ATENE — “Una volta una rana vide un bue in un prato. Presa dall’invidia per quell’imponenza prese a gonfiare la sua pelle rugosa. Chiese poi ai suoi piccoli se era diventata più grande del bue. Essi risposero di no. Subito riprese a gonfiarsi con maggiore sforzo e di nuovo chiese chi fosse più grande. Quelli risposero: Il bue. Sdegnata, volendo gonfiarsi sempre più, scoppiò e mori. Quando gli uomini piccoli vogliono imitare i grandi, finiscono male”. E’ una favola di Fedro, che Syriza ha smentito. Per sette mesi lui, rana del 4%, è diventata il bue del 36%, ma ha continuato a ragionare come una rana che naviga nella sua piccola palude. Syriza è scoppiato nell’istante in cui la realtà gli ha imposto di assumersi delle responsabilità politiche.
Per sette mesi il problema principale di Tsipras era tenere unito il partito-caleidoscopio, conscio che nessuna delle promesse elettorali poteva essere mantenuta. E non si venga a dire che l’ex primo ministro non conosceva le posizioni politiche della “Piattaforma di sinistra” guidata da Panajotis Lafasanis. Il ministro, per intenderci, che promise 5 mld provenienti da Mosca come caparra per un metanodotto fantasma e che sostenne l’occupazione della Zecca di Stato e il relativo sequestro dei 22 mld di euro depositati. Da “soltanto avanti” a “vinceremo il domani”. Cambio di slogan per il neo-Syriza. Meno battagliero del primo, richiama quello di gennaio (“arriva la speranza”). Forse è ancora troppo presto per dare una qualche solidità alle percentuali dei sondaggi, tuttavia i numeri di questi giorni dicono che i conservatori stanno recuperando consensi e i due contendenti sono quasi alla pari.
Tuttavia è dimostrato che “misurare” le intenzioni di voti di una società magmatica come quella ellenica è una impresa ardua. Lo dimostra il risultato del referendum – i sondaggi davano in vantaggio il “sì”, poi si è visto come è andata. Il vero scontro elettorale non è ancora cominciato. Il possibile avvio ufficiale dovrebbe essere il 14 di questo mese, quando Tsipras e Meimarakis, il presidente di Nea Democratia, si confronteranno, si prevede in modo feroce, in un incontro televisivo. La loro strategia è tuttavia ormai chiara. Il primo chiede il voto per rafforzare la sua posizione soprattutto all’interno del suo partito-caleidoscopio, il secondo è alla ricerca di quei consensi dei moderati che, a gennaio, sono trasmigrati a sinistra.
Tsipras comunque continua a commettere lo stesso sbaglio: i suoi discorsi sono rivolti al suo “zoccolo duro” o di quello che ne rimane. Promette battaglia e ricicla “promesse” già udite a gennaio. Si azzarda anche ad affermare che è sua intenzione rinegoziare l’accordo di luglio. Meimarakis, sull’onda delle percentuali dei sondaggi, invece ha avuto persino l’ardire di definire il suo partito come “nuovo e vecchio”. Sul “nuovo” ci sarebbe da scommettere, sul “vecchio” si potrebbe dire che ND non è un “usato sicuro”.
Per l’elettore si tratta di scegliere il memo “sgradevole” perché è consapevole che nel futuro non sono previsti “sconti” finanziari. Di certo Meimarakis, il quale con un colpo di mano ha esautorato tutte le vecchie “baronie”, ha già pronta la lista delle “bugie” che il suo avversario ha propinato ai greci. Si potrebbero definire i “sette peccati di Tsipras” che vengono elencati in qualsiasi discussione politica tra amici. 1) diminuzione tasse ed aumento di stipendi e pensioni – ma le pensioni sono state tagliate, e subiranno altri tagli; 2) “Con noi non si firmeranno altri Memorandum”, sostenne Tsipras. Il risultato è noto a tutti. Nessuno invece si immagina le conseguenze future; 3) Lotta alla corruzione, inchieste sugli scandali finanziari, ma il suo governo ha votato una legge che “cancella” debiti e multe per alcune industrie ; 4) Tsipras ha sostenuto che la vittoria del “no” avrebbe portato un accordo “migliore”. Oggi per l’opinione pubblica il Memorandum 3 è peggiore dei precedenti; 5) Non ci sarà alcun “capital controls”, affermò il portavoce del governo dieci giorni prima che venisse decisa questa misura; 6) Non ci saranno nuove elezioni; 7) “Ci atterremo allo spirito della Costituzione”, affermò Tsipras.
Alla fine, senza voto del Parlamento, il suo governo decise per il “capital controls” e per il “sequestro” dei fondi delle università e degli ospedali per pagare le rate del debito.
D’altra parte Tsipras sta reiterando lo stesso sbaglio. Di fronte alle difficoltà che comporta il governare, l’ex primo ministro si rivolge alla società e le chiede di assumersi la responsabilità di scelte che lui non è in grado di prendere. Difficile per un attivista anti-sistema seguire linee “borghesi”. Chiede in altre parole che i greci diventino “corresponsabili” di scelte sbagliate. Pochi giorni prima, ad agosto, di decidere per le dimissioni, Tsipras aveva intenzione di chiedere la fiducia per il suo governo. Lo aspettavano scelte dure e dolorose. Ora sono soltanto rimandate. E la Grecia è nuovamente con le spalle al muro.
Il Fmi ha già fatto sapere che la prima “valutazione” è stata posticipata in ragione del periodo elettorale. L’Eurogruppo ha manifestato la sua paura che l’applicazione di quelle misure che sono la condizione per il pagamento di 3 mld ad Atene non avvenga in tempo. Nei primi cento giorni, cioè fino a fine ottobre, il nuovo governo dovrà far votare alcune misure di lacrime e sangue e avviare alcune privatizzazioni. E poi quale governo? Di centro-sinistra? Di centro-destra? Nessun leader per ora svela i suoi progetti.
L’unico dato certo è che nessun partito potrà governare in solitario. Eppure Tsipras spera ancora nella “autodinamia”, che significa ottenere il 38% dei consensi. Numero stratosferico per il neo-Syriza che continua a perdere pezzi della sua organizzazione. Sette mesi di demagogia di nazional-sinistra non hanno insegnato nulla a militanti da sempre usi a definire strategie e teorie soltanto ipotetiche.