L’ho già scritto nel post scriptum al mio articolo di ieri, ma vale la pena ricordarlo. Al netto delle chiusure euforiche dei mercati di lunedì e degli spread a piombo, se anche si raggiungerà l’accordo con la Grecia e Atene riceverà i suoi 7,2 miliardi di ultima tranche di aiuti (la rivolta interna a Syriza riguardo la prosecuzione oltre il 30 giugno del programma di salvataggio e l’ipotesi di maggiore tassazione e disincentivi per chi vuole andare in pensione prima del tempo potrebbe portare con sé elezioni anticipate), quei soldi sono destinati a sparire in meno di due mesi e senza affluire nell’economia reale ellenica. Il 30 giugno Atene deve pagare 1,5 miliardi al Fmi e a luglio, in tre scadenze (13, 19 e 20), ha rimborsi e interessi per 4,3 miliardi di euro, tra cui un bond Bce da 3,5 miliardi che in caso di mancato pagamento comporterebbe default e blocco dei fondi Ela: quindi, fallimento immediato del sistema bancario greco.
Insomma, stante che la matematica non è un’opinione, 5,8 miliardi dei 7,2 che forse arriveranno, sono già andati. Ne restano 1,4: quanto camperà la Grecia con quei soldi prima di tornare a ballare? Agosto? Azzardiamo settembre, magari quando la Fed alzerà i tassi inviando uno scossone sistemico che ridurrà la Borsa di Atene a una sorta di mattatoio e sparerà gli spread sulla Luna? Siamo seri, almeno noi. E per esserlo occorre, in prima istanza, avere il coraggio di guardare in faccia la realtà. Nella fattispecie, quella che ci mostra il grafico a fondo pagima, dal quale scopriamo che al netto degli ultimi incrementi dei fondi Ela per la Grecia e aggiungendo circa 38 miliardi di bond Efsf collateralizzati e altre garanzie, non solo si è raggiunta la parità tra asset bancari ellenici e dipendenza dalla Bce, ma la si è oltrepassata. Già, perché prendendo per buono il dato che quantifica i depositi bancari greci in 120 miliardi di euro – in realtà sono meno – quella cifra è minore di quella che la Bce può vantare come credito verso le banche commerciali greche e la Banca centrale, in totale 126 miliardi di euro.
E cosa significa, ipoteticamente, questo? Che se Tsipras dovesse resistere ancora, la Bce avrebbe una carta formidabile: bloccando di colpo i fondi Ela, avendo gli assets bancari greci valore di collaterale solo perché proprio l’Eurotower glielo garantisce, Draghi potrebbe dar vita a un bail-in di stile cipriota sul 100% dei depositi bancari ellenici. Boom, spariti di colpo tutti! Lo farà? Ovviamente no. Tanto che la Bce ha invece aumentato ancora il tetto della liquidità di emergenza alle banche elleniche, il quarto incremento in cinque giorni, di cui l’ultimo per un ammontare di 3,7 miliardi di euro per cercare di tamponare il continuo deflusso di depositi (la scorsa settimana dagli istituti di credito greci è stato prelevato, in media, circa un miliardo di euro al giorno). A meno che la situazione non precipiti per volontà strumentale di qualcuno.
Mi spiego meglio e per farlo comincio da un dato: nelle sale trading non solo vige ottimismo rialzista, ma ormai si guarda al rischio contagio da un eventuale default greco come a un passeggiata nel parco. Per Holger Schmieding, capo economista alla Berenberg Bank di Londra, «non siamo più nel 2011 o 2012, abbiamo a disposizione sia il meccanismo Omt che il Qe della Bce per prevenire turbolenze serie. Sospetto che se le tensioni sui mercati crescessero alla Bce potrebbero operare front-load con acquisti di bond governativi all’interno del programma di stimolo esistente. E se questo non bastasse, si potrebbe aumentare il volume degli acquisti del Qe, al fine di contrastare i pericoli per la stabilità dei prezzi. Insomma, la Bce questa volta può davvero porre in essere un approccio “whatever it takes” se gli spread dovessero crescere al di sopra di un valore giustificabile dai fondamentali dei vari Paesi».
