Il giovane Alexis Tsipras è ottimista: “È uno sviluppo positivo nel percorso verso l’accordo”. In un comunicato, il governo ellenico commenta la decisione del presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, di convocare per questo lunedì un vertice straordinario. “Ci sarà una soluzione nel quadro delle regole Ue e della democrazia che permetterà alla Grecia di tornare a crescere”. E poi: “Tutti quelli che hanno scommesso sulla crisi e su uno scenario di terrore dovranno riconoscersi in errore”.
Il primo ministro ha finalmente ottenuto ciò che chiedeva: la crisi ellenica va affrontata al più alto livello politico. Sul suo ottimismo non si deve comunque fare molto affidamento: sono tre mesi, infatti, che sostiene che presto sarà raggiunto un accordo. Ma quella di lunedì sarà l’ultima sua occasione per accettare di non far fallire il Paese. Il tempo è tiranno e le casse sono vuote. Atene deve restituire 1,6 miliardi al Fmi entro il 30 giugno, pena l’immediato default. Stessa somma va trovata per pagare i salari pubblici e le pensioni del mese. Il 13 luglio scadono 450 milioni da rimborsare, ancora, a Washington. Quindi 3,5 miliardi per la Bce il 20 luglio. Infine, il 20 agosto, scadono 3,2 miliardi di debito sovrano. Ma, “in questo momento le casse sono a secco”, ha detto mercoledì scorso il capo negoziatore ellenico.
Appuntamento a lunedì, nel frattempo gli sherpa continuano a lavorare per un’intesa, nonostante la signora Lagarde abbia affermato che si dovrebbe trattare con “persone adulte”. Si parla nuovamente di un’estensione dell’attuale programma di finanziamento (fino a fine 2015?) e di una futura discussione sulla ristrutturazione del debito pubblico, conditio sine qua non posta da Atene per firmare. E dopo il duro messaggio dell’Eurogruppo, la Grecia è invitata a presentare entro lunedì mattina delle controproposte in base al documento presentato da Jean-Claude Juncker. Da parte ellenica si spera che le differenze sul buco di bilancio del 2016 vengano colmate, e come ha sostenuto una “poetica” voce governativa: “Il cerino è acceso. Speriamo che non produca fuoco, ma luce”, aggiungendo che l’accordo sarà funzionale nel caso in cui potrà fare fronte ai bisogni finanziari del Paese, ma dovrà rendere chiaro su come gestire il debito pubblico.
Sempre convinto che “l’uscita della Grecia dall’euro sarebbe l’inizio della fine dell’Eurozona”, Tsipras deve convincere, oltre ai creditori, anche i suoi elettori e, più in generale, la società ellenica di saper prendere delle decisioni. Seimila persone circa sono scese in piazza giovedì sera, senza striscioni e bandiere, per ribadire la loro volontà di restare nell’euro. Molti di meno erano invece i manifestanti che chiedevano la “rottura” e la “fine del ricatto”.
La maggioranza vuole restare nell’euro, ma sembra non fidarsi più di tanto delle parole del governo o di alcuni suoi ministri, particolarmente inclini alle acrobazie verbali. Questa forse la ragione per cui in questa settimana sono stati prelevati circa 3 miliardi di euro, secondo fonti bancarie elleniche. Rispetto al passato, questa volta un “non paper” del governo ha commentato questo dato sostenendo che esiste un progetto per la fuga di capitali, e che queste tecniche sono come “il burro sul pane per i creditori che vogliono ricattare ulteriormente il governo”. “Che cosa può succedere se usciamo dall’euro. Soffriremo per due-tre mesi e in seguito creeremo una forza economica mondiale. Non ci dobbiamo preoccupare. Possiamo operare una breve deviazione dalla strada della felicità, ma su questa ritorneremo”, parole del ministro Dimitris Stratoulis. C’è da chiedersi chi siano i burattinai che invitano i greci a prelevare quei pochi contati loro rimasti, se non gli stessi ministri e funzionari di partito. D’altra parte il ministro è solito a simili dichiarazioni: se usciamo dall’euro il danno peggiore non sarà per noi, ma per gli altri Paesi.
Il drenaggio di liquidità ha messo in sofferenza le banche elleniche, al punto che la Bce ieri ha varato un’iniezione straordinaria tramite Ela da 1,8 miliardi, cifra inferiore ai 3 miliardi richiesti da Atene. Tre giorni fa, sempre la Bce aveva concesso alla Grecia 1,1, miliardi, portando il tetto di liquidità a 84,1 miliardi. Questo “bank run” potrebbe portare lunedì alla chiusura degli sportelli. Se i greci ritirano soldi, la società petrolifera Elpe sta immagazzinando benzina e petrolio sufficiente per almeno sei mesi.
In questo clima di incertezza, il giovane Tsipras sta cercando una sponda economica a San Pietroburgo. Il vice primo ministro russo, Arkady Dvorkovich, ha affermato che Mosca è pronta a considerare la possibilità di un aiuto economico alla Grecia. “La Grecia è uno di quei paesi che è contrario alle sanzioni verso la Russia e non è il solo. Questi paesi non ragionano in base alla politica, ma sono interessati per la loro economia. E questo è un approccio costruttivo”. Parole confortanti che si vanno ad aggiungere ad altre ascoltate in precedenza dal primo ministro in questi sei mesi. Quelle definitive le ascolterà lunedì.