Chi seppelisce la “democrazia europea”? A commento del fiasco nelle trattative di fine settimana, il primo ministro Tsipras spiega che noi “portiamo sulle nostre spalle la fierezza di un popolo, ma anche la speranza dei popoli d’Europa. Il fardello è pesante. E non è un discorso ideologico, ma un discorso di democrazia. Non abbiamo il diritto di seppellire la democrazia europea nel luogo in cui è nata”. E, aggiunge Tsipras, soltanto una scelta politica potrebbe definire l’insistenza delle istituzioni con cui chiedono tagli alle pensioni dopo cinque anni di saccheggio da parte del Memorandum.
A Bruxelles non si è trovata una quadratura e a tutt’oggi restano quindici giorni per arrivare a un accordo. Atene insiste che serve un “accordo politico” che metta all’angolo le iperboliche pretese del Fmi, il quale, stando al quotidiano tedesco “Frankfurter Allgemeine” avrebbe sabotato per ben due volte l’accordo che era stato raggiunto. Prossima tappa, la riunione dell’Eurogruppo giovedì 18. Data importante: lo stesso giorno Tsipras sarà a San Pietroburgo per partecipare al Forum economico organizzato da Brics. Sempre il 18 dovrebbe vedere la luce il documento sui primi accertamenti svolti dalla Commissione del Parlamento, presieduta dal Presidente del Parlamento, sul debito pubblico ellenico. Alcuni voci affermano che verrà scritto nero su bianco che una parte del debito si potrebbe definire “illegale”.
Il finale di partita è il 30 giugno. Per questa ragione il governo ellenico sta ancora lavorando per arrivare a un qualche compromesso che sia “onorevole” per tutte le parti interessate. Sta lavorando, si direbbe, con freddezza e tranquillità. Da Atene, infatti, è partita un’altra bozza di intesa di otto pagine, in cui sono contenute le nuove proposte del governo: nuove tasse e finalmente una lunga serie di misure per combattere l’evasione e la frode fiscale. Ci eravamo dimenticati di queste promesse elettorali, adesso riprendono quota. Comunque, nessuno ha alzato la voce, tranne ovviamente i “duri e puri”.
La distanza è ancora notevole tra le richieste delle istituzioni e le posizione elleniche. Atene rifiuta il taglio a pensioni e stipendi e all’aumento dell’Iva (Fpa). Comunque è una tragedia già vissuta prima delle firma dei due primi memorandum. Quando Papandreou ricattò i creditori con la minaccia di un referendum, venne convocato da Merkel e Sarkoy a Cannes e venne “sculacciato”. Quando invece a Samaras venne chiesto un taglio di 1,5 miliardi sul bilancio, la Troika gli sfilò la sedia dopo che l’allora primo ministro rifiutò di assumersi questo fardello.
Comunque finisca questa nuova “lotta”, il punto su cui pochi hanno discusso è uno solo: la Grecia deve essere rifondata dalle radici. Tutti gli interventi finora non hanno aggredito le patologie sociali ed economiche del Paese. È sufficiente chiedersi il perché le istituzioni chiedono un aumento del Fpa. Potenzialmente gli introiti per le casse statali sono calcolati in 23 miliardi, ma lo Stato incassa 10 miliardi in meno. Di chi è la colpa? Di un sistema di controllo tributario che fa acqua da tutte le parti, se proprio non vogliamo aggiungere anche un certo livello di corruzione. Dunque anziché rendere i controlli efficaci si preferisce aumentare il gettito teorico.
Con la stessa metodologia si sono fatti i calcoli anche per la tassa sulla prima casa: il proprietario paga di più di quanto dovuto perché nella sua quota è prevista la percentuale di perdita dovuta a chi la tassa riesce a evaderla, sapendo che può farla franca. Ma non basta. Di fronte a una possibile contestazione da parte del contribuente, la giustizia prima di emettere una sentenza impiega almeno due-tre anni.
Oppure, ci si potrebbe chiedere perché sempre le istituzioni chiedono un altro taglio (sarebbe il quinto) delle pensioni. Indubbiamente il sistema pensionistico in Grecia non è sostenibile. Nonostante i tagli, la spesa pensionistica è aumentata negli ultimi due anni, perché è aumentato il numero di pensionati. Molti di loro, usando delle agevolazioni poi abolite, hanno preferito un assegno ridotto sicuro, piuttosto che non sapere quando avrebbero potuto andare in pensione con le nuove leggi. D’altra parte il rapporto tra pensionati e occupati è squilibrato verso i primi. Servirebbero investimenti che creassero posti di lavoro: ma chi oggi ha il coraggio di investire in Grecia? Una burocrazia inefficiente, una giustizia lentissima, un clima politico che vira pericolosamente a sinistra che non vuole privatizzare, tutti questi parametri inibiscono possibili iniziative di rilancio dell’economia.
Un manager italiano di una società italiana che opera in Grecia, alla domanda quali sarebbero state le sue reazioni di fronte all’aumento dello stipendio base (751 euro), che il ministro del Lavoro vorrebbe ripristinare, ha risposto che avrebbe dovuto licenziare del personale. Quanto poi ai contratti collettivi di lavoro, l’altra proposta, il manager ha ricordato che anche in quel caso nessun imprenditore, oggi, applicherebbe questa norma: il mercato è troppo volatile per applicarla.
Può sembrare un particolare insignificante: comprate dalla Spagna mandorle per un valore di 16 milioni di euro, acquistate alcune tonnellate di carta igienica dall’Italia per un valore di 32 milioni di euro. Adesso si discute per un accordo che sarà comunque temporaneo, se mai verrà votato dai “duri e puri”. In seguito la “democrazia europea” dovrebbe arrivare a un soluzione globale senza che i greci non si sentano sottomessi. Dovrebbero essere loro a decidere il loro futuro, con un possibile governo di unità nazionale – sarebbe la prima volta – liberi dalla gestione parallela della politica da parte di terzi (troika), e magari imparando a raccogliere anche mandorle, anziché lasciarle marcire in terra.