“L’esito del voto sul referendum costituzionale non ha nessun tipo di nesso con il debito pubblico, né con la solidità finanziaria dell’Italia. Non ci sono quindi motivi per temere alcunché. Sui mercati però si è sempre in cerca di pretesti buoni per creare opportunità anche laddove non esistono, e questo è un caso di scuola”. È quanto rileva Luigi Campiglio, professore di Politica economica nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. A lanciare l’allarme è stata venerdì una delle quattro agenzie di rating sulla quale si basa la valutazione della Bce. Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch hanno assegnato al rating dell’Italia una delle diverse gradazioni di B. La canadese Dbrs invece è ancora ferma alla A, e la Bce si basa sempre sul rating più alto. In un’intervista al Corriere della Sera, il capo dei rating sovrani di Dbrs, Fergus McCormick, ha fatto sapere che se vincessero i No al referendum la sua agenzia potrebbe declassare il debito dell’Italia.



Professore, che cosa c’entra la riforma costituzionale con il debito pubblico?

Non c’entra nulla. Ciò cui stiamo assistendo è un meccanismo di contagio psicologico a livello internazionale che rischia di produrre quelle che vanno sotto il nome di “profezie che si autorealizzano”, non perché siano vere ma perché tutti le formulano. In realtà, il referendum costituzionale non ha niente a che fare con gli investitori esteri.



Che cosa accadrebbe se vincessero i No?

Se anche i No prevalessero nettamente e il governo dovesse decidere di dimettersi, all’indomani il presidente Sergio Mattarella assegnerebbe nuovamente l’incarico a Matteo Renzi. Non ci sono quindi motivi per temere alcunché. Sui mercati però si è sempre in cerca di pretesti buoni per creare opportunità anche laddove non esistono, e questo è un caso di scuola.

Una bocciatura della riforma costituzionale sarebbe percepita dai mercati internazionali come un No al cambiamento?

Gli italiani negli ultimi anni hanno già cambiato tutto: il mercato del lavoro, le pensioni, i voucher e non solo. I cambiamenti attuati sono stati moltissimi, purtroppo con pochi risultati. Quali altri cambiamenti vogliono che facciamo? Ciò che molti hanno in mente finirebbe per mettere in ginocchio definitivamente il Paese. Abbiamo avuto otto anni di crisi, se vogliamo arrivare a 20 anni come il Giappone questa è la strada. Anche se in realtà Tokyo sta molto meglio di noi.



Si può dire quantomeno che il referendum italiano è un fattore di incertezza europeo?

L’attuale situazione è caratterizzata da una grande incertezza che riguarda peraltro ben altre questioni, queste sì realmente serie. Mi riferisco in particolare alla situazione delle banche in Germania, che potrebbe avere delle conseguenze disastrose. Ma di fronte a queste questioni sa il Cielo quale sia la relazione con la riforma costituzionale. Questo meccanismo di contagio delle opinioni a livello internazionale è come il telefono senza fili, per cui io dico una cosa perché me la ha detto lei, e lei la dice perché gliel’ha detta un altro.

 

La riforma ha se non altro il pregio di tagliare gli sprechi delle Regioni?

Trovo incomprensibili queste affermazioni. Se vivessimo in uno Stato fortemente centralizzato e avessimo un forte grado di omogeneità della macchina amministrativa, forse questo ragionamento starebbe in piedi. La questione delle inefficienze esiste ed è fuori discussione, ma intervenire su queste ultime richiede un lavoro di fino molto più attento di quanto si dica perché va fatto innanzitutto a livello decentrato. Alcune macchine amministrative regionali funzionano meglio di altre, e qualcuno dovrebbe spiegarci perché.

 

È vero che il decentramento produce solo sprechi?

No, non è il decentramento a creare gli sprechi, ma il fatto che alcune Regioni sono meno virtuose di altre. Bisogna quindi stare attenti a non creare dei mantra che poi si rivelano delle false illusioni.

 

Chi genera queste illusioni?

La questione di un governo politico che sia capace di mantenere le promesse è fondamentale. Ogni anno invece viviamo una stagione di promesse che poi sono perlopiù disattese. Se le promesse sono disattese e chi le ha formulate passa indenne, è chiaro che avrà la tendenza a ripetere il suo errore.

 

In ogni caso se il referendum non ha ripercussioni economiche, come si spiegano gli allarmi lanciati dalle agenzie di rating come la Dbrs?

Chi parla di politica da dietro a un desk operativo lo fa pensando ad altro. È come le bolle di sapone che poi purtroppo scoppiano, e quindi non vanno prese sottogamba. Non arrivo a dire che ci sia una sorta di accordo internazionale, ma ci sono delle convinzioni comuni che purtroppo si creano a poco a poco.

 

In che modo?

Per effetto delle campagne di stampa dei media nazionali che poi si rivelano fallaci e inesistenti. L’opinione pubblica è continuamente martellata su un determinato argomento, e alla fine tutti quanti credono che quello sia il problema. Non sempre però è così, in questo caso il “giochino” è stato fatto e ripetuto molte volte. La gente può essere poco informata una volta, magari due, ma alla terza è molto più difficile prenderla per il naso.

 

(Pietro Vernizzi)

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