La Grecia è pronta al referendum. Questo sembra essere l’ultimo risultato di una trattativa sempre più intricata e dove i colpi di scena sono ormai all’ordine del giorno. Ma comincio seriamente ad avere un sospetto, cioè che il ministro Varoufakis sia in realtà un maestro della teoria dei giochi, essendo un esperto della materia. Sospetto che abbia attirato l’Ue in una trappola, nell’estenuante trattativa di questi mesi. Perché in fondo entrambe le opzioni portano a danni consistenti per l’Ue: nel caso di un accordo, perché toccherà tornare a finanziare la Grecia; nel caso del default, perché si perderanno i soldi finora prestati e buona parte del debito in corso.
Questo è l’esito di una serie interminabile di ultimatum, al termine dei quali si trovava sempre l’occasione per un ulteriore rinvio e un nuovo ultimatum. Fino a quello della scorsa settimana, che poneva per questo fine settimana un nuovo ultimatum, ma facendoci trovare con un novo rinvio. Ancora l’ennesimo disperato rinvio per salvare la Grecia. Così dicono, ma la credibilità di chi lo dice è ormai prossima allo zero. Ma come si fa a credere ancora a chi, già due mesi fa, proclamava scadenze inamovibili dopo le quali la Grecia sarebbe fallita?
Con un tentativo molto sporco quanto puerile di tentare di mettere alle corde il governo greco, i diversi rappresentanti delle istituzioni europee (il Presidente Juncker, il commissario per gli Affari economici e monetari Moscovici, il Governatore della Bce Draghi) minacciavano il fallimento della Grecia mentre i rappresentanti del governo greco minacciavano di non pagare i debiti, in una fantomatica parodia delle minacce, come se stessero dicendo cose diverse.
Passata la tempesta che loro stessi avevano montato, riprendevano a dire che occorreva trovare un accordo e che nessuno avrebbe lasciato l’euro e l’Europa. E così la pantomima è durata fino a oggi. Ma la sostanza non è cambiata per nulla: come scrissi ben cinque anni fa proprio su queste pagine, il debito è impagabile a causa del signoraggio bancario, cioè a causa del fatto che la moneta creata (il cui valore costituisce il cosiddetto signoraggio, cioè il valore di cui si appropria chi crea moneta) è iscritta tra i passivi di bilancio e successivamente emessa a debito. In altre parole, tutta la moneta circolante è debito e pagare tale debito è materialmente impossibile per la natura stessa della moneta.
Infatti, la moneta deve essere perennemente in circolazione. Quella è la sua natura. Persino nei bilanci delle banche centrali essa è descritta alla voce “banconote in circolazione”. Quindi non possono tornare a chi la emette (che per legge non la può spendere direttamente) anche perché sparirebbe dalla circolazione e si avrebbe l’immediata paralisi dell’economia. Inoltre, questa restituzione non sanerebbe la situazione poiché al debito mancherebbe la parte relativa agli interessi. Per questo ho sempre sostenuto che il debito, nella sua globalità, è impagabile.
E pure lo pseudo salvataggio proposto alla Grecia è una conferma di questo, poiché viene proposta una fornitura di liquidità utile a pagare i debiti in scadenza. Ma come farà la Grecia a pagare il nuovo debito, questo non lo dice nessuno. Sicuramente perché la verità è tanto semplice quanto indicibile: non è possibile pagare il debito, né per la Grecia, né per la Germania, né per nessun altro, Italia inclusa. Questo è il quadro entro il quale deve essere valutata la pantomima delle dichiarazioni da una parte e dall’altra.
Ma con una differenza sostanziale. La Grecia una via d’uscita ce l’ha, l’Europa no, perché la via d’uscita si chiama uscita dall’euro. In altre parole, la via d’uscita per l’Europa corrisponde al dissolvimento della sua odierna principale forza d’unione.
