Tutto rimandato all’inizio della prossima settimana. L’arrivo dei rappresentanti delle “istituzioni”, previsto per ieri, è stato annullato. La “troika” doveva iniziare a revisionare i conti per essere in grado di capire quali saranno i termini dell’accordo per il terzo bail-out. La prima battuta di arresto era stata annunciata dal Fmi, che era in attesa di una richiesta ufficiale da parte di Atene. Poi è stata la volta della Commissione europea. Pare di capire che i creditori abbiano intenzione di adottare la linea dura nelle trattative, le quali, secondo gli ottimisti, dovrebbero concludersi entro il 18 di agosto, data entro cui verrebbero versati ad Atene 3,2 miliardi. Dunque niente flessibilità sia nei tempi di esecuzione che nelle procedure.
Alexis Tsipras, quindi, si trova ad affrontare un ulteriore problema politico. Come se i suoi attuali fronti aperti fossero pochi. Deve governare un Paese, gestire un governo di minoranza, ma soprattutto deve far fronte alla fronda interna del partito. Il primo ministro corre il serio rischio di “perdere” la maggioranza di Syriza e ritrovarsi sfiduciato dagli organi politici.
Anche su questo fronte, la resa dei conti avverrà lunedì prossimo, durante la riunione della segreteria politica. Molti commentatori spiegano che Alexis Tsipras non possiede la stoffa politica di Andreas Papandreou, il quale seppe tagliare tutte le teste dei dissidenti. La “rottura” tra “lealisti” di Tsipras e “radicali” di Lafazanis è ormai evidente e la battaglia finale è posticipata a settembre, quando verrà convocato il congresso straordinario.
Nel frattempo lo aspettano tre settimane di fuoco, durante le quali il suo governo dovrà discutere i termini del nuovo accordo. Le due leggi finora approvate erano soltanto un gesto di buona volontà per avviare le trattative. Adesso Tsipras deve fare sul serio, avendo a disposizione un governo di basso profilo e una maggioranza parlamentare, cioè i tre partiti dell’opposizione, che lo incalza.
In tutta questa confusione del panorama politico (non va dimenticato che anche Nea Democratia sta discutendo sulla sua futura strategia) stanno venendo alla luce rivelazioni che fanno riflettere. Voci sostengono che Tsipras chiese a Mosca 10 miliardi di dollari, un cuscino finanziario che gli avrebbe permesso di uscire dalla zona euro. Al rifiuto russo, a qualcuno venne in mente di rivolgersi all’Iran. Gli iman rimasero basiti da questa richiesta. Secondo loro, non aveva alcuna logica politica o diplomatica. Altre voci riferiscono di un preciso piano per l’eurodracma, l’EUDR. Stando al vice presidente della società PayService.com, Atene stava lavorando a un piano della durata di tre settimane, tempo necessario per introdurre una valuta supplementare espressa in eurodracme.
Queste e altre voci si rincorrono tra i corridoi del Parlamento. Nell’afa ateniese soffiano come un vento caldo e alimentano fuochi polemici che di certo non aiutano al clima politico e sociale di rasserenarsi. I greci ne avrebbero bisogno. Ma per loro fino a settembre non è prevista alcuna tregua.