Ironia della storia. Il 23 aprile del 2010, l’allora primo ministro, il socialista Jorgos Papandreou, con le spalle rivolte al porto di Kastellorizo (isola in cui è stato girato il film “Mediterraneo”) annunciava alla nazione l’inizio di una “rivoluzione” sociale ed economica. A sentire quel discorso, zeppo di analisi generiche sulla crisi, accuse agli speculatori e al governo precedente e di bugie, si prova un certo imbarazzo se poi si valutano i risultati. Soltanto mesi dopo si venne a sapere che il governo già da alcuni mesi stava trattando con il Fmi, mentre ufficialmente le trattative venivano smentite. “Volevamo un prestito di 30 miliardi, per far fronte al buco di bilancio, poi, dopo alcuni calcoli più specifici fatti dai tecnici, ce ne hanno concessi 120”, ebbe a dire un consigliere di Papandreou.
Dal 2010 il Pil è caduto da 226,2 miliardi a 179 del 2014. Gli stipendi si sono ridotti mediamente del 25-30% (oggi, nel settore privati gli stipendi vengono versati con mesi di ritardo). L’istituto di ricerca dei sindacati ha calcolato che il potere di acquisto dei greci si è ridotto del 37,2%, mentre un terzo della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, stabilita in 475 euro mensili. Circa 1,3 milioni di persone sono ufficialmente disoccupate, erano 604 mila del 2010.
Lo stesso giorno, ma cinque anni dopo, Angela Merkel e Alexis Tsipras si sono incontrati a Bruxelles per discutere quale sarà il futuro del Paese: immagine plastica che certifica che la crisi annunciata cinque anni fa continua la sua corsa verso il basso. E la data, anno 2012, in cui il Paese ne sarebbe uscito, parola di Papandreou, si sposta in un prossimo futuro. Prima dell’incontro con la Cancelleria tedesca, si è riunito, con chiamata straordinaria, il gruppo parlamentare di Syriza, durante il quale è successo anche un parapiglia tra deputati a proposito di coloro che hanno o non hanno rinunciato alla macchina di servizio, offerta dal Parlamento.
Alla partenza dalla capitale ellenica, Tsipras ha ribadito le sue posizioni: “Vogliamo una soluzione definitiva prima del 30 aprile, altrimenti verrà a decadere l’accordo del 20 febbraio. Abbiamo fatto ciò che si doveva fare, supponiamo che venerdì l’Eurogruppo prenderà una decisione positiva. Ma se la scelta sarà la rottura, allora tutto è aperto. Noi abbiamo mantenuto la nostra parola, adesso tocca a loro”. In parte la dichiarazione è stata smentita, ma ormai è abitudine del governo lanciare la pietra e poi nascondere la mano.
Tsipras incontra la Signora Merkel dopo che nel corso dell’Euro Working Group dello scorso mercoledì non sono stati fatti molti progressi. Ad esempio, ha spiegato il direttore generale del fondo salva-Stati Esm, Klaus Regling, non solo non c’è un piano di riforme completo, ma mancano anche dettagli sul bilancio 2015 e 2016. Senza contare che il governo prosegue con alcune misure “costose” (blocco dei tagli alle pensioni e aumento della soglia dello stipendio minimo), contrarie all’accordo del 20 febbraio. Tutte misure che fanno salire il deficit e che non vengono compensate da misure di pari valore.
Resta la “linea rossa” su pensioni e rapporti di lavoro che il governo non intende superare. Secondo indiscrezioni, non ci sono state dichiarazioni al riguardo, lo ha ribadito Tsipras durante l’incontro, durato circa un’ora, con la Signora Merkel. Ha chiesto che venga rispettato ciò di cui si è parlato a Berlino e più esattamente la proposta che Atene coprirà il 70% della distanza verso l’accordo, mentre i creditori copriranno il restante 30% e che si arrivi a un accordo entro fine mese. Insomma, Tsipras persegue con tenacia la sua linea nella ricerca di una “soluzione politica” che superi gli ostacoli posti dai tecnocrati europei.
Il Premier ha inoltre chiesto un incontro con Francoise Hollande e una riunione straordinaria dell’Eurogruppo la prossima settimana, che possa dare il suo avallo politico all’accordo e dia parere positivo per lo sblocco di una prima tranche previsto. Nessun commento da parte tedesca. È probabile che la Merkel abbia ribadito la sua posizione: i patti vanno rispettati.
Il tempo stringe, e le casse statali sono praticamente vuote. Se è un miracolo, ogni tipo di testimonianza sarà sufficiente; ma se è un fatto, la prova è necessaria, scriveva Mark Twain. Siamo già in possesso della testimonianza del vice ministro delle Finanze, la prova verrà fornita il 27, giorno in cui si pagheranno stipendi e pensioni. Di prima mattina, due giorni fa, il vice ministro, Dimitris Mardas, durante un’intervista televisiva ha annunciato che mancano 350-400 milioni dalle casse per poter onorare gli obblighi verso impiegati pubblici e pensionati. La conferma è arrivata anche da un portavoce del governo. Tuttavia, un’ora e mezza dopo, sempre il vice ministro in un’altra intervista ha rivelato che la somma è stata trovata.
Ma raccogliere i fondi degli enti locali non sarà un’impresa facile: i sindaci sono in rivolta contro il decreto e hanno chiesto a Tsipras di essere ricevuti il prima possibile, altrimenti “non ci sarà nessun trasferimento. Se il Paese rischia la bancarotta, daremo tutto ciò che abbiamo, ma prima ci devono spiegare”, hanno avvertito in una nota. Ma non sarà un’impresa facile per il governo perché quasi tutte le amministrazioni locali sono in mano ai due vecchi partiti, il socialista e il conservatore. E si prevede battaglia in Parlamento quando si dovrà discutere di questo decreto urgente, una prassi che sia il primo ministro, sia il Presidente del Parlamento, aveva promesso che non sarebbe stato adottato in alcuna occasione.