«Il governo dovrà rivedere il Pil 2016 al +0,7-0,8%. Sempre a condizione che nel secondo semestre non ci sia una diminuzione della produzione industriale, come fa presagire il -0,3% registrato a luglio, perché in questo caso il dato relativo al Pil sarà ancora peggiore». È la previsione del professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie. Martedì intervenendo alla posa della prima pietra nel nuovo quartier generale di Siemens Italia il presidente del consiglio, Matteo Renzi, ha affermato: «I dati sul Pil, negativi fino a qualche anno fa, oggi sono tornati positivi ma ancora non vanno alla velocità che noi vorremmo». Mentre il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha aggiunto che in occasione della nota di aggiornamento al Def, le previsioni di crescita «saranno riviste al ribasso».
Nel Def è stato previsto che il Pil 2016 registri un +1,2%. A quanto è plausibile che sia rivisto il Pil 2016 da parte del governo?
A oggi è stato acquisita una crescita del Pil del +0,6% nella produzione industriale e dello 0,8% come dato complessivo. La produzione industriale sta scontando una certa difficoltà, mentre c’è un migliore andamento del turismo dovuto a fattori esogeni e forse anche a una certa tendenza allo sviluppo dei servizi più che dei beni. Alla luce di tutti questi fattori, la mia previsione è che si arrivi a un +0,7-0,8%, ammesso che il Pil non sia eroso nel secondo semestre. Tenendo conto del Quantitative easing e di una crescita differenziale maggiore negli altri Paesi Ue, la performance italiana è molto deludente e rappresenta una bocciatura della politica del governo italiano.
Perché teme che la crescita acquisita possa essere erosa nel secondo semestre?
Molto dipenderà dal fatto che nella produzione industriale ci sia o meno una crescita negativa nel secondo semestre, come potrebbe desumersi dall’andamento sfavorevole di luglio 2016 che ha registrato un -0,3% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
Il ministro Padoan ha detto che le tasse “continueranno a scendere”, dando per scontato che il governo Renzi le abbia già tagliate. La pressione fiscale è realmente diminuita?
Negli ultimi anni la pressione fiscale complessiva dei tributi in proporzione al Pil è aumentata rispetto al dato del 2011. Ora il governo Renzi può attuare diminuzioni rispetto ad aggravi attuati da egli stesso e dai suoi predecessori. Le riduzioni che può introdurre per il futuro sotto forma di mance elettorali non abbassano la pressione fiscale neanche fino a riportarla ai livelli del governo Monti.
Questo aggravio ha riguardato soprattutto la tassazione diretta o indiretta?
Soprattutto quella diretta, mentre le imposte indirette sono state toccate di meno per motivi elettorali. Il rapporto tassazione diretta/Pil è aumentato di oltre un punto percentuale rispetto al 2011. Anche il rapporto spesa pubblica/Pil è aumentato, sia pure in misura minore. Le spese correnti sono aumentate dell’1%, al netto degli interessi e degli investimenti che sono diminuiti. Gli investimenti pubblici sono diminuiti per una scelta deliberata del governo, mentre la spesa per interessi è calata grazie alla politica monetaria del presidente della Bce, Mario Draghi.
I tagli alla spesa ci sono stati o sono un’invenzione?
I tagli alla spesa ci sono stati, in particolare per quanto riguarda le retribuzioni o comunque la forza lavoro nel settore pubblico, nonché gli acquisti della Pubblica amministrazione. Sono stati però sopravanzati dall’aumento della spesa in denaro e in natura a favore dei consumatori.
A che cosa si riferisce?
La spesa in denaro è aumentata tramite i bonus del governo e quella in natura tramite i deficit delle imprese pubbliche. Complessivamente l’aumento della spesa in rapporto al Pil è quindi notevole. Ci sono settori dove la spesa pubblica è deleteria, perché tiene in piedi baracconi che dovrebbero essere sostituiti da attività produttive efficienti. In questi settori il taglio della spesa non è stato fatto perché le ragioni politiche ingessano le decisioni economiche, e rispetto a ciò pesa una crisi generale dei governi e dei partiti di sinistra in Europa.
Secondo lei, è plausibile che si siano altri significativi tagli di spesa pubblica con cui finanziare la riduzione delle tasse?
L’esecutivo di Matteo Renzi si regge sull’ibrido rappresentato dal potere di alcuni conglomerati finanziari che gli portano voti e dall’esigenza di mantenere il suo potere elettorale. Questi gruppi finanziari auspicherebbero dei tagli di spesa, ma se ciò avvenisse il Pd perderebbe ulteriori voti. Finché c’è questo governo dunque non saranno possibili tagli di spesa. Anzi non accadrà mai finché non avremo un governo di centrodestra moderato e consapevole.
E se invece andassero al governo i Cinque Stelle?
Neppure quella stessa “sinistra anomala” costituita da M5s è adatta per risolvere questi problemi, perché pur opponendosi all’alleanza oggi al governo odia la modernizzazione. I Cinque Stelle non hanno un’ideologia se non quella della protesta e della rivalsa. D’altra parte le sinistre non hanno un futuro in Europa. Forse ce l’hanno negli Stati Uniti, che si possono permettere una sinistra in quanto sono molto più liberalizzati di noi. Anche perché negli Usa il Welfare State ancora non c’è, e quindi un personaggio come Bernie Sanders ha ancora un significato.
(Pietro Vernizzi)