Darsi da fare affinché la Bce il 5 giugno attui un intervento che abbia effetto soprattutto nei Paesi i cui canali di politica monetaria sono più ostruiti. Mettere a capitale il credito conquistato da Renzi per una conferma del fatto che l’interpretazione delle norme del Fiscal compact non comporti l’aggiunta di una manovra coatta. Costruire una cornice grazie a cui gli investimenti privati godano di sgravi fiscali senza che il conseguente calo del gettito sia considerato ai fini del deficit. Sono le richieste che secondo il giornalista economico Oscar Giannino il premier Matteo Renzi dovrebbe fare alla Commissione europea per ottimizzare al massimo la sua vittoria alle elezioni europee. Lunedì la Commissione Ue pubblicherà le raccomandazioni e il parere relativo al rinvio del pareggio di bilancio annunciato dall’Italia. Nel frattempo le aste di Btp a cinque e dieci anni hanno sfondato il rendimento minimo dall’introduzione dell’euro.
Giannino, dopo la sua vittoria Renzi dovrebbe negoziare delle modifiche al Fiscal compact?
Il Fiscal compact non ha bisogno di alcuna correzione. Il conto sul rientro ventennale del debito si fa non solo corretto per il ciclo, ma sulle medie di crescita dei due anni precedenti o delle attese di crescita dei due anni successivi. Ciò significa che se torniamo a una componente di crescita nominale vicina al 2% non c’è bisogno di far nulla.
Che cosa chiederebbe alla Commissione Ue se fosse al posto di Renzi?
Viste le caratteristiche della crisi italiana, determinata da una bassa domanda interna e da bassi investimenti, quello che ci serve è in primo luogo esercitare tutta la pressione possibile perché l’intervento della Bce del 5 giugno abbia un effetto soprattutto sui Paesi euro deboli come l’Italia. Si tratta però di una pressione che va esercitata secondo modalità riservate, per non mancare di rispetto all’autonomia della Bce.
Che cosa ne pensa della possibilità di un acquisto degli Abs da parte della Bce?
Sono favorevole a un intervento sugli Abs, rilevando cioè attraverso veicoli speciali quote di credito incagliato tra banche e imprese. L’Italia ha bisogno però innanzitutto della conferma di un quadro interpretativo e di regole del Fiscal compact che in attesa degli effetti di maggior crescita nominale non ci spinga a fare manovre straordinarie aggiuntive.
Quale deve essere la priorità tra le richieste del nostro governo all’Europa?
Abbiamo bisogno di un rassicurante quadro europeo sulle riforme, che ci consenta di concentrarci su un recupero di margini per l’investimento pubblico e privato. Quello pubblico è cosa di ben poco conto, siamo intorno a 25 miliardi al netto dei trasferimenti a Poste e Ferrovie. A contare sono soprattutto gli investimenti privati, che sono crollati del 27% dal 2008 a oggi.
Che cosa è possibile fare per contrastare questa tendenza?
Abbiamo bisogno di un intervento che detassi gli investimenti nuovi molto più del previsto. Per farlo occorre una certificazione europea che garantisca che se ciò provocherà minori introiti di gettito rispetto alle attese, l’Ue non venga a reclamare. Siamo infatti in un quadro in cui le entrate fiscali dell’Italia devono crescere di 87 miliardi tra il 2013 e il 2017. Occorre cioè un elemento interpretativo tale per cui la componente degli investimenti da detassare deve essere utile per fare più crescita reale, oltre a quella nominale attesa dalla Bce.
Renzi deve chiedere di poter sforare il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil?
Sono contrario a chiedere sforamenti del deficit pubblico, perché la sfida di Renzi deve essere un’altra e cioè tagliare la spesa. Dei 32 miliardi di tagli di Cottarelli, per quest’anno Renzi ne ha disposti a malapena 3 miliardi, di cui 700 milioni a carico delle Regioni i quali sono tutti da vedere. Il problema è che la legge di stabilità dell’anno prossimo dovrà introdurre tagli per almeno 15 miliardi. Questi ultimi saranno assorbiti da nuove spese, come quella relativa all’estensione del bonus da 80 euro a incapienti e pensionati. Occorre invece un margine aggiuntivo di tagli a copertura di sgravi su impresa e lavoro.
(Pietro Vernizzi)