Un altro piccolo passo verso il baratro. L’ultimo potrebbe essere o il referendum o le elezioni -ipotesi che il governo Tsipras non esclude. Una sua “giravolta” è poco probabile perché gli verrebbero a mancare almeno 25-29 suoi deputati. Valdis Dombrovskis, vice presidente della Commissione europea, ha chiarito che per il 24 aprile, data in cui riunisce l’Eurogruppo, non è prevista alcuna decisione sulle trattative con la Grecia. Tutto è rimandato all’11 maggio. Da Atene invece fanno sapere, anzi sono quasi tutti ottimisti al riguardo che il 24 aprile si arriverà a una conclusione della maratona ellenica. Ma sia gli europei che gli ateniesi ci hanno abituato a emettere comunicati “a scadenza”: ipotesi e commenti hanno la durata di 24 ore, 36 al massimo.
Kostas Botopoulos, Presidente della Commissione della Borsa di Atene, da Parigi fa sapere che a fine mese le casse saranno vuote. Da New York, Olivier Blanchard, capo del dipartimento della ricerca del Fmi, non ha escluso un’uscita della Grecia dall’euro nel caso in cui non ci sia un’intesa: “Il quadro è abbastanza chiaro. Prima di tutto, l’uscita dall’Eurozona sarebbe estremamente costosa e dolorosa per la Grecia”. Ma, ha aggiunto Blanchard, “il resto dell’Eurozona si trova in una posizione migliore per gestire” una Grexit. Concetto quest’ultimo già ribadito la settimana scorsa dal numero uno del Fondo Christine Lagarde, secondo cui “l’Eurozona si trova in una situazione più forte rispetto a quattro anni fa”.
Oggi mercoledì – come nei giorni e settimane scorsi – nessuno, ma proprio nessuno non si raccapezza sull’andamento delle “trattative” con i creditori. Il governo sostiene che il 24 aprile ci sarà l’accordo. Quei 7,2 miliardi che dovrebbero riempire le casse pubbliche elleniche sono l’ultima occasione. Riforme. Quali? Misure. Quali? Circolano soltanto ipotesi. Di fisso resta la “linea rossa” che il governo non vuole sorpassare: nessuno si azzardi a chiedere riforme delle pensioni, del lavoro o insistere sulle privatizzazioni. Ma osservando la confusione del governo e leggendo le dichiarazioni di alcuni ministri (spesso oggetto di smentite, quali la notizia dell’incontro tra Obama e Varoufakis) risulta chiaro che la prossima settimana si parlerà, nell’Eurogruppo, dei “progressi” delle trattative e nulla più.
Una conclusione porta all’ipotesi che sia lo stesso governo a preparare il terreno per una Grexit da imputare agli “strozzini” europei. Tuttavia se anche si arrivasse a un accordo entro l’11 maggio è chiaro che avrebbe un carattere provvisorio in attesa del grande accordo che dovrà per forza essere discusso, quando scadrà il quadrimestre del prolungamento del Contratto di prestito. Allora conosceremo la nuova strategia del governo. Si presume che per quella data avrà fatto alcuni conti anche in prospettiva futura. Magari prima chiederà un altro mandato parlamentare e quindi nuove elezioni, con la prospettiva di arrivare alla maggioranza assoluta dei seggi per Syriza.
Dalla sua, Tsipras ha un grosso vantaggio che gli concede la legge che, nel caso di elezioni anticipate entro i primi diciotto mesi, abolisce le preferenze e adotta la lista bloccata. Uno strumento che potrebbe favorire l’esclusione della sinistra-sinistra. L’incognita resta il corpo elettorale. Un sondaggio sostiene che l’82% di greci vuole restare nell’euro. Come esprimeranno sulla scheda elettorale questa speranza-bis?
