Gli italiani nel 2014 hanno pagato tasse più elevate rispetto agli altre Paesi Ue, con una pressione fiscale al 43,6% contro una media del 40%. Una situazione che si è creata negli ultimi dieci anni, mentre fino al 2005 la pressione fiscale in Italia era al di sotto della media sia dei 28 Paesi Ue sia dell’Eurozona. Stando ai dati diffusi da Unimpresa, la prima impennata si era registrata nel 2007 con il governo Prodi II, quando siamo passati dal 40,2% al 41,5%. Quindi una seconda batosta è arrivata nel 2012, sotto il governo Monti, quando la pressione è passata dal 41,6% al 43,6%. Ma anche nel 2014 è continuato il trend con la tassazione che è cresciuta dal 43,5% al 43,6%. Ne abbiamo parlato con Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza ed editorialista del Corriere della Sera.



Perché a differenza degli altri Paesi la pressione fiscale dell’Italia è andata crescendo?

La spesa pubblica ha continuato ad aumentare da quando siamo entrati nell’euro, salendo del 5-6%. Una spesa pubblica più elevata per essere finanziata richiede un aumento del deficit o delle imposte. Negli altri Paesi europei è salito il deficit pubblico molto di più che da noi. Il rapporto deficit/Pil dell’Italia infatti è sotto al 3%, mentre Paesi come Francia e Spagna hanno deficit pubblici tra il 4 e il 5%. Dopo il 2007 la spesa è aumentata in tutte le nazioni, ma in Italia questo aumento di spesa è stato coperto più o meno ovunque con aumenti di entrate, tanto è vero che il deficit è un po’ diminuito. Negli altri Paesi invece gli aumenti di spesa non sono stati coperti con aumenti di imposte, perché il deficit pubblico è stato lasciato crescere.



Perché l’Italia non ha seguito l’esempio degli altri Paesi Ue?

Il motivo è che noi avevamo un debito pubblico più alto, mentre gli altri Stati Ue ce l’avevano più basso. Hanno quindi potuto fare crescere il deficit, mentre il nostro governo è stato obbligato ad attuare delle politiche di contenimento. In un Paese che non riduce la spesa pubblica questo ha voluto dire aumentare le tasse.

La legge di stabilità fa abbastanza per ridurre le tasse o si poteva fare di più?

Si poteva fare di più se si fosse ridotta di più la spesa pubblica: questo però non è avvenuto. Con la legge di stabilità le tasse caleranno complessivamente di 21,7 miliardi, ma di questa somma 16,8 miliardi vanno a disinnescare la cosiddetta “clausola di salvaguardia”. Quello che rimane come taglio effettivo delle tasse sono 3,9 miliardi, cioè lo 0,25% del Pil.



Di chi è la colpa se non si è potuto fare di più? Dell’Europa?

Se si esclude la spesa pubblica per interessi, che è in qualche modo obbligata, il governo può decidere che cosa fare delle sue uscite. L’Europa quindi c’entra poco, fatte salve le spese che sono state effettuate per i salvataggi dei Paesi Eurodeboli. È indubbiamente una voce che può essere ascrivibile al fatto di aderire all’Europa, all’euro e ai suoi piani di salvataggio. È una voce comunque minoritaria rispetto al bilancio complessivo. Rimane il fatto che i governi che si sono succeduti dal 2005 in poi non sono stati capaci di affrontare il nodo della spesa pubblica corrente.

 

Per tagliare la spesa sarebbe stato necessario attuare scelte politicamente scomode?

Per ripensare le regole di funzionamento dello Stato sociale occorre affrontare scelte scomode e che causerebbero un calo del consenso politico. A ciò si aggiunge lo snodo delle aziende partecipate di Comuni, Province e Regioni. Le partecipate non hanno a che fare con lo Stato sociale, bensì con la gestione dei servizi pubblici locali. Questi ultimi però costituiscono un’occasione per creare clientele e collocare il personale politico che i partiti non possono più impiegare direttamente e che quindi finisce nei consigli di amministrazione o è assunto sotto forma di dipendenti o collaboratori.

 

La pressione fiscale così elevata è collegata anche con l’evasione?

Da noi certamente l’evasione fiscale è più alta. Il notevole volume di tasse che dobbiamo pagare è diviso in modo che risulta particolarmente pesante per quanti versano quello che devono. Questo contribuisce a rendere ancora meno sopportabile il già elevato onere di tassazione.

 

(Pietro Vernizzi)