Alexis Tsipras dovrebbe ripassarsi gli insegnamenti di Pitagora, al quale si deve la distinzione tra logistica e aritmetica, cioè tra le regole pratiche di calcolo sui numeri e la scienza dei numeri. Cioè, fare un ardito tuffo nella realtà dei fatti. E con lui anche parecchi suoi ministri che non hanno ancora capito che, in questo momento così delicato, sarebbe meglio tacere. L’ultimo sondaggio indica che la maggioranza, 78% circa, dei greci si augura che si arrivi a un accordo con i creditori, che il 61,9% è contrario a un referendum e il 72,2% non è favorevole a elezioni anticipate, ma da parte di alcuni ministri si ribadisce l’ipotesi di una consultazione popolare, “sicuri che il popolo ci seguirà”. Il vice-presidente del Parlamento – noto avvocato di grido – si è spinto oltre mandando un segnale agli europei, forse nel momento più delicato delle trattative, affermando che il Consiglio di Stato (la nostra Corte dei Conti) ha ufficialmente decretato che “i tagli alle pensioni sono incostituzionali”.
Non vale la pena verificare l’attendibilità di tale notizia, potrebbe rivelarsi una “bufala” che si aggiunge al rosario di “bufale” sentite in questi tre mesi – per esempio, chi si ricorda ancora dell’imminente firma tra Atene e Mosca per il gasdotto? O delle frasi seriali “siamo vicino a un accordo”? O ancora “non ricattiamo e non cediamo a ricatti”? Oppure “il governo ha ricevuto un chiaro mandato popolare, dunque la risposta degli alleati non può che essere la conferma della volontà del popolo greco”? E infatti, nonostante sbagli, leggerezze ricatti e arroganza, oggi, se si andasse al voto, Syriza otterrebbe la stessa percentuale di voto (36,5%). La ragione di questa percentuale sta nel vuoto politico lasciato dai due precedenti partiti che hanno gestito la crisi negli ultimi cinque anni, il socialista e il conservatore, mentre all’orizzonte non si intravede l’embrione di una nuova formazione in grado di coagulare l’opinione pubblica filo-euro.
Tutto frulla e tutto si scorda. Tre giorni fa si parlava di “commissariamento” del ministro delle Finanze, l’altro ieri lo stesso ministro ha ribadito di essere lui il capo della delegazione nelle trattative che è lui “a dare il tono” ai colloqui. Ieri nessun suo stretto collaboratore è partito per Bruxelles. Sarà un gesto di cortesia diplomatica verso gli europei?
In questo gran polverone, il governo sta tagliando e cucendo il disegno di legge che dovrebbe – secondo Atene – aprire i cordoni della borsa dei creditori. Il testo doveva essere sottoposto, due giorni fa, al vaglio dei tecnocrati europei per una prima valutazione. Ma da Atene non è partito. Doveva essere discusso prima nel Consiglio dei ministri, secondo la prima edizione, e poi dalla segreteria politica di Syriza, ma all’ultimo minuto ieri Tsipras ha deciso, seconda edizione, che del disegno legge non se ne sarebbe parlato in Consiglio dei ministri, forse per timore che alla conta sarebbero spuntati pareri contrari. In altre parole: nessuna scelta politica è stata fatta. Sono ancora in mezzo al guado, indecisi se scegliere la sponda europea o la sponda referendaria, e si aspettano reazioni positive da Bruxelles, dove la delegazione ellenica è arrivata finalmente con le borse piene di numeri e percentuali.
Di sicuro, la “linea rossa” non verrà oltrepassata, al massimo il governo cederà, secondo indiscrezioni, su privatizzazioni (i due porti di Pireo e Salonicco), su alcune ristrutturazioni della burocrazia centrale delle entrate, sul blocco delle pensioni anticipate e sulla tredicesima per le pensioni inferiori ai 770 euro, sulla conferma dell’Enfia (la nostra Imu), sull’abolizione delle agevolazioni fiscali. Le scelte indicano che si pagheranno i balzelli che Tsipras aveva promesso di abolire. Su pensioni e lavoro non se ne parla, per il momento. La decisione verrà discussa a giugno nel corso della “trattativa pesante”.
O la va o la spacca. Tutto questo lavorio per arrivare a un accordo temporaneo – ponte, minimo o a gradini, a seconda dell’interlocutore – che faccia tirare il fiato al Paese, ormai prossimo all’asfissia. Tsipras scommette ancora su una stretta di mano, e sul suo rapporto personale con Frau Merkel. Si presume della stessa qualità di quello che la Cancelleria stabilì con Samaras e Papandreou. Poi si sono visti i risultati appena sono comparsi al tavolo delle trattative il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, o l’algido olandese presidente dell’Eurogruppo.
Da Bruxelles fanno sapere al primo ministro che non ci sarà un accordo senza “un costo politico”, tradotto: senza che non siano previsti tagli alle pensioni e la riforma dei rapporti di lavoro. Tradotto in volgare: niente soldi in cambio di niente. Quale sia la conclusione di questo martirio non è dato sapere, è questione di pochi giorni, forse.
Investiamo nell’esito positivo delle trattative. Quello negativo fa venire i brividi al 75,6% di greci che chiedono che il Paese resti “a qualunque costo” nella zona Euro – persino il 66,2% di elettori Syriza è d’accordo. Sicuramente su queste e altre percentuali si dovrebbe soffermare Tsipras, dopo aver ripassato Pitagora. Trascorso un mese, un mese e mezzo, si dovrà ritornare al tavolo delle trattative, forse anche prima, qualora ci sia da definire un terzo pacchetto di aiuti che dovranno essere approvati da tre Parlamenti. È arduo immaginare, data la cronistoria di questi tre mesi, come si svolgeranno i colloqui tra Atene e Bruxelles, quando si dovrà decidere quale sarà il prezzo da pagare per garantire la sopravvivenza del Paese. A condizione che si arrivi a giugno senza incidenti finanziari o politici. I primi potrebbero essere imprevedibili, come i secondi.
Il disegno legge dovrà passare al vaglio del Parlamento, e nessuno è sicuro che la maggioranza voti compatta. I circa trenta deputati, partigiani della rottura con l’Europa feudo tedesco e delle vele al vento verso un “glorioso avvenire” con l’aiuto di Cina, Russia, Brasile e altri Paesi, voteranno a favore, oppure daranno un ultimatum al governo: o noi o la salvezza del Paese? A mente fredda non si può imputare a loro la colpa del loro massimalismo. Era noto da tempo. Eppure sono stati eletti, dunque la colpa ricade sugli elettori? No, in ragione che Syriza e il suo giovane leader – cui stanno già crescendo i primi capelli bianchi – erano l’unica opzione possibile perché gli avversari erano si erano “bruciati” perché ritenuti responsabili del disastro economico e sociale.
“Arriva la speranza!” urlava Tsipras, concludendo la lettura delle sue promesse sull’imminente fine dell’austerità. Sapeva che la speranza è l’ultima a morire.