Le uova pasquali elleniche non sono fatte di cioccolato e non contengono sorprese. Sono uova di gallina dipinte di rosso. Ciò nonostante, le “sorprese” pasquali non vengono a mancare. Le potremmo tradurre in stridule dichiarazioni di alcuni ministri. È vero, la Grecia vive male, sta trattando la sua sopravvivenza, sta ricevendo quasi quotidianamente i “pre-ultimatum” da Bruxelles – strano a dirsi, i tedeschi mantengono un inquietante silenzio stampa -, ma di certo la sua classe politica non aiuta a creare un clima di fiducia, tantomeno riesce a offrire una prospettiva per il futuro.
Oltre il pacchetto di riforme che sta trattando con i creditori e che dovrà passare al vaglio del Parlamento, Tsipras deve governare il Paese nella sua quotidianità, e non sembra che ci stia riuscendo. Non certo per sua colpa. Di sicuro i suoi ministri non lo aiutano. Lavorano in ordine sparso, ognuno con la sua idea di governo, ognuno con la sua idea di “solidarietà sociale”, ognuno con la sua radice ideologica, ognuno con la sua idea di potere, ognuno ansioso di portare a casa qualche finanziamento. Il ministro della Difesa è già riuscito a drenare 500 milioni di dollari per i suoi “giocattoli” militari.
Kos è un’isola distante non più di dieci chilometri dalla Turchia, ed è, in questi giorni, invasa da profughi siriani, i quali per 2000 euro vengono portati entro i confini europei. Dormono per strada, nei giardinetti pubblici, nei cortili delle stazioni di polizia, insomma dappertutto. Hanno invaso l’isola. Dopo l’identificazione, viene loro dato un permesso temporaneo di sei mesi. Ottenuto il documento, quasi tutti partono per la capitale. E qui si disperdono nei vicoli del centro storico. Vecchi quartieri di Atene sono diventati impraticabili. È una bomba umana pronta a scoppiare.
Di certo lo Stato non ha i mezzi per provvedere se non alle loro prime necessità. Poi si affida alla pazienza degli ateniesi, i quali, quei pochi che leggono i quotidiani in questi giorni di passione pasquale, non sanno come commentare la dichiarazione, in risposta a una domanda sul fatto che in Grecia non c’è più posto per gli immigrati, del vice ministro per l’immigrazione: “In Grecia non c’è posto per i pensionati perché le casse pensionistiche sono vuote, non c’è posto per i giovani perché è aumentata la disoccupazione, non c’è posto per i bambini perché non ci sono asili nido. Sicuramente non c’è posto per gli immigrati e per i profughi perché non ci sono lavoro e strutture. Ma tutto questo non dice nulla”. Forse questa dichiarazione è una “sorpresa”, perché qualcosa suggerisce: che il vice ministro a Kos non si è presentata per rendersi conto della situazione, e molti suoi colleghi non hanno ancora abbandonato la “poesia” della loro ideologia e delle promesse elettorali e non hanno ancora adottato la “prosa” del governare un Paese.
“Metaritmisi”, si traduce in italiano “riforma”. Nel vocabolario politico occidentale questa parola ha un significato positivo. Diversa è l’interpretazione che fornisce il ministro della Finanze, Yanis Varoufakis: “Riforma è una parola che risuona in Grecia come la parola democrazia in Iraq. Riforma è una brutta parola in Grecia. Chi sente la parola riforma in Grecia, pensa subito che la propria pensione sarà tagliata. Nel caso delle piccole aziende, si pensa che l’Iva sarà aumentata. Dobbiamo restituire al termine riforma una buona accezione. La Grecia deve tornare a essere una società che possa essere riformata”.
Ecco appunto, la seconda “sorpresa”, perché ci conferma che la società ellenica oppone una strenua resistenza a ogni forma di cambiamento. E dovrebbe essere proprio il governo Tsipras ad accompagnare, quasi con azione maieutica, la mutazione sociale del Paese. Chi, secondo Varoufakis, deve convincere la società a lasciarsi “riformare” se non il governo eletto con un “ampio mandato popolare”, stando alla meta-politica dei suoi ministri? Sempre Varoufakis, da Parigi dove ha partecipato a una conferenza presso il New Economic Thinking dell’Ocse, ha ri-modificato la sua posizione circa il debito: la Grecia non chiederà né un suo taglio, né il prolungamento dei tempi di restituzione. Ma ha anche aggiunto che il governo è disposto ad accettare il costo politico del possibile compromesso con i creditori. Ipotesi sua senza aver consultato nessuno ad Atene, e chissà quanto suoi colleghi sono dello stesso parere. Ha poi chiarito che le riforme, secondo il suo teorema, dovrebbero assumere una concretezza diversa da quelle attuate fino a oggi. Quale, considerando che da buon economista dovrebbe sapere che se si torturano i numeri questi confessano i peggiori peccati?
E ritorniamo nel festante clima pasquale. “Buongiorno da Lamia. Poco prima ho parlato con il vescovo circa la mancanza (per colpa del Memorandum) di papas (preti ortodossi, ndr) in parecchie chiese”. Questo il tweet del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per il coordinamento del lavoro del governo, Terence Kuik. Prima di entrare al governo ricopriva il ruolo di addetto stampa del partito dei Greci Indipendenti, il partito di destra alleato di Tsipras.
Va precisato che il legame tra ortodossia e nazionalismo è stretto. Secondo le loro analisi, è stato il Memorandum a svuotare le chiese. Ma niente panico, dal ministero dell’Educazione e dei Culti arriva la conferma che “ci saranno delle nuove assunzioni”. E chi pagherà i loro stipendi (1200 euro, prevista la pensione ed erogati dallo Stato)? La Costituzione non contempla la separazione tra Stato e Chiesa. Comma 3 dell’articolo 3 che regola i rapporti tra Stato e Chiesa: “Il testo della Sacra Scrittura deve rimane invariato. La sua traduzione ufficiale in un’altra forma di linguaggio (greco moderno, ndr) è vietata, a meno che ci sia l’approvazione della Chiesa Autocefala di Grecia e la Grande Chiesa di Cristo di Costantinopoli”. C’è da aggiungere che molti giovani disoccupati sono stati folgorati sulla via di Damasco e stanno compilando domande per entrare in seminario. Un ritorno alla fede o uno stipendio garantito a vita?
Il rapporto tra Stato e Chiesa dovrebbe essere per il laico Syriza uno dei pilastri della sua politica di riforma dell’assetto statale, anche per dare un senso politico allo slogan “Prima volta la sinistra”. Prima delle elezioni, Tsipras e il suo partito erano dei ferventi sostenitori della separazione tra Stato e Chiesa. Ancora nel 2012, Tsipras dal Parlamento tuonò contro gli sgravi fiscali per le proprietà ecclesiastiche e contro il regime agevolato di tassazione del personale religioso. Sembra tuttavia che il costo politico di uno scontro con la Chiesa (economicamente potente e presente anche nel consiglio di amministrazione della più grande banca ellenica) sia troppo alto e metterebbe in serio pericolo l’alleanza della sinistra con la destra nazionalista e sostenitrice dell’ortodossia.
D’altra parte, la Chiesa, in questo periodo di crisi, è una delle istituzioni (in compagnia di polizia ed esercito) in cui la società nutre più fiducia. Istituzioni, queste, che nei decenni passati hanno isolato il Paese dalle correnti di rinnovamento delle società occidentali. E questa non è una “sorpresa” pasquale, ma un segmento di storia ellenica.