Per il 2016 dobbiamo aspettarci un rapporto deficit/Pil al 2,7%, anziché al 2,4% come programmato nei documenti ufficiali del governo. Lo prevede Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza ed editorialista del Corriere della Sera, secondo cui la crescita del Pil nominale sarà del 2%, anziché del 3%, limitando le possibilità del governo di ridurre le tasse. L’Ocse ha stimato che nel 2016 il Pil italiano crescerà dell’1%, anziché dell’1,6% come previsto dal governo o dell’1,4% come previsto in precedenza dallo stesso Ocse. Un dato importante se si pensa che Renzi continua a voler ottenere maggiori margini di flessibilità dall’Europa. In un tweet il professor Daveri nei giorni scorsi aveva evidenziato: “Al netto di effetti di calendario il #Pil2015 fa +0,6. Con +0,6 deficit/Pil potrebbe essere 2,7 e non 2,6. #Bruxelles lo sa?”.



Professore, perché il rapporto deficit/Pil potrebbe essere del 2,7%?

Quando il Pil rallenta dell’1%, di solito il deficit aumenta di un punto percentuale. Quindi se il Pil rallenta rispetto al previsto e anziché +0,8% fa +0,6%, questo vuol dire che il rapporto deficit/Pil dovrebbe aumentare dello 0,1%. Quindi anziché a 2,6% dovremmo andare a 2,7%.



Per l’Ocse nel 2016 il Pil crescerà dell’1% anziché dell’1,4%. Che cosa dobbiamo aspettarci per l’anno appena iniziato?

Nei documenti ufficiali del governo italiano è prevista una crescita ufficiale dell’1,6%. Verrebbe quindi a mancare lo 0,6%, che si potrebbe tradurre in uno 0,3% in più di deficit rispetto a quanto programmato. Nel caso in cui a maggio il governo italiano ottenga il via libera dall’Europa sulla legge di stabilità, nel 2016 il deficit programmato sarà pari al 2,4%. Se la crescita 2016 fosse effettivamente dell’1% anziché dell’1,6%, il rapporto deficit/Pil andrebbe però al 2,7%. Il governo in ogni caso farà sapere quale deficit programma per il 2016/2017 con il Def dei primi di aprile.



Se l’Ue non concede la flessibilità, Renzi si troverebbe costretto ad attuare manovre meno mirate ai consensi rispetto a quanto ha potuto fare finora?

Il premier è molto attento ai consensi, soprattutto per il fatto che controlla il Parlamento solo con maggioranze variabili a seconda dei provvedimenti che sono approvati. Finché ha un forte consenso nel Paese può minacciare i parlamentari con lo strumento delle elezioni anticipate, in quanto poi le vincerebbe e otterrebbe un nuovo Parlamento a propria immagine e somiglianza. Il mantenimento del consenso quindi è cruciale per la strategia seguita da Renzi fino a questo momento. Questo può anche andare bene, a condizione che continui a essere perseguita la strategia di contenimento della spesa pubblica.

Renzi in passato ha speso troppo per mantenere il consenso e ora sta cercando di non pagarne il prezzo?

In realtà Renzi deve fare i conti con situazioni perlopiù ereditate. Non è Renzi che ha fatto salire la spesa pubblica oltre il 50% del Pil, né è stato lui a fare salire il debito pubblico al 130%. La presenza eccessiva dello Stato nell’economia italiana, data l’efficienza della spesa pubblica, è un problema che precede l’attuale premier. Renzi dovrebbe accelerare sulle riforme per riuscire a migliorare l’efficienza dello Stato. Questo gli potrebbe consentire di ridurre la spesa pubblica e di continuare a spendere in modo più efficiente.

 

Lei si aspetta un inasprimento delle tasse nel corso del 2016?

Aumenteranno le tasse intese come il conto che si paga con la dichiarazione dei redditi. Il premier ha in mente invece una riduzione delle aliquote, ovvero sia delle tasse divise per la base imponibile. Renzi afferma che le tasse nel 2016 scenderanno perché dà per scontato che il Pil a prezzi correnti dovrebbe aumentare del 3%. È una stima molto ottimistica. Se il Pil in termini reali aumenta dell’1% e l’inflazione arriverà forse all’1%, quello che avremo è un Pil che in termini nominali aumenta del 2%. Questo limita la possibilità di attenuare le tasse in percentuale sul Pil.

 

(Pietro Vernizzi)