A ricordare che la Grecia è un Paese democratico –  a dispetto del Fmi che a suo tempo definì Atene un “cattivo cliente”, dimenticando che fino ad allora il fondo aveva avuto a che fare con paesi a struttura oligargica, o a democrazia limitata – ieri il Consiglio di Stato (la nostra Corte dei conti) ha dichiarato anticostituzionale il taglio alle pensione avvenuto nel 2012. A mitigare la sentenza il Consiglio aggiunge che la norma non è retroattiva, ma entrerà in vigore appena la decisione verrà formalizzata. Fatti due calcoli, l’aggravio per le casse statali si aggira sul miliardo di euro. Il ministero delle Finanze ha commentato affermando che la decisione deve essere rispettata, ovviamente tenendo conto della situazione di cassa dei fondi pensione.



Se nel programma elettorale di Syriza si prevedeva il ripristino dell’ammontare delle pensioni al 2012, oggi questa sentenza mette ulteriormente in imbarazzo il governo, occupato oggi e fino al 18 giugno (giorno della riunione dell’Eurogruppo) a trovare la quadratura tra le richieste dei creditori e le sue proposte. Dopo l’incontro notturno di due giorni fa, in cui Frau Merkel e Monsieur Hollande hanno rimandato Tsipras – che ieri ha rivisto Jean-Claude Juncker per mettere a punto i dettagli dei futuri impegni – al tavolo delle trattative “tecniche” con il Brussels Group, Atene rilancia con un’altra proposta: l’estensione dell’attuale programma di aiuti fino a marzo 2016, data in cui spira l’accordo con il Fmi, cioè il prolungamento del secondo Memoradum (in questo caso si provvederà al conio di una nuova parola) e una clausola sul debito pubblico. A conferma ci sono le dichiarazioni del portavoce parlamentare di Syriza, Nikos Fìlis, il quale ha affermato che il Memorandum non verrà cancellato. 



L’obiettivo del governo è quello di continuare ad avere la “protezione” dei creditori europei (anche nel caso in cui il Fmi non dia altri fondi) e di permettere all’economia di riprendersi. In buona sostanza, qualora i creditori accettassero questa proposta, la Grecia sarà costretta a entrare nella logica “nuove misure in cambio di soldi”, ma soprattutto dovrà superare l’esame della “valutazione” dello stato di cassa, esame che il governo Tsipras non ha mai voluto sostenere perché avrebbe riconosciuto ufficialmente l’esistenza del Memorandum. Ovviamente, la possibile estensione comporterebbe il congelamento di “azioni unilaterali” (per esempio, i rapporti di lavoro e altro ancora) e la smentita di parecchi annunci elettorali. 



Per il governo, questa proposta sarebbe “provvisoria” ed eviterebbe qualsiasi incidente finanziario. Atene non chiederà ulteriori fondi all’Europa, ma userà vecchi e nuovi “strumenti” nel contesto dell’attuale programma di sostegno economico che potrebbero coprire i bisogni del Paese per circa 25-30 miliardi. In cambio, la Grecia è disposta a mettere mano a misure pesanti, senza comunque oltrepassare la “linea rossa”, un attivo di bilancio dell’1%, rispetto allo 0,75% finora proposto da Atene (la differenza si sostanzia in circa 450 milioni), e una modifica alle aliquote del Fpa (Iva). Come da copione, ieri in Parlamento, il ministro delle Finanze ha smentito il fatto che il governo avesse approvato la percentuale. 

Il giovane Alexis Tsipras ce la sta mettendo proprio tutta per chiudere questo inizio difficile della sua presidenza. D’altra parte è portavoce della maggioranza dei suoi cittadini, il quale per un 80% desiderano che il Paese resti nell’euro. Mentre il 54,8% esprime “paura” per un possibile default e il 50,2% dichiara che il governo deve trovare un accordo con i creditori. Ma si sa che i numeri in politica sono sempre fluidi. 

Ecco allora che il foglio elettronico (Iskra, in russo “scintilla”) ufficiale dei “duri e puri” di Syriza pubblica una lettura diversa dell’indagine. “Il 53% degli elettori di Syriza dichiara che preferisce la ‘rottura’ e soltanto il 34% si dice favorevole all’accordo”. In ogni caso, conclude l’articolo, i cittadini sembrano non essere in sintonia con la “memorandumcrazia” (traduzione letterale della parola, ndr). Non va dimenticato che il capo-popolo dei “duri e puri”, Panagiotis Lafazanis, in un omaggio alla memoria del suo mentore, il segretario storico del Kke-ex (Partito Comunista di Grecia dell’esterno che ubbidiva a Mosca), scrisse poco tempo addietro: “Stai aspettando di vedere una Grecia libera, indipendente, socialista. Forse non dovrai aspettare per molto”. 

Peccato, che il placido e ragionevole Florakis esprimesse idee diverse quando nel 1989 scelse di far uscire il Paese da una grave crisi politica e istituzionale, favorendo la nascita di un governo di “unità nazionale”. Fu allora che, in compagnia dell’altro “grande vecchio” della sinistra, Leonidas Kyrkos, segretario del Kke-es (Partito Comunista di Grecia dell’interno che cinguettava con l’euro-comunismo) diede vita al primo abbozzo di Syriza. Ciò che è successo dopo va imputato al provincialismo di giovani e meno giovani intellettuali che non hanno saputo plasmare le loro teorie sulla realtà ellenica che modificava i suoi paradigmi sociali.

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