«Non aspettiamoci che le risposte nel breve termine arrivino dal Piano Juncker. Questa volta l’Italia ce la dovrà fare con le sue forze». Sono le parole di Oscar Giannino, giornalista economico, a commento dell’annuncio del governo che la Cassa depositi e prestiti contribuirà con 8 miliardi di euro al Fondo europeo per gli investimenti strategici (Efsi) della Commissione Ue. Il presidente Mario Draghi, intanto, ha rilevato che la Bce “è in grado di stabilizzare l’inflazione e ce la farà”. Draghi ha anche aggiunto che gli ultimi dati “positivi” indicano che l’inversione di tendenza rispetto alla crisi è già cominciata. Anche se i dati Istat sulla produzione industriale italiana di gennaio segnalano un -0,7% rispetto a dicembre e un -2,2% rispetto a gennaio 2014.
La battuta d’arresto della produzione industriale è solo un incidente di percorso?
Il cumularsi dei gap italiani di produttività da 20 anni ci mette in una condizione di andare meno bene nella crescita rispetto agli altri Paesi. Questa situazione sembra riproporsi ora nel nostro Paese e quindi non è una novità. Andrei cauto nel liquidare come un incidente di percorso i dati dell’Istat sulla produzione industriale in gennaio e quelli della Banca d’Italia sulla restrizione di credito che persiste per famiglie e imprese.
Quali sono le cause dei gap italiani di produttività?
Ci sono ragioni complesse e strutturali per cui l’Italia tende a comportarsi così. Non è un caso che nelle previsioni di crescita della Commissione Ue per il 2015 solo Cipro faccia peggio dell’Italia. Questi dati ci consegnano la necessità di un intervento, in quanto l’uscita più rapida dalla crisi è avvenuta nei paesi nei quali si sono attuate una politica monetaria generosa e incentivi di natura fiscale.
L’Italia deve fare come gli Stati Uniti?
Sì. Non è un caso che nel 2008 il rapporto deficit federale/Pil negli Usa sia schizzato all’11,5%. Poi la ripresa si è consolidata fino a diventare fortissima, con il record di mesi di creazione di occupazione aggiuntiva superiore a 200mila unità. Solo nel 2014 il mancato accordo sul tetto del debito tra Congresso e Casa Bianca ha fatto sì che il rapporto deficit/Pil scendesse al 5%. Una politica simile è stata attuata nel Regno Unito. In Europa abbiamo una politica monetaria favorevole, ma le serie storiche dicono che l’Italia ha una difficoltà a ripartire velocemente.
Che cosa deve fare il nostro governo per rilanciare la domanda interna?
Occorre una manovra di finanza pubblica senza aspettare la Legge di stabilità di fine anno. È adesso il momento per attuare una manovra finanziaria per trasmettere ai due punti deboli della nostra crescita domestica, consumo delle famiglie e investimenti delle imprese, dei segnali aggiuntivi che ci consentano di far fare un passo avanti alla crescita. In questo modo potremmo uscire dall’attuale atmosfera di stagnazione inerziale, che si vede nei dati su credito e produzione industriale.
Quali misure vanno prese in concreto?
Va esteso immediatamente il bonus da 80 euro a chi non lo ha avuto, con un intervento da 7/8 miliardi per pensionati e incapienti. Va inoltre attuato un intervento di sostegno per chi sta nella fascia di povertà. Dario Di Vico ha ricordato che se ci si limita a erogare 500 euro per i nuclei familiari di due persone che sono sotto la soglia di povertà, la spesa prevista è di un miliardo e mezzo.
Che cosa ci possiamo aspettare dal piano Juncker?
Sono sempre stato molto critico sul piano Juncker, che dispone soltanto di 21 miliardi di risorse europee. Entriamo adesso nella fase di costruzione dei rapporti nazionali di finanziamento aggiuntivo, con il nostro Paese che contribuirà al pari della Germania con 8 miliardi. I tempi saranno inevitabilmente molto lunghi. Le modalità del piano Juncker sono largamente incompatibili con la prospettiva di attendersi ricadute a breve.
E nel medio-lungo periodo?
Posso solo augurarmi che la governance complessa di quello strumento consenta effettivamente di avere qualche effetto nel medio-lungo termine sulle opere infrastrutturali. Nel breve abbiamo però bisogno di qualcosa che aggiunga combustibile a un fuocherello di cui si vedono le prime lingue, ma che è ancora molto debole.
(Pietro Vernizzi)