Si continua a discutere fino all’esaurimento. Forse alla fine di questo mese, o all’inizio di giugno, si arriverà a un accordo “tecnocratico”, almeno stando ai desiderata di Jean-Paul Juncker, di Frau Merkel e di Hollande. Fermata di posta in vista dell’accordo finale che dovrebbe essere concordato per l’autunno. Su alcuni punti Grecia e creditori sembrano aver raggiunto un’intesa, primo fra tutti il riallineamento delle aliquote Iva. Resta il nodo del mercato del lavoro e del sistema pensionistico, anche se Atene ha già ceduto sulla clausola “zero-deficit” per quelle integrative. L’articolo specifico doveva essere abolito (stando alle promesse elettorali), ora resta in vigore ma momentaneamente congelato.
Questo accordo-ponte dovrebbe essere accompagnato da misure dell’ordine di 5 miliardi per il biennio 2015-2016, 4 in più rispetto a quelli che aveva programmato il governo Samaras, a novembre del 2014. Tsipras ora ha fretta di concludere. Il governo ha ufficialmente annunciato che, al momento, non potrà onorare i suoi debiti – 11 miliardi – nel periodo giugno-agosto, per questa ragione si dovrà discutere anche della ristrutturazione del debito pubblico.
È questa una delle quattro condizioni su cui insiste Atene. Le altre tre sono note: niente taglio alle pensioni e agli stipendi (il governo non specifica mai che si riferisce al settore pubblico), un avanzo dell’ordine dell’1% e un progetto di investimenti pubblici per far ripartire l’economia. Questa linea è stata illustrata agli imprenditori ellenici, nel corso dell’assemblea generale di Seb (la Confindustria ellenica). Si aspettavano di sentire le strategie per il futuro del Paese, ma sono stati in parte delusi. Tsipras ha ripreso il vecchio ritornello delle responsabilità dell’Europa, colpevole di aver fatto mancare la liquidità alla Grecia. “Sottolineo che non è responsabilità del governo la mancanza di fondi. Fa parte della dura tattica nelle trattative che adottano i creditori e non so se in Europa tutti ne sono orgogliosi. Alla fine, tutti saranno a fornire spiegazioni per come si sono comportati negli ultimi tre mesi”. Da parte nostra – ha aggiunto Tsipras – c’è stata un sincero tentativo di arrivare ad un accordo, ma “forze e circoli” hanno fatto resistenza perché “non volevano l’accordo, avendo nel loro cassetto scenari di divisione tra Grecia ed Europa”. Ha poi illustrato una possibile strategia per lo sviluppo. Troppo generica, a detta di molti imprenditori.
È poi salito sul palco il “divo” Yanis Varoufakis. “Per arrivare a un giusta soluzione servono entrambe le parti. La nostra e quella dei creditori che devono giungere a un reciproco accordo. Noi dobbiamo diventare più competitivi, più efficienti e convergere verso gli standard del Nord Europa. I creditori devono accettare che la logica dell’austerità è fallita”. Ma anche la strategia dello sfinimento dell’opinione pubblica, che ha mutato il suo umore negli ultimi giorni, è fallita.
Nel mese di marzo di quest’anno le vendite nei supermercati sono scese del 5,2% rispetto al 2014. Ogni giorno che passa chiudono 59 aziende per circa 600 posti di lavoro persi. Sono impietosi i numeri diffusi dalla Confederazione delle piccole e medie imprese elleniche e dei commercianti, secondo cui anche l’arrivo di nuova liquidità, da solo, non potrà rilanciare un mercato congelato. Una situazione che, al netto di futuri accordi, se mai ce ne fosse stato bisogno, certifica un fallimento già verificatosi ad Atene.
Sempre secondo la Confederazione, solo per riavviare il mercato servirebbero almeno 25 miliardi. A fine 2014 il fatturato del commercio al dettaglio segnava un -26,2% rispetto a cinque anni prima, quello delle vendite all’ingrosso -37,1%, mentre le automobili sono crollate a -61,9%. L’incertezza non è una buona terapia per un mercato in attesa di eventi. Nella società inizia a farsi strada l’indifferenza, anzi il fastidio che tutti ruoti attorno alle discussioni sull’accordo, sulla rottura e sul referendum. È un Paese sospeso.
L’ultimo sondaggio, svolto per conto del canale tv Skai dall’Università di Macedonia di Salonicco, fotografa un cambiamento negli umori. Nell’istantanea di oggi, il 41% degli intervistati ritiene che la strategia del governo nelle trattative è sbagliata (a febbraio era del 22,5%), mentre è giusta per il 35% (a febbraio era del 72%). Inoltre, il 61% ha risposto che il governo dovrebbe limare le sue promesse elettorali data la situazione di stallo nelle trattative. Il 35% sottolinea che il governo deve mantenere fede alle promesse. Divisi invece in tre i cittadini sull’ipotesi che l’accordo non sia compatibile con il programma di Syriza: il 30% pensa che sia il Parlamento a doversi esprimere; il 28% vorrebbe il referendum; il 27% preferirebbe un governo di “unità nazionale”.
Ma la sinistra-sinistra non demorde. Secondo l’economista e deputato Syriza Costas Lapavitsas, è giunto il momento delle decisioni importanti. E se il Paese ritorna alla moneta nazionale, la ripresa arriverà nel giro di pochi mesi, ribadendo che il “popolo” è pronto al ritorno alla dracma. Si presume che il suo sarà un voto contrario alla firma dell’accordo. E con lui altri deputati che perseguono la linea della rottura. Per questa ragione, Tsipras ha convocato, ieri pomeriggio, la Presidenza del suo gruppo parlamentare per saggiarne gli umori. Ha chiaramente evocato il ricorso alle urne nel caso in cui la sua maggioranza non voti compatta i termini dell’accordo.
Sarebbe una sconfitta se, infatti, l’accordo venisse approvato grazie ai voti dell’opposizione e bocciato da alcuni dei suoi deputati. Le ipotetiche elezioni sarebbero un “referendum” sull’azione del governo e di Tsipras in particolare. Tuttavia nuove elezioni prevedono fondi pubblici, una campagna elettorale, ma soprattutto una sfrenata corsa alla speculazione. A meno che i compagni non decidano una ritirata che non sarà certamente onorevole per loro perché perderanno la faccia di fronte all’opinione pubblica e ci saranno buone ragioni per parlare della “sinistra del niente” (copyright di un ministro). Oggi è la volta della segreteria politica di Syriza.