Ieri, in gergo finanziario, era quello che gli esperti chiamano il “venerdì delle tre streghe”, questo a causa della concomitanza di scadenze tecniche per molte opzioni e titoli derivati. In realtà, è stato il “giorno delle tre certezze”. La prima, nemmeno a dirlo, è quella che vede il caso greco divenire ufficialmente criminale pantomima a danno dei mercati e dei cittadini. Dopo il niente di fatto all’Eurogruppo di giovedì, infatti, ieri si è deciso di convocare per lunedì un vertice europeo dei capi di Stato e di governo d’emergenza, penso sia il 6327mo dall’inizio dei guai ellenici, per cercare di trovare la quadra che eviti il default greco, attraverso l’esborso ad Atene dell’ultima tranche di aiuti da 7,2 miliardi di euro, denaro che la Grecia farà fuori nell’arco di tre mesi massimo tra pagamenti interni (stipendi, pensioni e quel che resta del welfare) e restituzioni e scadenze verso Bce e Fmi. Insomma, si calcia avanti la lattina ancora un po’, nonostante la situazione economica macro del Paese sia devastata – parole di Mario Draghi, non mie – e necessiterebbe di altro.
Grande ottimismo nella possibilità di un accordo in tutti i partecipanti, tranne – questa volta – in Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Ue, il quale oltre a non negare più la possibilità del “Grexit”, si è espresso in questi termini: «Ho ripetutamente avvertito Tsipras che non deve contare sulla mia capacità di evitare una rottura del negoziato. I greci hanno pensato che alla fine qualcuno in Europa sarà capace di tirar fuori il coniglio dal cilindro. Ma non è il mio caso». Fa il duro, ma alla fine è il primo che passerà il weekend a pregare che tutto trovi una soluzione.
Perché? È presto detto e fa riferimento alla mia definizione di criminale pantomima della crisi greca: avete idea quanto ci sia costato a livello di capitalizzazione dei mercati bruciata il tira e molla tra Atene e troika solo dall’inizio di quest’anno? Ve lo dico io, 897 miliardi di dollari, praticamente il valore degli indici benchmark delle Borse di Spagna, Portogallo e Irlanda insieme. Con un terzo di quella cifra, cinque anni fa, si risolveva il problema greco alla radice: ma si sa, le banche tedesche e francesi erano stracariche di bond greci e fino a quando non li hanno scaricati, la signora Merkel e il suo amico Sarkozy hanno perso tempo e fatto incancrenire la situazione.
E attenzione, perché anche l’indice di riferimento europeo, lo Stoxx Europe 600, ha perso già il 7,2% dai massimi del 15 aprile scorso, mentre l’indice Ase greco è passato da essere il più performante da inizio anno fino a inizio giugno a peggior performante al mondo negli ultimi venti giorni. D’altronde, che un ultimo, disperato tentativo si sarebbe fatto è nelle cifre: l’ombra dei controlli di capitali come avvenne a Cipro nel 2013 aleggia infatti su Atene. Tre miliardi di euro negli ultimi quattro giorni sono stati ritirati dai conti correnti greci, senza clamore, ma con code ordinate davanti ai bancomat. Così sono crollati ai minimi da oltre 10 anni i depositi bancari in Grecia: a 127 miliardi di euro dai 240 miliardi di prima della crisi. E con il rischio che lunedì gli istituti di credito potrebbero non aprire nel giorno del vertice straordinario europeo (anche se Yanis Varoufakis, ministro delle Finanze, ha smentito l’ipotesi in una nota alla Reuters), ieri la Bce ha alzato ancora la disponibilità Ela per gli istituti ellenici (pare per 1,8 miliardi di euro) dopo una conference-call di emergenza per garantire operatività ieri e dopodomani.
