Si vis pacem, para bellum. Non siamo proprio alla dichiarazione di guerra, quanto alla dichiarazione che oltre la “linea rossa” Tsipras e il suo partito non sono disposti ad andare. Due giorni di dibattito al Comitato Centrale di Syriza non hanno portato sostanziali novità. Le posizioni sono le stesse ribadite e ripetute fino allo sfinimento. La relazione del Presidente e primo ministro è stata accettata dalla maggioranza con una semplice conta delle braccia alzate. La mozione – adozione del “Piano B” e ritorno alla divisa nazionale – della sinistra-sinistra è stata messa ai voti: 75 a favore, 95 contro. Venti voti di differenza che indicano che il partito è spaccato quasi a metà, tra chi vuole un accordo “sostenibile” e chi chiede la “rottura” e l’inizio dell’avventura verso altre terre lontane, come moderni Giasone. Ma questa minoranza non ha ricevuto anche lei il mandato popolare (sempre sbattuto in faccia agli europei come grimaldello per non arretrare) per restare nell’euro?
Il 71% sostiene che nella moneta unica ci vuole restare. Questa percentuale non si è fatta i conti in tasca su quanto costerebbe l’alternativa, semplicemente non ha la forza psichica necessaria per affrontare questa ipotesi: è già così incerto il futuro con l’euro, figurarsi come lo sarebbe con la dracma. È possibile che per i dirigenti “syrizei” questa sia soltanto una discussione accademica, tanto per alzare polvere e sostenere l’audience televisiva, ma per molta gente l’ipotesi è inquietante. Ad esempio, per coloro che hanno contratto un mutuo in euro (e sono milioni di cittadini).
Tsipras è stato accorto, nel suo discorso, a non scontentare nessun compagno. Ha parlato di un “accordo sostenibile”, un sostegno finanziario per lo sviluppo dell’economia e un taglio netto alle politiche di austerità. Niente di nuovo. Subito dopo, nel suo discorso, ha dato fiato alle trombe nello stile della propaganda elettorale, inveendo contro la “Troika dell’interno”, cioè oligarchi, proprietari dei canali televisivi e la vecchia “élite” politica.
Ottocentoventi parole che hanno infiammato la platea. A conclusione, duecentoquattordici parole su come il governo intende agire per il futuro del Paese a cominciare dalla riforma dello Stato, perché, “un’efficace e democratica amministrazione pubblica è la condizione per attuare il programma di redistribuzione del reddito e per una maggiore giustizia sociale, che costituiscono il DNA sia di Syriza, sia del governo”. Non è la prima volta che i primi ministri ellenici parlano della riforma dello Stato: promessa di tutti, disattesa da tutti, per ora.
Ora sta a Tispras firmare l’accordo con i creditori, e poi portarlo in Parlamento per la votazione. Lui è convinto che ci sarà un lieto fine per tutti, greci, ex comunisti del suo partito e creditori. Si è però lasciato la porta aperta della “rottura”, votata a maggioranza, e ha ribadito che la riforma delle pensioni dovrà essere discussa in seguito. Si dovrà comunque infilare il coltello nella piaga perché non è possibile che gli europei finanzino un sistema non sostenibile. Da Bruxelles comunque arrivano segnali di fumata bianca su alcuni punti delle trattative che potrebbero portare a una conclusione verso il fine settimana. Ha necessità che ad Atene arrivino 7,2 miliardi per far fronte ai debiti da pagare.
Per ora i 305 milioni da versare al Fmi non sono reperibili. Punto. Tra pagare il Fmi e pagare stipendi e pensioni il governo non ha dubbi: viene prima la società ellenica. Eppure, stando ai dati pubblicati ieri, lo Stato è creditore di circa 77 miliardi per tasse arretrate, per contributi pensionistici e Pfa (Iva) non versati. Dall’inizio dell’anno i miliardi sono 4,2. Interessante il dato che indica l’efficacia del Memorandum: da 29,30 miliardi a fine 2009 ai 77 di fine maggio 2015.
Questi debiti dei privati verso lo Stato sono da imputare in parte alla riduzione di stipendi e pensioni, e alla chiusura di numerose attività commerciali e industriali, in parte alla totale disorganizzazione della macchina statale. Alla data dell’11 maggio circa 380 mila contribuenti hanno chiesto, in base alla nuova legge votata dal governo, di regolarizzare i loro debiti per un totale di 2,8 miliardi lo stesso dicasi per 144 mila assicurati per circa 3,4 miliardi, ha ricordato un orgoglioso Tsipras durante il suo discorso. La legge delle “cento rate” è una buona legge, altre dovrebbero seguire ad accordo concluso perché il vero problema della Grecia non è tanto economico quanto politico, o meglio è economico in ragione di una classe politica che non ha mai avuto una chiara idea di quale dovesse essere il futuro del Paese.
Come nell’antichità, la classe politica viaggia sotto costa con un orizzonte limitato e con la parola d’ordine: non penalizzare la propria base elettorale. Nessun governo ha mai seriamente tentato di trasformare il Paese con radicali riforme che lo avvicinassero al modello europeo. E il caos amministrativo e burocratico è costato miliardi di euro che si sono persi nei rivoli della corruzione e dell’inefficienza degli organi di gestione della spesa pubblica. A iniziare a mettere ordine in questo caos, quando non si conosceva neppure il numero esatto dei pensionati Ika (l’equivalente del nostro Inps), è stata la Troika, con le conseguenze che oggi Tsipras vorrebbe cancellare.
A titolo di esempio: è stata la Troika, tre anni fa, a imporre lo stipendio unico agli impiegati pubblici. Prima di allora, a parità di qualifica e anzianità, ogni ministero decideva autonomamente l’ammontare della busta paga: i privilegiati erano i dipendenti di alcuni ministeri “pesanti” (Economia, Difesa, Interni), gli sfortunati quelli del ministero della Cultura. Sempre la Troika ha imposto un drastico taglio ai privilegi di alcune categorie di pensionati, soprattutto di coloro che con due decenni di contributi potevano ritirarsi a vita privata. Oppure si entri in un’aula di Tribunale per una banale questione legale per capire che quanto il tempo sia denaro.
Memorandum sì o Memorandum no? Mentre a Bruxelles si discute, alcuni operatori turistici stranieri obbligano i colleghi greci a firmare contratti a condizione che venga accettata la “clausola di default”, oppure quella della variazione della aliquota Fpa (Iva), o ancora quella di un’ipotetica “Grexit”. Mentre gruppi alberghieri sono obbligati a pagare in contanti i beni importati dall’estero. Il turismo è definito “l’industria pesante” del Paese. Tutti aspettano di conoscere il numero dei turisti in arrivo. E con l’indecisione sul numero percentuale sulla ristorazione e sulla spesa alberghiera cresce anche l’incertezza su come andrà la stagione turistica, che si va a sommare alle altre incertezze che si traducono in un’ulteriore contrazione dell’economia.