“Al consolidamento finanziario si accompagni una robusta iniziativa di crescita da alimentare a livello europeo. Il governo ha opportunamente perseguito questa strategia”. Sono le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso con cui alla Camera dei deputati ha inaugurato il suo mandato subito dopo il giuramento. Interrotto per 40 volte dagli applausi e da diverse standing ovation, il discorso è stato piuttosto stringato per quanto riguarda gli aspetti economici dei problemi del nostro Paese. Ne abbiamo parlato con Oscar Giannino, giornalista ed economista.
Qual è la sua reazione alla parte del discorso del presidente dedicata all’economia?
Quella sulla crescita e quella sulle sofferenze economiche del popolo italiano sono le uniche due parti dedicate all’economia. Le parole “mercato”, “concorrenza”, “produttività” e “competitività” non sono neanche citate. Nel discorso di Mattarella manca un passaggio nel quale la necessità di procedere al consolidamento della finanza pubblica secondo regole europee sia accompagnato dalla necessità di alzare la produttività e la competitività per guadagnare nuovi spazi nel commercio mondiale. Quello che dà il capo dello Stato è un giudizio formale, molto prudente nell’indicare qualunque ruolo di Mattarella stesso nei dossier aperti in Europa. Da questo primo discorso emerge insomma un ruolo non interventista.
Mattarella parla di una “robusta iniziativa di crescita da alimentare a livello europeo”. L’Italia non deve fare nulla?
La risposta ovviamente è no. L’Italia ha molto da fare, e il governo si ritrova con un presidente della Repubblica che lo lascerà molto fare. Mi ha colpito particolarmente il fatto che, per quanto riguarda il pilastro degli investimenti aggiuntivi del piano Juncker, il ministro dell’Economia Padoan ha detto: “Stiamo valutando come intervenire per quanto riguarda le quote di finanziamento”. Il giudizio di Padoan è quindi in linea con quanto diciamo tutti, constatato che il piano Juncker rischia molto di essere una promessa non mantenibile.
Intanto però l’Europa se è mossa con il Quantitative easing della Bce: è in grado di rilanciare la crescita nel nostro Paese?
Dobbiamo essere attenti nel valutare l’effetto reale del Quantitative easing sull’economia italiana. Il trasferimento dei 120 miliardi di titoli italiani attualmente in pancia alle banche, in grado di liberare la stessa somma nell’economia reale, è reso difficoltoso dai 180 miliardi di sofferenze e dai 150 miliardi di incagli. Gli effetti della manovra espansiva della Bce sull’economia reale rischiano di essere molto più limitati delle attese, a meno che si metta mano a una delle ipotesi di “bad bank” per liberare gli attivi deteriorati delle banche italiane. Monti e Letta non hanno voluto farlo per non dare l’impressione che l’Italia fosse in una condizione tale da dover sostenere il sistema bancario. Ritengo che sia stato un grave errore e che se ne scontiamo le conseguenze ancora oggi. Questo è un esempio particolarmente importante del fatto che ci dobbiamo dare da fare noi e non aspettare solo l’Europa.
Le vere responsabilità della crisi economica sono a Roma o a Bruxelles?
Non possiamo credere che il ritardo italiano derivi solo dalla crisi dell’euro, in quanto l’Italia ha alle spalle 20 anni di perdita di produttività. Se compariamo il Pil 2000-2014 solo Italia e Grecia hanno una variazione zero, mentre la Spagna è al +23% e l’Olanda al +42%.
Da dove nascono i problemi economici del nostro Paese?
Il nostro problema è che il Clup (Costo del Lavoro per Unità di Prodotto) 2000-2014 è aumentato del 44% contro il 15% della Germania, con un differenziale pari quindi a 29 punti. Tra le cause c’è il cuneo fiscale, ma anche la redditività del capitale impegnato e la sottocapitalizzazione delle imprese. L’Italia ha delle difficoltà aggiuntive rispetto agli altri 18 Paesi dell’Eurozona, eppure il presidente Mattarella su questi temi non ha speso una sola parola. Spetta al governo italiano ingranare una marcia più alta e andare avanti.
Sulle riforme economiche Renzi parte da zero?
Non esattamente. Il Jobs Act, la diminuzione dell’Irap e gli incentivi alle assunzioni sono i tre fattori più forti che ci aspettano in questo 2015. Sappiamo che avranno degli effetti, ma non bastano. Sono in particolare curioso di vedere se la legge sulla concorrenza arriverà e quanto sarà incisiva. La produttività dipende da riforme a costo zero, ma che toccano molti interessi costituiti.
(Pietro Vernizzi)