Talmente forte è la ripresa in Europa che la locomotiva sta fermandosi. L’indice Zew sul sentiment economico in Germania è piombato a 8,6 punti ad agosto dai 27,1 di luglio e contro gli attesi 18,2: si tratta del minimo dal dicembre 2012, dell’ottavo ribasso consecutivo e per la prima volta negli ultimi 20 mesi il dato è tornato sotto la media di lungo periodo a 24 punti. Come se non bastasse, l’indice della situazione attuale è arretrato da 61,8 a 44,3 punti, deludendo anche in questo caso le aspettative per un calo più limitato a 55,5.
Il declino, ha spiegato l’istituto Zew, è legato alle tensioni geopolitiche, soprattutto per il rischio sempre più concreto di un crollo totale dell’interscambio commerciale con la Russia – già calato del 15% nei primi cinque mesi dell’anno – dopo le sanzioni europee e l’embargo dell’import imposto da Mosca. Inoltre, i dati suggeriscono un calo degli investimenti delle imprese, tanto che l’istituto prevede che la crescita economica in Germania sarà inferiore alle attese quest’anno e questo mina la crescita dell’intera area euro. E non stiamo parlando di una cosa da poco, il dato è veramente brutto. Si tratta di 10 punti sotto al consenso che a sua volta era già di 10 punti inferiore al mese precedente, insomma parliamo di circa 20 punti spariti per colpa dei timori sull’impatto dei rischi geopolitici sull’economia tedesca.
Di più, i dati macroeconomici della Germania pubblicati finora non tengono conto delle ultime sanzioni contro la Russia e del bando di reazione imposto da Putin anche se lo Zew sì e dà quindi un chiaro segnale della forte preoccupazione sul mercato. Complimenti alle teste d’uovo che risiedono a Bruxelles. Insomma, il quadro che emerge è tutt’altro che incoraggiante. Ora gli investitori terranno l’attenzione rivolta ai dati di domani mattina, quando saranno rese note le stime sul Pil del secondo trimestre di Germania e Francia.
A detta di molti, dati deludenti anche su questo fronte dovrebbero accelerare il processo di attuazione del quantitative easing da parte della Bce ma potrebbe non bastare o non arrivare in tempo per salvare quei paesi periferici vissuti finora sull’illusione dello spread basso e che dall’oggi al domani potrebbero piombare in una sorta di versione 2.0 del 2011. Anche perché la questione tedesca non si limita allo Zew. Sempre ieri anche Moody’s ha messo in guardia il Paese. L’agenzia internazionale di fatto ha confermato la tripla A e l’outlook stabile, una valutazione che riflette un’economia avanzata, diversificata e molto competitiva e il suo ruolo guida per le politiche macroeconomiche orientate alla stabilità, ma non sono mancati gli accenni critici.
Gli esperti, infatti, hanno avvisato in una nota di aggiornamento – che non costituisce un’azione sulla raccomandazione – che una forza lavoro in declino e una popolazione in età avanzata potrebbero impattare negativamente il potenziale tasso di crescita e la sostenibilità del sistema di sicurezza sociale. Tutti segnali che suggeriscono una crescita tedesca più debole delle attese per quest’anno: il governo tedesco ha stimato un +1,8% del Pil per il 2014, guidato fondamentalmente dalla domanda interna, ma di recente il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha paventato il rischio che la crescita si riduca maggiormente rispetto a quanto previsto nelle proiezioni di giugno, ovvero un’espansione del Pil, per l’anno in corso, dell’1,3%. Stando a un sondaggio Reuters, i dati sul Pil della Germania in agenda domani dovrebbero registrare uno stallo dell’economia nel secondo trimestre ma un crescente numero di economisti pensa che la maggiore economia europea possa essersi contratta per la prima volta dalla fine del 2012.
Nel primo trimestre di quest’anno la Germania ha registrato una crescita dello 0,8% del Pil rispetto ai tre mesi precedenti e del 2,3% su anno grazie alla volata dei consumi interni, +1,9% su trimestre, con un balzo del 3,6% nel settore delle costruzioni. Ma per una sorta di nemesi storica, la crisi ucraina rischia di accomunare la Germania al Paese che proprio Berlino ha fatto in modo di mandare sul patibolo della troika, ovvero la Grecia, la quale rischia di dover ritornare con il cappello in mano a Bruxelles per la terza volta proprio per il crollo dell’interscambio commerciale con la Russia.
Stando a recenti studi fatti dal think tank ellenico Hellenic Foundation for European and Foreign Policy, le sanzioni contro Mosca rischiano di impattare in maniera pesante su industrie come quella del turismo e dell’agricoltura, mettendo a rischio la già lentissima e debole ripresa dell’economia e ponendo seri dubbi sull’approvvigionamento energetico per il prossimo inverno. La Russia è infatti il principale partner commerciale della Grecia con un interscambio per 9,3 miliardi di euro nel 2013, un dato che supera il volume di quella tra Atene e il resto dei partner Ue. Il turismo sta già patendo, visto che il numero di visitatori ucraini è sceso del 50% e quelli russi sono passati da 1,3 milioni a 1,1 milioni: dati non da poco per un Paese in cui il turismo pesa per il 16% del Pil e ha garantito introiti nel 2013, soltanto per quanto riguarda i cittadini russi, in aumento del 42% a quota 1,34 miliardi di euro. C’è poi l’agricoltura, la quale dopo il bando sull’import di prodotti europei da parte di Mosca vedrà enormi quantità di frutta e verdura fresca rimanere disponibili sul mercato, portando quindi a un crollo dei prezzi per eccesso di offerta e colpendo anche l’export verso gli altri Paesi Ue sia nei volumi che nel valore.
L’Ue ha già detto che interverrà con fondi comunitari per compensare le perdite legate al bando russo sull’import, ma voi ci credete? E quanto ci metteranno quei fondi a essere sbloccati? Insomma, se la Grecia avrà bisogno di un terzo salvataggio daranno la colpa a Mosca. Ma, in realtà, sarà tutta e solo colpa dei burocrati di Bruxelles asserviti alle scelte scriteriate di politica estera di Barack Obama. Non c’è che dire, nell’arte dell’autolesionismo l’Ue non ha davvero rivali. Avanti così.