Il primo grafico a fondo pagina, però, ci mostra la situazione delle quattro principali banche del Paese, le quali da sole rappresentano il 91% degli assets bancari greci. Qual è il problema, oltre alle fughe di capitali? Il fatto che l’aumento continuo di sofferenze e il tasso in crescita di default su prestiti ristrutturati potrebbe bruciare i loro 12 miliardi di euro di capitale core tangibile, di fatto rendendo immediatamente necessario un loro nuovo salvataggio: quindi, altri soldi oltre ai 7,2 miliardi dell’ultima tranche di aiuti, altrimenti tra un mese – forse meno – saremo daccapo. Con prestiti a rischio per 59 miliardi di euro, se solo metà di quelle criticità diverrà perdita serviranno immediatamente 16 miliardi di euro in più per coprire i buchi.
Insomma, per quanto potranno spacciarvi l’eventuale accordo di lunedì come storico, la situazione greca è fuori controllo e tornerà a far ballare i mercati. Ora, guardate gli altri due grafici. Il primo ci mostra il fatto che la produzione totale della Grecia dal 1960 al 2001 è cresciuta del 600%, mentre quella tedesca solo del 255%: detto fatto, nei quindici anni seguenti all’introduzione dell’euro la produzione di Berlino è salita del 20% e quella greca è calata del 26%. Ora, come può una nazione che ha vissuto circa 40 anni continuativi di espansione della produzione, crollare di colpo? Forse l’euro ha cambiato la base monetaria del commercio a tutto favore della Germania? Il secondo grafico, poi, ci spiega che il fenomeno non vale solo per la Grecia, ma è stato medesimo, anche se con meno drammaticità, per la produzione totale di Italia, Spagna e Francia. A voi le valutazioni del caso, al netto delle enormi responsabilità politiche dei greci negli ultimi dieci anni almeno.
Seconda certezza, in parte legata proprio al caso greco, è la Russia. La quale, infatti, ha fatto sapere di essere pronta a considerare la possibilità di fornire assistenza finanziaria alla Grecia. Lo ha detto il vice premier russo, Arkadi Dvorkovich, alla Tv Russia Today: «Noi sosterremo qualunque decisione sarà proposta dalla Grecia e dai partner europei. Se la Grecia ha bisogno di assistenza finanziaria noi esamineremo la questione». Di più, ieri a San Pietroburgo è stata siglata l’intesa preliminare fra Russia e Grecia per il passaggio del gasdotto Turkish Stream sul territorio greco. Mosca, ha spiegato il ministro dell’Energia russo, Alexander Novak, fornirà ad Atene un prestito pari al 100% dell’importo del gasdotto e Gazprom non controllerà la tratta.
Il documento è stato firmato al Forum economico di San Pietroburgo dal ministro dell’Energia russo Aleksandr Novak e dal suo omologo Panagiotis Lafazanis. Secondo Novak, il ramo greco del Turkish Stream avrà una capacità annua di 47 miliardi di metri cubi di gas e i lavori per la sua realizzazione inizieranno nel 2016 e termineranno nel 2019. Lafazanis ha spiegato che la costruzione del gasdotto avrà un costo di circa 2 miliardi di euro: il ministro greco ha anche sottolineato che l’accordo pone le basi per un’ulteriore cooperazione con la Russia. Ma non si tratta della stessa Russia brutta e cattiva verso la quale l’Ue si appresta a prolungare le sanzioni fino al 31 gennaio 2016? Sì, ma siccome basandoci sull’esistenza dei miracoli, possiamo pensare che anche i ciechi a volte riescano a vedere, ecco che ieri Repubblica pubblicava la seguente notizia: «Russia, con le sanzioni a Putin l’Europa brucia 100 miliardi». Miracolo!