Ora, azzardiamo uno scenario. Non è che un default greco è esattamente quanto serve alla Bce per schiantare l’euro al ribasso sul dollaro e avere l’alibi per aumentare gli acquisti, abbassando i rendimenti eligibili all’acquisto e ampliando anche le asset classes da acquistare, magari partendo dagli Etf come la Bank of Japan? Ricorderete come settimana scorsa vi abbia dimostrato che la Bundesbank sta comprando Bund con scadenze sempre più basse, di fatto sabotando la portata del Qe attraverso l’indebolimento del canale di bilanciamento del portafoglio della Bce. Il nodo, all’epoca, era il rendimento del Bund, passato da 0% a 1% in un mese o poco più e capace di portare Mario Draghi a dichiarare che «bisogna abituarci a periodo di alta volatilità». Di più, l’operatività della Bundesbank su maturities più brevi è di fatto la ragione principale per cui, nonostante le turbolenze greche, l’euro è rimasto di fatto fermo nel cross sul dollaro in area 1,14, anche in questo caso parecchio più in alto dell’1,05% di aprile.
Eccoci quindi alla tesi azzardata, la quale però assume i contorni di manovra dietro le quinte visto che ad avanzarla è l’ultimo report di Goldman Sachs, ex datore di lavoro di Mario Draghi. Guardate il primo grafico a fondo pagina, ci mostra come partendo da una prospettiva economica, la svalutazione interna posta in essere dal governo greco negli anni della cosiddetta austerity per recuperare competitività e crescita sia servita a poco o nulla, visto che non ha le caratteristiche di una vera e propria svalutazione monetaria. Non a caso, il Pil greco è tornato negativo nel primo trimestre di quest’anno. Ma c’è un’altra dinamica, più interessante, racchiusa nel secondo grafico, la cui didascalia potrebbe essere “La Grecia va distrutta per poter essere poi salvata e, insieme a lei, tutta l’Ue”.
Il perché è presto detto, visto che Goldman Sachs definisce il potenziale default greco “il catalizzatore per la parità tra euro e dollaro”. Il grafico lo mostra bene e GS lo spiega così: «La Bce, anche attraverso la Bundesbank, entrerebbe subito in gioco per evitare il contagio. Noi stimiamo che subito dopo la dichiarazioni di default da parte di Atene il cross euro/dollaro calerebbe di tre figure e la conseguente accelerazione del Qe potrebbe portarlo a calare di altre sette figure nelle settimane successive, arrivando pressoché alla parità con il dollaro». Insomma, un contagio limitato che però garantirebbe alla Bce di ottenere due risultati in uno: euro in parità col dollaro, quindi export che esplode, e un alibi per aumentare il volume e gli assets di acquisto del Qe.
Ancora: «La Bce con il Qe dominerà qualsiasi risposta di avversione al rischio da parte dei mercati e non permetterà che i premi di rischio vadano troppo in alto. Certo, dall’angolazione del medio termine l’Europa apparirebbe più coesa senza la Grecia e la razionalità vorrebbe Atene come caso unico, ma così non è in realtà, basti guardare il tasso di disoccupazione spagnolo e il montante sostegno dei partiti populisti anche in quella nazione». Per finire così: «La realtà sottostante di questa situazione è che quello della svalutazione interna è un processo molto difficile, quindi riteniamo che le montanti tensioni attorno alla Grecia potrebbero portare l’attenzione del mercato a focalizzarsi sulla sostenibilità dei programmi di aggiustamento dell’intera periferia dell’Euro».
Insomma, Podemos è già avvertita e anche noi e Portogallo non dobbiamo stare troppo sereni, per dirla alla Renzi. Il quale, però, è previdente (o forse solo ben consigliato o manovrato) e ha già piazzato nel ruolo strategico di numero uno di Cassa depositi e prestiti, il nuovo motore della spesa pubblica italiana fatta con i depositi postali e senza l’approvazione del Parlamento, proprio un ex Goldman Sachs come Claudio Costamagna. Guarda a volte le combinazioni nella vita! Inoltre, tornando al caso greco e alla Bce, ricordate qual è la più grande scommessa di Goldman Sachs per il 2015? L’euro debole.
Quante posizioni andrebbero a schiantarsi in caso di ulteriore apprezzamento della nostra moneta unica? E, poi, ricordate, di solito l’ex dipendente ora a Francoforte tende a fare ciò che Goldman Sachs vuole. Staremo a vedere.