“I dati sul Pil di Italia ed Eurozona sono complessivamente buoni, e anche i consumi nel nostro Paese stanno ripartendo. Il vero problema è che questi ultimi si traducono soprattutto in un aumento delle importazioni anziché in acquisti di beni italiani, ed è proprio a questo livello che il nostro governo deve intervenire”. A evidenziarlo è Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università di Parma ed editorialista del Corriere della Sera. Martedì Eurostat ha rivisto al rialzo la crescita del Pil dell’Eurozona nel secondo trimestre all’1,5%. Dati positivi anche quelli diffusi ieri da Confcommercio, il cui indicatore dei consumi a luglio 2015 cresce dello 0,4% rispetto a giugno e del 2,1% rispetto a luglio 2014. Eppure solo una settimana fa Draghi aveva lanciato un messaggio non del tutto incoraggiante, annunciando che la ripresa nell’Eurozona era più lenta del previsto. Quindi il governatore della Bce aveva aggiunto: “Le informazioni disponibili indicano un più lento aumento dell’inflazione rispetto alle precedenti stime”.



I dati degli ultimi giorni sembrano contradditori. L’economia dell’Eurozona sta andando bene o male?

La revisione pubblicata martedì da Eurostat si riferisce al secondo trimestre e al primo semestre 2015. L’andamento è stato migliore rispetto al previsto, e ciò ha trasmesso un senso di ottimismo ai mercati. Ci sono però alcuni segnali che le politiche messe in atto dalla Bce non stiano producendo il risultato atteso per quanto riguarda l’aumento dell’inflazione. La Bce ha messo in piedi il quantitative easing sostanzialmente per evitare il rischio che si ricadesse in deflazione, con la conseguenza di un aumento del costo reale del debito.



Perché i risultati non sono stati quelli sperati?

Il fatto che l’economia cinese sia in difficoltà tiene bassi i prezzi delle materie prime, e ciò riduce le aspettative di inflazione. Draghi ha osservato che le politiche messe in atto fino a questo momento non sono state sufficienti a invertire la tendenza relativa all’inflazione.

L’indicatore dei consumi di Confcommercio intanto a luglio 2015 ha registrato una crescita del 2,1% rispetto allo stesso mese del 2014. Lei come legge questo dato?

Questi sono dati coerenti con l’andamento dei consumi del secondo trimestre, complessivamente buoni. I consumi si stanno riprendendo, anche per quanto riguarda beni durevoli come la domanda di mutui. E’ un segnale del fatto che la ripresa si sta diffondendo, mentre l’inflazione rimane bassa: finché quest’ultima non diventa deflazione è un buon segnale. Significa infatti che si può crescere senza inflazione.



Il governo italiano ha prima annunciato il taglio di Imu e Tasi, quindi ha iniziato a parlare di ridurre le tasse alle imprese. Perché questo cambiamento in corsa?

Per fare crescere il Pil è più utile tagliare le imposte sulle aziende e più in generale ridurre i costi delle attività di impresa tra cui ci sono anche burocrazia e giustizia civile. Nel primo semestre in Italia c’è stata una certa ripresa della domanda, in quanto il bonus da 80 euro ha prodotto un effetto sulle decisioni di spesa degli italiani. I consumi hanno incoraggiato la crescita del Pil, ma in misura piuttosto limitata.

Che cosa non ha funzionato?

L’aumento della domanda si è tradotto in un boom delle importazioni, molto più accentuato rispetto ai precedenti episodi di ripresa. In questi primi due trimestri di ripresa il Pil è cresciuto dello 0,3-0,4%, e le importazioni sono aumentate del 2% per ciascun trimestre. E’ molto di più di quanto si sia verificato nella stessa Spagna.

 

Perché a fronte di una ripresa della domanda quest’ultima va a finire soprattutto in prodotti importati?

Perché c’è una situazione di svantaggio delle nostre aziende rispetto a quelle concorrenti, cui non si riesce a porre rimedio. Un modo per farlo sarebbe ridurre le tasse sul lavoro, contenere i costi della burocrazia oppure attuare le misure sulla giustizia civile di cui il Guardasigilli Andrea Orlando parla, ma rispetto a cui siamo solo agli inizi.

 

Il governo dove troverà i soldi per gli interventi a favore delle imprese?

I soldi di cui si parla sono 3,5 miliardi di euro. L’intenzione del governo è in primo luogo quella di incorporare il miglioramento delle prospettive, che sono date da un primo semestre leggermente in aumento rispetto al previsto. Se migliorano le previsioni sul Pil, ciò porta anche a un miglioramento sul versante del deficit atteso.

 

Con quali conseguenze?

Ciò dovrebbe consentire al governo di finanziare più facilmente anche i 3,5 miliardi di euro di interventi in favore delle imprese. Con la revisione all’insù delle prospettive di crescita per 2015 e 2016, il governo può sperare di finanziare fino a metà della cifra aggiuntiva. Il resto andrà finanziato con riduzioni di spesa.

 

(Pietro Vernizzi)