La sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni finirà sotto la lente della Commissione Ue. Il buco da 13 miliardi che si è aperto con la bocciatura della deindicizzazione stabilita dalla legge Fornero sta creando molta apprensione a Bruxelles, la cui linea è quella di concedere flessibilità sui conti in cambio di riforme. Una concessione che nel caso dell’Italia rischia di arenarsi di fronte alla decisione dei giudici costituzionali. Ne abbiamo parlato con Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università di Parma.
Renzi ha affermato: “La Consulta non dice che bisogna restituire tutto”. E’ veramente così?
Dare un’interpretazione autentica di una sentenza della Consulta è sempre difficile. La Corte costituzionale si esprime sui principi, e poi sono i governi che devono trasformare i pronunciamenti generali in decisioni che hanno effetto sui saldi di finanza pubblica. Un margine per Renzi esiste, perché di fatto la sentenza della Consulta richiama articoli della Costituzione sull’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, sulla proporzionalità del reddito che uno riceve a fronte di un impegno di lavoro e sulla non disparità dei trattamenti.
In che modo il governo italiano può soddisfare le richieste sia della Consulta sia della Commissione Ue?
Le richieste che vengono dalla Consulta si possono dividere in una parte che determina un aggravio permanente sui conti pubblici e una parte che serve solo a sanare i mancati pagamenti del passato. Poniamo che un pensionato abbia diritto a ricevere 2mila euro, perché nell’arco di quattro anni non gli sono stati dati 500 euro l’anno. L’aggravio permanente è di 500 euro per il bilancio pubblico, mentre gli altri 1500 servono per restituirgli gli arretrati.
E quindi?
La Commissione Ue è preoccupata soprattutto per i 500 euro, cioè per la componente permanente, in quanto ciò cui si guarda è soprattutto al disavanzo strutturale. Esiste quindi un margine per il governo, nel momento in cui si rimarca una differenza tra uscite temporanee e parzialmente permanenti provocate dal pronunciamento della sentenza numero 70.
Come ritiene che vadano reperite le risorse?
Tra le ipotesi c’è una continuazione della spending review sanitaria, riduzioni di spesa che abbiano a che vedere con le partecipate e l’attuazione della riforma sulla pubblica amministrazione. Questa è la musica che Bruxelles vuole sentirsi suonare. A loro interessa meno il fatto di avere una copertura nell’immediato delle uscite, mentre preme di più che si rendano più precise le misure di riduzione della spesa che finora sono ancora da annunciare. Questi interventi saranno precisati con la legge di stabilità, ma è urgente che siano definiti già prima di allora in modo da rassicurare sullo Stato dei nostri conti pubblici non solo Bruxelles ma anche gli italiani.
Oggi in Commissione Ue si darà il via libera alla flessibilità in cambio di riforme. In che modo ritiene che l’Italia debba giocarsi questa partita?
Occorre anticipare le misure che si intendono mettere nella legge di stabilità per il 2016. Questo aumenterebbe le probabilità di vederci garantita la flessibilità che Bruxelles vuole comunque concedere un po’ a tutti. Se poi però si incomincia a dire che la riforma della scuola viene diluita e che quella della PA non esce dalle secche della Commissione Finanze di Camera e Senato, sarebbero dei segnali che non vanno bene. Il governo potrebbe impegnarsi ad approvare in anticipo i punti principali della legge di stabilità, chiarendo quanta parte andrà in riduzione d’imposte e quanta in riduzione di spese in modo da vincolarsi sui saldi.
(Pietro Vernizzi)