“Grexindent”, ovvero: Grexit più incident. Potrebbe succedere un “incidente” se il governo Tsipras non accetta la realtà dei numeri. Eccone alcuni per descrivere la situazione: la Grecia deve pagare, entro fine marzo-inizio aprile, 1,53 miliardi di euro di interessi al Fmi. Sempre a marzo scadono alcuni Buoni del Tesoro: oggi 1,4 miliardi, il 13 1,6 miliardi, il 20 1,6 miliardi. Sommando, la Grecia deve trovare 6,1 miliardi. Buon senso vorrebbe che lunedì, nella riunione dell’Eurogruppo, Atene presentasse un piano di riforme preciso, con numeri e date, per poter accedere a una prima tranche del prestito di 7,2 miliardi, somma che avrebbe potuto ottenere, a fine febbraio, se avesse riconosciuto le firme dell’accordo di finanziamento. Ma si doveva rispettare il “mandato popolare”.
Altri numeri. Rispetto alle aspettative, le entrate nei primi due mesi dell’anno sono diminuite di 1,5 miliardi. Le casse mutue sono in credito verso aziende e lavoratori autonomi di 21,3 miliardi. L’evasione, in questa fase di incertezza, aumenta. La bilancia commerciale è in rosso (le importazioni superano le esportazioni del 25%). La crescita nel 2014 è stata un misero 0,7%, con il Pil che si è addirittura contratto durante l’ultimo trimestre. La produzione industriale è scesa di un ulteriore 3,8% nel mese di dicembre e anche le vendite al dettaglio sono diminuite del 3,7%, nonostante il Natale. L’indicazione più preoccupante, tuttavia, è il calo dei prezzi del 2,8% nel mese di gennaio. “Non andremo a Bruxelles per chiedere finanziamenti”, disse con orgoglio, all’inizio delle trattative, il ministro delle Finanze, Yanis Varufakis. Uno slogan a uso interno. D’altra parte il ministro di slogan ne ha coniati parecchi, tanti forse quante le sue interviste, almeno una al giorno. Un giornalista pignolo ne ha contate 35.
Lunedì, i ministri delle finanze europei valuteranno le proposte elleniche, si tratterebbe di sei riforme e una possibile privatizzazione. Poi saranno i “tecnici” – la ex Troika – a valutare la loro fattibilità. Soltanto dopo la luce verde degli “oscuri burocrati”, la Grecia potrà incassare circa 2 miliardi, stando a fonti comunitarie. Ma Bruxelles chiede misure che abbiano un’immediata efficacia sulle casse statali elleniche, ormai quasi vuote. Dopo il gran rumore dei giorni scorsi su come il governo avrebbe trovato i finanziamenti, oggi è calato un preoccupante silenzio. Si sa soltanto che dei 2 miliardi delle casse pensioni su cui contava il governo si è riusciti a raccogliere 750 milioni.
La strategia europea è chiara, e non da oggi, ma dal 2010. Visto che la Grecia è sempre così restia alle riforme non resta che obbligarla usando il ricatto dell’asfissia economica. Fino a ieri, il governo sperava in una boccata d’ossigeno offerta dal Governatore della Bce, Mario Draghi. Speranze frustrate, come da previsione. La Grecia aveva chiesto una estensione di 2 miliardi della linea di liquidità d’emergenza (Ela), ma ha ottenuto mezzo miliardo. Draghi poi stato perentorio: “no” ai titoli ellenici dati in cambio di liquidità e “no” all’acquisto di titoli previsti dal Qe.
Draghi, nel corso della conferenza stampa di giovedì, è stato perentorio, al punto che i giornalisti ellenici presenti hanno protestato. “Finora la Bce ha prestato 100 miliardi di euro alla Grecia”, ha detto. “Negli ultimi due mesi abbiamo moltiplicato per due i nostri aiuti portandoli da 50 a 100 miliardi di euro. I prestiti alla Grecia rappresentano il 68% del Pil ellenico, la percentuale più alta nella zona euro. Possiamo dire che la Bce è la Banca centrale ellenica, ma è anche la banca centrale degli altri Stati membri dell’area euro”. “Mentre piovono soldi sull’Europa, la Grecia apre l’ombrello”, ebbe a dire l’ex primo ministro Antonis Samaras. Non è un’analisi politica, ma un buon paradigma per descrivere la situazione.