Trattasi di un’inchiesta della Lena (Leading European Newspaper Alliance), alleanza tra vari, importanti quotidiani europei, in base alla quale scopriamo che le sanzioni commerciali dell’Unione europea alla Russia costeranno agli Stati membri un prezzo più alto di quanto previsto e comunicato ai governi nazionali alla fine del maggio scorso dalla Commissione europea. L’Europa si prepara infatti a fronteggiare nel lungo periodo uno scenario che comporterà la perdita di due milioni di posti di lavoro e una diminuzione di 100 miliardi di euro in valore aggiunto di beni e servizi destinati all’export. Inoltre, «né la grande caccia ai capitali di oligarchi, uomini politici e funzionari dell’apparato di sicurezza russo coinvolti nella crisi ucraina e inseriti in una black-list di 150 nomi ha prodotto risultati anche solo appena soddisfacenti. Con l’eccezione dell’Italia che è riuscita a sequestrare 30 milioni di euro di beni ad Arkadj Rotenberg, multimiliardario russo intimo di Putin, in ben nove dei 27 Paesi membri (Spagna, Malta, Finlandia, Croazia, Slovenia, Slovacchia, Ungheria, Irlanda e Lituania) non è stato trovato un solo euro. In Germania i congelamenti di beni non sono andati oltre alcuni cavalli da corsa e 124mila euro. A Cipro, storica piazza finanziaria utilizzata dai russi, sono stati “trovati” solo 120mila euro». Ma vah, chi lo avrebbe mai detto? Ero certo che gli oligarchi avrebbe lasciato tutti i soldini sul conto corrente, fornendo anche Abi, Cab e Iban agli ispettori dell’Ue…
Terza e ultima certezza della giornata di ieri, la Cina e la sua bolla azionaria. Ieri, per la seconda volta in un mese, lo Shanghai Composite è entrato in correzione, calando del 10% in due giorni dai suoi massimi e anche gli altri indici cinesi lo hanno seguito, tra cui l’indice tecnologico Chinext e il Csi-300, giù del 7% in un mese e del 17% dai suoi massimi, come ci mostra il grafico a fondo pagina. Parliamo di volatilità estrema, con scostamenti sui maggiori indici tra il 10% e il 15%, quando al netto dei suoi fondamentali macro tutt’altro che rassicuranti, Wall Street prosegue placida da sei mesi, con un correzione massima che non è arrivata al 3%.
E le cose sembrano davvero accelerare in gravità in Cina, visto che stando a un servizio della Reuters, si scopre che gli esportatori di acciaio cinesi stanno scaricando le loro scorte all’estero a prezzo di perdita, fino a 200 yuan (32 dollari circa) per tonnellata. Che dire, mal-investment in piena regola e sovra-capacità, un connubio devastante in un contesto globale di economia in rallentamento e capace di destabilizzare l’intero comparto dei metalli industriali e i flussi commerciali. Cosa significa questo? Semplice, la Banca del Popolo dovrà dar vita a una qualche forma di Qe per non far esplodere incontrollatamente la bolla azionaria. Altro denaro a costo zero che finirà in circolo nella finanza, mentre l’economia reale continuerà a patire le stesse distorsioni degli ultimi sei anni.
Manca poi una variabile, all’interno del quadro: ovvero, gli Usa. Come reagiranno a un’eventuale intervento russo per la Grecia? Come si porranno nei confronti della bolla azionaria cinese? Come reagiranno a un’eventuale impennata del dollaro se per caso la Grecia uscirà davvero dall’euro e forse dall’Ue o comunque continuerà a far ballare l’eurosistema? A oggi i mercati sembrano non prezzare l’ipotesi, visto che il cross euro/dollaro resta alto, a circa 1,14 contro l’1,05 solo dello scorso marzo, un 4% di apprezzamento solo da inizio giugno, ma con Goldman Sachs long sulla divisa unica europea e qualche triliardo di dollari di posizioni aperte, tutto può succedere. Buon fine settimana, lunedì forse capiremo qualcosa di più.
P.S.: Signori, c’è un problema. Già, perché a fronte del miliardo e 800 milioni di euro stanziati ieri dalla Bce come fondi Ela per la Grecia al fine di evitare gli sportelli chiusi lunedì, sempre ieri i cittadini ellenici hanno ritirato qualcosa come 1,2 miliardi di euro, di fatto vanificando il nuovo stanziamento e riportando il sistema bancario greco al punto di partenza. Ovvero, il baratro. E attenzione, perché attualmente Atene ha circa 95 miliardi di eligibilità presso l’Ela e soltanto circa 120 miliardi di depositi. In parole povere, anche l’onnipotente Bce può coprire soltanto altri 7-8 giorni di fughe di capitali di questa entità, dopodiché ci penseranno i controlli di capitale a cercare di tamponare la situazione. Di fatto, però, facendola precipitare.