Mercoledì pomeriggio. Due amici, entrambi hanno votato Syriza, si ritrovano a discutere a quale manifestazione partecipare. Quella di questa sera (ieri per chi legge), organizzata non ufficialmente dal partito, in cui lo slogan è “Riprendiamoci la trattativa. Abbattiamo l’austerità”, oppure quella di oggi giovedì organizzata dal passaparola dei social media con lo slogan “Restiamo in Europa”? È forse una allegoria di quanto sta succedendo in questi giorni, sia nel governo indeciso se “rompere” come chiede la sinistra radicale, o se proseguire a trattare, e sia nella società (diciamo la sua maggioranza), disposta ad accettare un “pessimo” accordo piuttosto che uscire alla moneta unica. Comunque un primo assaggio lo si è provato ieri mattina, quando un gruppo di sindacalisti del Syriza ha occupato gli uffici di Atene della Commissione europea, esponendo uno striscione con questo slogan: “I popoli non si ricattano. Il Paese non è in vendita”.
Prevarrà sicuramente una delle due scelte, in ogni caso questa turbolenza avrà sicuramente delle conseguenze politiche ed economiche. Il governo sta ancora trattando, almeno in forma “carsica”. Ufficialmente la linea telefonica tra Atene e Bruxelles si è interrotta, anche se fonti governative affermano che esistono ancora margini di trattativa almeno fino al 30 giugno. Un punto su cui Atene non è disposta a cedere è ormai chiaro a tutti: senza un accordo sulla ristrutturazione del debito pubblico il governo non firmerà alcun impegno con i creditori. Richiesta che trova d’accordo il Fmi e la resistenza degli europei, i quali invece sarebbero disposti a chiudere la trattativa, mentre il Fmi continua a esigere il taglio di un punto di Pil sulle pensioni.
Si sta comunque facendo strada un compromesso che prevede un prolungamento dell’attuale programma di aiuti almeno fino a settembre, per dare modo ai contraenti di dimenticare le reciproche accuse, e ripartire con una rinnovata buona volontà. Ma è uno scenario che ha lo stesso valore ipotetico di altri. Per ora nessun “giocatore” (considerato che a ogni mossa segue la dichiarazione “adesso la palla è nella vostra metà campo”) vuole arrivare alla rottura definitiva, né Tsipras, ne Frau Merkel, tantomeno Juncker. E dunque si aspetta che qualcuno faccia un’altra mossa. Nel frattempo la Bce ha deciso di ampliare da 83 a 84 miliardi di euro i fondi Ela per le banche greche.
Come si è consumata la rottura? Atene sostiene che non può accettare le proposte dei creditori soprattutto sul sistema pensionistico, Bruxelles, per bocca dello stesso Presidente Jean-Claude Juncker, sostiene che gli europei non hanno mai presentato questa richiesta e aggiunge che Tsipras non racconta la verità ai suoi cittadini. E da questo punto si va in caduta libera. Eppure sarebbe sufficiente rendere pubbliche tutte le bozze presentate per capire chi sta mentendo e chi no.
Su questa incertezza continuano le reciproche accuse che non fanno altro che gettare legna sul fuoco nel caminetto della sinistra-sinistra di Syriza. Se la linea a favore della “rottura” poteva apparire, nelle scorse settimane, il canovaccio politico di alcuni parlamentari da recitare di fronte alle telecamere, da lunedì scorso l’ala intransigente ha preso forza, non tanto per le sue vaghe e fanta-politiche ipotesi, quanto dallo stallo nelle trattative.
Un dato comunque è certo. Gli europei chiedono misure per 5,8 miliardi per questi ultimi sei mesi e per l’anno prossimo. Atene propone una misura di 5,6 miliardi per lo stesso periodo. La differenza numerica non è incolmabile, mentre le due parti non riescono a trovare un’intesa su dove operare i tagli e su come raccogliere soldi freschi.
“Alle persone non interessa se usciamo dall’euro o meno”, sosteneva un giornalista lunedì scorso. Lo stesso giorno, dalle banche venivano ritirati 600 milioni di euro. A oggi (ieri per chi legge) negli ultimi tre giorni è stato prelevato un miliardo di euro. Ieri il campanello di allarme lo ha suonato anche il Governatore della Banca Centrale di Grecia, Yannis Stournaras, presentando la relazione sulla politica finanziaria 201-2015, sostenendo che un nuovo accordo è “necessario” allo scopo di allontanare incidenti immediati che sono presenti oggi per l’economia.
Un intervento che certo non è piaciuto ad alcuni ministri che non hanno mai visto di buon occhio il Governatore, già ministro dell’Economia durante il governo Samaras, e dallo stesso poi nominato per la più alta carica della Banca Centrale. Per il momento parla la piazza, poi qualcuno dovrà decidere.