“Le clausole di salvaguardia sono come un’assicurazione contro gli eventi imprevedibili. Il problema è quando vi si ricorre sistematicamente per disattenderle ogni volta e rimpiazzarle con nuove clausole”. Lo evidenzia Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza ed editorialista del Corriere della Sera. Come documentato dai calcoli realizzati dallo stesso professor Daveri, la nuova legge di stabilità disattiva completamente le clausole di salvaguardia per il 2016. Restano però 15 miliardi e 133 milioni di euro da disinnescare per il 2017 e 19 miliardi e 571 milioni per il 2018.
Professore, come evitare queste nuove clausole?
Evitare le clausole di salvaguardia di per sé non è una buona idea. Ha senso farlo se uno non è sicuro di raggiungere gli obiettivi di bilancio pubblico. Quindi se per caso il governo si impegna con Bruxelles a non andare oltre il 3%, e per farlo mette in calendario aumenti di tasse o riduzioni di spesa, è meglio che poi sia in grado di garantire questo risultato. Le clausole di salvaguardia sono dei meccanismi automatici che garantiscono il raggiungimento di questo risultato. Le clausole sono dunque come un’assicurazione contro un evento che uno non può controllare.
Quindi intende dire che questo strumento è esente da problemi?
Il problema incomincia quando si ricorre in modo costante a clausole di salvaguardia, che poi sono però sistematicamente disattivate e trasformate in nuove clausole per l’anno successivo, quando a loro volta saranno nuovamente disattivate. E’ ciò che si sta verificando da un paio di anni, togliendo trasparenza e certezza al bilancio pubblico italiano.
Che cosa succede se le clausole non sono disinnescate?
In Italia le clausole di salvaguardia sono disegnate in modo tale da prefigurare aumenti dell’Iva dal 10% al 12% e dal 22% al 24%, cui si aggiungono aumenti di accise su gas e benzina. Negli Usa al contrario se non si raggiungono determinati risultati di bilancio sono le spese dello Stato che scendono automaticamente.
Per liberarci dalle clausole di salvaguardia servirebbe una spending review seria?
Si può scegliere di ridurre la spesa o di aumentare le tasse. Se come è auspicabile il governo non vuole aumentare ulteriormente le tasse, l’unica alternativa è quella di una spending review che porti a riduzioni di spesa più corpose di quelle prefigurate fino a questo momento.
Non avere fatto quest’anno una spending review seria avrà effetti negativi l’anno prossimo?
In realtà esistono dei chiari di luna abbastanza felici dal punto di vista internazionale. I tassi d’interesse sul debito pubblico sono destinati a rimanere bassi, viste le politiche monetarie in essere soprattutto in Europa. Il prezzo del petrolio rimarrà a sua volta basso, anche perché la Cina non ricomincerà sicuramente a crescere ai tassi del passato. Gli scenari internazionali sono dunque positivi, e il governo conta anche su questo fatto. Per quest’anno il rischio di pagare dei costi consistenti non c’è o è molto basso.
Il disinnesco delle clausole di salvaguardia non produce effetti espansivi. Quali sono le conseguenze di questo fatto?
Il governo ha annunciato che nel 2016 le tasse scenderanno di una frazione molto più consistente rispetto a quanto abbiamo visto finora. Includendo la clausola migranti, le minori entrate dovrebbero essere pari a 26,4 miliardi di euro. Sottraendo però i 16,8 miliardi delle clausole di salvaguardia, ne avanzano 9,6. Una volta che poi togliamo gli aumenti di entrate prefigurati dal governo, nell’ordine di 5,7 miliardi di euro, a quel punto rimangono 3,9 miliardi di entrate in meno che sono lo 0,25% del Pil.
(Pietro Vernizzi)