La valvola della bombola di ossigeno è non stata aperta e il governo non ha accettato di buon grado questa decisione che non gli lascia molti spazi di manovra, tantomeno di scelta. Da qui a lunedì dovrà scegliere una linea politica per il prossimo Eurogruppo. “Quando si va a trattare pensando di poter vincere non si pensa alla sconfitta”, Varufakis dixit. Ma “il non sbagliare è quello che stabilisce la certezza della vittoria”, diceva un generale cinese. Ma poi ha aggiunto che, in caso di emergenza, “abbiamo un piano B”. Quale? È lecito pensare – dati i precedenti – che questo piano alternativo non abbia nulla a che fare con la cruda realtà dei numeri. Di certo a Bruxelles Varufakis non troverà un clima favorevole, nonostante le “sviolinate” verso la Merkel e il suo ministro delle Finanze. Troverà un clima di diffidenza dopo che Atene ha attaccato alcuni suoi creditori. Sicuramente Spagna e Portogallo vorranno chiedere spiegazioni agli attacchi nei loro confronti da parte di Tsipras, che ebbe a dire che Madrid e Lisbona, per “ragioni di politica interna”, non hanno appoggiato le proposte elleniche.
Non sarà tranquillo l’esame cui verrà sottoposto Varufakis. “Prima che i soldi affluiscano, Atene deve dimostrare che sta incontrando le condizioni concordate”, ha affermato il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, non senza una frecciata: “Se il ministro ellenico – ha aggiunto – dichiara che l’intesa dell’Eurogruppo con la Grecia non è chiara, allora si sta sbagliando”. E dopo i rumors dei giorni scorsi non si parla più di un terzo pacchetto di aiuti perché forse è ancora prematuro parlarne. Si dovrà aspettare fine aprile quando le “istituzioni” dovranno valutare i progressi fatti dal governo Tsipras nell’implementazione delle riforme.
Dallo slogan elettorale “L’Europa cambia” alla teoria del complotto per far fallire l’esperimento ellenico. Un segno di debolezza che certamente non giova al governo. Cacofonia, usando una parola della meravigliosa lingua ellenica. Di cacofonia parla anche un anziano giornalista di Avghi, il giornale fiancheggiatore di Syriza. Scrive Thanasis Karteros: “Le piccole frustrazioni portano a una grande usura. I ritardi, le incomprensioni e la cacofonia di opinioni, la sensazione che il governo non appaia coordinato ed efficiente non offrono una immagine positiva. E la fiducia con cui la maggioranza delle persone sostengono il governo non è inesauribile”.
Parole sensate, sicuramente dettate dall’analisi della confusione che regna nel governo. Negli ultimi due giorni si è assistito a un paio di manovre: come definirle? Da dilettanti ? Da irresponsabili? Da inesperti? La prima: se non fosse stato per lo scoop di una tv privata, oggi la Grecia avrebbe subito l’invasione degli immigrati rinchiusi nei campi di raccolta. Un documento firmato da un ufficiale della Polizia, e inviato per conoscenza ai ministeri competenti e alle autorità internazionali, ordinava agli agenti di custodia di tutti i campi di aprire le porte. Ordine subito rientrato quando il ministro dell’Ordine pubblico è venuto a conoscenza di questo documento. Sembra che sia stato il vice ministro, che poi ha smentito, con delega all’immigrazione a dare il beneplacito all’ufficiale. Di sicuro il poliziotto non si sarebbe mai assunto la responsabilità di dettare le regole per la nuova politica dell’immigrazione. Conclusione: il poliziotto è stato costretto alle dimissioni. Il documento? Una “provocazione” destabilizzante, dicono i “syrizei”.
La seconda, il Presidente del Parlamento Zoi Kostantopulu (di professione avvocato ed espressa da Syriza) ha spiegato che bisognava rivedere tutte le leggi votate con appello nominale da un Parlamento in cui erano assenti, perché in carcere, i deputati di Alba Dorata. Tutti i partiti hanno dichiarato il loro dissenso. A sostenere l’iniziativa del Presidente ovviamente è stata Alba Dorata. Furiosa la reazione del governo: “Quando un governo vuole abolire una legge lo fa con un’altra legge”, è stata la risposta del portavoce di Tsipras.