Per la Grecia invece la prospettiva di uscita dall’euro vuol dire la prospettiva di ristamparsi la propria moneta e di tornare competitiva sui mercati internazionali senza spremere il mercato interno. I debiti sarebbero ridenominati in valuta nazionale che lo Stato potrebbe stampare in maniera utile a pagare i debiti e a sostenere il mercato interno. Il bilancio sarebbe sostenuto dalla ripresa dei consumi e dagli investimenti anche internazionali, interessati dalla ripresa imminente.
Ma quello che qui abbiamo delineato come ipotesi, non è detto che non stia già avvenendo, lontano dalle prime pagine o dai titoli dei media. A quanto pare, la Grecia ha già stretto un accordo con la Russia (alla faccia della Russia isolata, mentre l’Europa sembra condannarsi all’auto-isolamento!) per un gasdotto dalla Russia, con il 50% dei costi a carico del governo, il quale ha già chiesto e ottenuto un finanziamento da un miliardo di euro da una banca russa.
In realtà, queste continue dilazioni sembrano una brillante mossa del governo greco per prendere tempo, il tempo necessario a preparare questi accordi commerciali e a lasciare l’Europa col cerino in mano di una crisi ingestibile. Mentre tutte le dichiarazioni di Draghi, improntate all’imminente catastrofe, hanno provocato la corsa agli sportelli per tentare mettere sotto pressione il governo Tsipras. Ma si tratta di una strategia completamente miope, poiché il fallimento delle banche greche danneggerebbe quelle europee e gli stati che hanno raccolto i soldi per fronteggiare la crisi, cioè soprattutto Germania, Francia e Italia.
Infatti, negli stessi giorni in cui si moltiplicavano le dichiarazioni ostili e aumentava il flusso di denaro in uscita dalle banche greche, la Bce provvedeva a salvare le stesse dalla chiusura improvvisa aumentando il limite massimo di liquidità per operazioni d’urgenza, portandolo a 89 miliardi. Così la baracca continua a stare in piedi, per ora, con i soldi della Bce. Ma per quanto tempo? Per pochi mesi? E cosa ne guadagnerà l’Europa? Il tentativo è stato quello di costringere il governo in una morsa e far in modo che imprese tedesche e francesi si potessero impadronire dei beni della Grecia, tramite le cosiddette privatizzazioni. Ma a quanto pare russi e cinesi stanno arrivando prima.
Il fallimento di questa strategia è il fallimento di tutto un impianto teorico, quell’impianto che pretende di gestire i beni comuni secondo le condizioni del libero mercato. Per fare un esempio tra i più clamorosi di questo fallimento, basti pensare al principio di sussidiarietà. Un principio tanto osannato da essere inserito nella Costituzione europea, quanto disatteso perché la regola tra gli Stati è la competizione e il “fare i compiti a casa”, pena il dover rinunciare alla sovranità o a parti consistenti di essa; il contrario del mutuo soccorso e del rispetto dei livelli inferiori sancito dalla Dottrina sociale della Chiesa e dal principio di sussidiarietà. Un principio così ignoto che si fatica a trovare esempi positivi anche a livello locale o in altre situazioni.
Un’interessante applicazione si è avuta per opera del Forum delle Associazioni Familiari in occasione della manifestazione in difesa della famiglia del 20 giugno. In tale occasione, il presidente Belletti in una lettera ha affermato che il Forum non intendeva dare la propria adesione alla manifestazione perché l’invito degli organizzatori era rivolto direttamente alle stesse famiglie e perché, “assumendo così il principio di sussidiarietà interna come criterio prevalente”, intendeva dare facoltà alle associazioni rappresentate (il livello inferiore secondo il principio di sussidiarietà) di aderire, auspicando il migliore successo dell’iniziativa. Ma non tutti hanno saputo applicare al meglio questo principio, cioè prendendosi la responsabilità di una decisione che doveva essere presa in proprio e non copiandola dal livello superiore. C’è tanto da lavorare, soprattutto come consapevolezza dei valori di cui la nostra civiltà è portatrice.