per finire, «c’è ovviamente un rischio di contagio più ampio, in caso fosse messa in dubbio la permanenza stessa della Grecia nell’euro, ma noi pensiamo che ci sia una bassissima probabilità che questo evento accada, visto che la maggioranza della popolazione greca è ancora in favore della partecipazione all’eurozona e tutti i principali partiti politici greci attualmente ritengono il “Grexit” un qualcosa di indesiderabile».
Guarda caso, poi, con i tre fallimenti del Parlamento greco è stato possibile convocare subito le nuove elezioni, le quali si terranno solo tre giorni dopo la riunione del board della Bce, quella durante la quale molti si attendono l’annuncio di Mario Draghi rispetto al lancio del Qe: che combinazione, che coincidenza. Guarda caso, dopo aver toccato il -11%, la Borsa di Atene alle 3 del pomeriggio aveva già dimezzato le perdite, scese in area 5,70%, arrivando a chiudere le contrattazioni a -3,91%: il mercato aveva ragionato sui pro e i contro nel frattempo? Tranquilli, è già tutto deciso. E io ve lo avevo detto con largo anticipo, esattamente il 14 aprile di quest’anno in questo articolo: sarò anche un catastrofista senza redenzione, ma ogni tanto ci prendo.
Peccato, però, perché questo era un buon momento per la Grecia per fare default, visto che come insegna la storia le nazioni pesantemente indebitate fanno più facilmente fallimento quando hanno attraversato la linea dell’ottenimento dell’avanzo primario e possono andare incontro alle spese di gestione statale day-by-day solo con le entrate fiscali. Magari succederà. O lo faranno succedere, tanto il rischio di haircut sul debito greco emesso lo scorso aprile non c’è: è tutto denominato sotto legislazione britannica, quindi paga pari passu ed è principalmente in mano a soggetti ufficiali, come Bce e Fmi, che statutariamente vengono esentati dai costi di ristrutturazione. Almeno fino a oggi.
Da qui al 25 gennaio capiremo molto di cosa ci attende, non tanto per la Grecia, quanto per la Bce e il suo futuro, cui è legato a doppio filo quello dell’Ue. Ieri, infatti, il rendimento del debito tedesco a due anni è andato in territorio negativo a -10 punti base, seguendo una traiettoria in tutto e per tutto giapponese: la Bundesbank lascerà che Mario Draghi segua l’esempio di Kuroda e monetizzi il debito europeo tramite gli acquisti, soprattutto di Bund che verrebbero comprati dall’Eurotower per una percentuale del 90% di tutte le nuove emissioni, se il Qe fosse da 500 miliardi? Più che il Grexit, penso tornerà a far paura Weimar. E la prospettiva di un cambio di vertice all’Eurotower si rafforzerà.