Dalla data di oggi fino a fine maggio, Atene deve trovare 1,7 miliardi di euro. Per fine 2015 i miliardi arrivano a 16,43. Per il ministro dell’Energia, Panagiotis Lafazanis, fautore della “rottura” con gli europei, è tutto chiaro: “Se non si arriva a un accordo nell’Eurogruppo del 24 aprile sicuramente non sarà la fine della Grecia”. Il giorno di Pasqua, il ministro lo ha trascorso negli uffici della società elettrica Deh ribadendo che l’impresa deve restare pubblica e ricordando che la prossima settima si dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) firmare l’accordo per il gasdotto con i russi. È questo lo spirito di servizio che sentono parecchi ministri di questo esecutivo: governare secondo teorie e fantasie. Non hanno ancora letto le tabelline dei flussi elettorali: dal 4% al 36,6% il salto è notevole, eppure continuano a ragionare con l’ideologia del gruppuscolo di sinistra -composto da almeno sette correnti – che deve fare oggi i conti con due realtà scottanti: l’arrivo ad Atene di migliaia di persone che fuggono dalla guerra e l’occupazione senza alcuna rivendicazione studentesca – da diciannove giorni – del Rettorato dell’Università di Atene. La quarantina di giovani per il momento possono stare tranquilli, nessuno li tocca, nonostante l’appello dei rettori verso il governo perché sgombri il Rettorato. E intanto i ragazzi-Erasmus che studiano all’estero possono aspettare per il loro contributo finanziario.
Pochi giorni fa su queste pagine si parlava di “bomba umana”. Bene, è scoppiata. Dalle isole sono arrivati migliaia di profughi provenienti dalla Siria, e il governo non sa come affrontare il problema. Si pensa di usare caserme dismesse o campi tenda, di separare i clandestini (da rimpatriare) dai profughi di guerra cui verrà dato un documento per raggiungere altri paesi europei. A complicare ulteriormente la situazione è l’atteggiamento molto confuso del ministro per le politiche di immigrazione, la quale continua a non rendersi conto, e con lei il governo, che gli ateniesi non sono poi così accondiscendenti con le decine di persone che dormono sulle panchine e nei parchi pubblici. La ministro: “Non ci sono immigrati che stazionano in centro, semplicemente al mattino escono per prendere il sole”.
“Sono al governo, ma non sanno governare il Paese”, sosteneva un commensale durante il pranzo pasquale. “Tsipras ci ha ridato la speranza”, un altro. “Noi abbiamo un ruolo geopolitico che dobbiamo usare a nostro vantaggio”, un altro ancora. “Ma perché gli europei ci strozzano?”. “Se Tsipras vuole la rottura con l’Europa avrà il mio sostegno”, il più radicale che nelle elezioni precedenti aveva votato Alba Dorata. Era una cartina di tornasole su come la “propaganda” del governo abbia attecchito su un terreno fertilizzato da governi inefficienti e irresponsabili e da pretese europee insostenibili.
Della comitiva faceva parte, tra le altre, anche una signora, giornalista, che sta per andare in pensione: cinquant’anni e una figlia minorenne (secondo la legge ne ha diritto, dopo 25 anni di lavoro), continuerà a lavorare per il quotidiano per 350 euro mensili percepiti in nero. Poi anche una quarantacinquenne che si lamentava che dopo tanti tagli la sua pensione raggiunge a malapena 1000 euro (di lei non si è saputo quale fosse stato il suo diritto alla pensione anticipata). Nel gruppo anche alcuni bambini che frequentano le scuole elementari, le quali, allo stato attuale, non dispongono neppure dei più basilari strumenti educativi e didattici.
Una breve pennellata degli umori ellenici che forse non sono destinati a durare e una conferma che una radicale riforma delle pensioni sarebbe necessaria, non tagliando l’assegno, ma instaurando un più giusto sistema delle regole. Ma non si può valicare questo ostacolo, migliaia sono i pensionati che hanno votato Syrizia perché aveva promesso che le pensioni non sarebbe state ridotte ulteriormente – anzi molte migliaia aspettano che venga ripristinata la tredicesima (se il reddito è inferiore a 700 euro), un’iniziativa che al Fmi risulta indigesta. Ma Tsipras è intenzionato a mantenere le sue promesse, anche a costo di mandare con “dignità” in malora il Paese. Chissà su quali argomenti si discuterà l’anno prossimo a Pasqua…