Dal punto di vista economico, quello delle feste natalizie è uno dei periodi dell’anno più interessanti da osservare. Tra scelte su regali, viaggi e pranzi si ha un termometro importante sul grado di benessere e di fiducia degli italiani. Le previsioni per quest’anno non sono in questo senso delle migliori. Il Codancos, per esempio, stima un giro di affari intorno ai 10 miliardi di euro, contro i 18 che si registravano nel 2007. E rispetto allo scorso anno c’è il segno meno sulle vacanze. Per Ipr Marketing, inoltre, gli italiani spenderanno meno per i regali. Insomma, i consumi non ripartono nemmeno durante le feste. Per Leonardo Becchetti, Professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, si tratta di una «risposta razionale a una situazione in cui, rispetto al passato, aumentano i rischi».



Eppure una seppur minima crescita economica c’è stata…

Io dico sempre che non bisogna leggere la realtà solo attraverso il Pil, perché il benessere non è solo quello economico, che pure è importante. Proprio una decina di giorni fa è stato presentato il Rapporto Bes 2016, dove vengono presi in considerazione anche la salute, la qualità dei servizi, l’ambiente. Certamente abbiamo avuto una crescita intorno all’1%, che non è quindi particolarmente forte. Il punto però è che la sfida più importante è sul fronte del lavoro. Che poi è una doppia sfida.



In che senso doppia?

Oggi la doppia sfida della concorrenza del lavoro a basso costo e dell’industria 4.0 sta distruggendo molti lavori. E abbiamo scelto una via, quella dell’aumento della flessibilità, che ha molto precarizzato e frammentato il lavoro. Adesso, per esempio, si sta riflettendo sul tema dei voucher. Senz’altro la sfida più grande che abbiamo di fronte è far ripartire l’economia per creare più lavoro. Una sfida che si gioca su tanti fronti, dalla politica monetaria e fiscale, fino a tutto il tema della formazione, del rapporto scuola-lavoro. 

Il Pil è salito, ci sono state anche delle imposte in meno, ma a crescere sembra essere la mole dei risparmi degli italiani e non i loro consumi. Perché?



È l’effetto di una risposta razionale a una situazione che è più rischiosa di quella dei nostri padri. Abbiamo davanti molti più rischi e soprattutto meno stabilità del lavoro. Di fronte a questo stato di cose, la risposta razionale è quella di aumentare i risparmi precauzionali e ridurre i consumi. I nostri genitori, che avevano molta più stabilità del lavoro, facevano il contrario, si indebitavano perché avevano una prospettiva di continuità di reddito.

Questo atteggiamento ha cause solamente psicologiche o si basa su fatti concreti?

La società è diventata più rischiosa, questo è un fatto assolutamente concreto. A giocare un ruolo importante non è tanto la percezione di poter perdere, quando lo si ha, il proprio lavoro. Il punto è che cresce il lavoro frazionato, frammentato, parcellizzato. E tutto questo incide sulle scelte che si fanno. Nelle società occidentali, più che un problema di creazione della ricchezza, c’è un problema molto serio di distribuzione della ricchezza creata. Vediamo infatti che il Pil mondiale cresce, ma ogni progresso tecnologico accentra la ricchezza nelle mani di chi possiede questa tecnologia. Se la ricchezza prodotta non viene distribuita, non c’è domanda diffusa e l’economia non riparte.

Come si può sbloccare questa situazione?

In questa fase è difficile che ci siano lavori stabili come un tempo, quindi bisogna puntare a creare non solo occupazione, ma anche strumenti di assicurazione, di garanzia, di protezione dal rischio. Su vari fronti: previdenza, salute e anche lavoro. Avere questi strumenti aiuta ad affrontare una realtà sempre più rischiosa, dove si creano e si distruggono molti posti di lavoro: un processo che produce innovazione e progresso tecnologico, di cui poi tutti usufruiamo.

 

Quale strumento sarebbe in questo senso più utile?

La questione chiave è quella del reddito di inclusione o di cittadinanza. Ne parlano in tanti e ci sono varie idee sul tema. Il nostro Governo ha messo un miliardo sul tavolo, ma ce ne vorrebbero almeno sette. Io credo che questa misura vada erogata non in maniera “indiscriminata”, ma chiedendo una controprestazione, un’attività socialmente utile, la partecipazione a programmi per ricerca attiva del lavoro. Anche perché ci sono studi che dimostrano che i livelli di soddisfazione per i percettori sono collegati al fatto di essere utili e non al fatto di avere un sussidio.

 

(Lorenzo Torrisi)