“Le nostre stime di crescita sono prudenti, ma un tesoretto è possibile”. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nell’intervista all’Espresso. Il Quantitative easing della Banca centrale europea porterà a un abbassamento dello spread, riducendo gli interessi sul debito pubblico che l’Italia è costretta a pagare. L’effetto benefico congiunto dell’abbassamento del cambio euro/dollaro, del prezzo del petrolio e dei tassi d’interesse potrebbe portare l’Europa fuori dalla recessione. Di qui l’idea di un tesoretto, che secondo le stime ammonta a 10 miliari di euro. Ne abbiamo parlato con Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università di Parma.



Professore, qual è il modo migliore per utilizzare il tesoretto?

Ritengo che il “tesoretto” vada utilizzato principalmente per ridurre il debito pubblico. In parte potrebbe essere anche utilizzato per abbassare le imposte, anche se trattandosi di una somma temporanea è meglio che non vada a finanziare decisioni permanenti. Si potrebbe anche dedicarlo parzialmente al rimborso del debito e parzialmente alla riduzione delle imposte.



Con quali prospettive?

Ci si può aspettare che nel 2015 le condizioni siano favorevoli, ma il rischio è che il 2016 non sia altrettanto positivo. Per questo motivo ritengo che sia meglio utilizzare il “tesoretto” soltanto per ripianare il debito, facendo in modo che le maggiori entrate fiscali e la minore spesa pubblica vadano a ridurre l’accumulo di deficit nel corso del tempo. Il debito è un parametro strettamente legato alla crescita.

Perché non usare il tesoretto per la ripresa?

Perché questo cosiddetto “tesoretto”, ammesso che ci sia, è un gruzzolo temporaneo. Ricordo che nel 2006, all’epoca del ministro Tommaso Padoa Schioppa, vi fu un dibattito su un presunto tesoretto che poi si rivelò una discussione sul nulla. Era saltata fuori una somma grazie a una crescita inattesa al 2% del Pil dopo i dati negativi degli anni precedenti. Dal 2007 in poi la crescita è scomparsa, e quindi una delle cose da tenere in considerazione è che è meglio non intraprendere piani che poi non siano sostenibili.



Il “tesoretto” dunque sarà una somma “una tantum”?

Se si ritiene che la crescita economica che arriva sia il risultato di riforme strutturali in grado di produrre un maggior numero di occupati, allora a quel punto sarebbe opportuno utilizzare il “tesoretto” per ridurre le imposte. Ci vorrà però del tempo per capire se le riforme producono o meno degli effetti duraturi sulla crescita del Pil. In questo caso la situazione è piuttosto simile a quando arriva un’eredità: se uno ha dei debiti la cosa migliore è utilizzare quella somma per estinguerli. Allo stesso modo sarebbe meglio non utilizzare un tesoretto temporaneo per fare nuovi programmi di spesa, creando deficit anche in un futuro in cui il tesoretto non ci sarà più.

 

Il tesoretto potrebbe essere utilizzato anche per aumentare l’efficienza della Pa?

Anche questo potrebbe essere un buon impiego. Ma per migliorare l’efficienza della Pubblica amministrazione, e di conseguenza della spesa pubblica, è più importante attuare alcune delle misure che sono state già approvate nello scorso agosto. Mi riferisco alla possibilità di trasferire il dipendenti pubblici senza il consenso dell’amministrazione di provenienza, in un’amministrazione di destinazione che ne abbia bisogno.

 

Una riforma che non costa nulla?

Se norme come questa avessero effettivamente un seguito consistente, a quel punto avremmo probabilmente una spesa pubblica più efficiente senza doverci mettere delle risorse aggiuntive. Se poi ci dovessero essere delle risorse in più, potrebbero essere destinate alla modernizzazione degli impianti, all’informatizzazione o all’accelerazione dell’agenda digitale. Questo potrebbe essere sicuramente un fatto utile, anche se non credo che siano i soldi a essere cruciali per una riforma della Pa.

 

(Pietro Vernizzi)