«Le misure messe in cantiere dal governo non sono in grado di rilanciare la crescita economica dell’Italia. Gli incentivi per l’industria 4.0 saranno utilizzati solo dalle aziende che intendevano già innovare, ma non favoriranno la creazione di nuovi investimenti. E gli stessi interventi relativi alle pensioni vanno nella direzione di una maggiore equità sociale, ma non saranno in grado di stimolare i consumi». A rimarcarlo è Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza. Martedì il governo ha approvato la Nota di aggiornamento al Def, che contiene le linee guida su cui si baserà la legge di bilancio 2017.
Come valuta le misure economiche contenute nella Nota di aggiornamento al Def?
Il governo registra una minore crescita economica per il 2016 e 2017, come è giusto che sia perché ormai la maggior parte dei centri che fanno previsioni avevano preso nota di questo rallentamento dell’economia. In questo ci sono due componenti, una internazionale e una interna. Quella internazionale dipende dal fatto che gli Stati Uniti crescono un po’ di meno e che la stessa crescita in Europa è rallentata rispetto al primo trimestre. La componente interna invece ha a che fare con l’andamento della fiducia che è in calo dall’inizio del 2016.
Perché lo ritiene un dato preoccupante?
Era stato il buon andamento della fiducia che nel 2015 aveva alimentato la ripresa dei consumi e l’aumento del reddito disponibile. Da inizio anno invece il mercato interno soffre di questo peggioramento della fiducia. La minor crescita significa che il deficit pubblico tendenzialmente è più elevato, e quindi c’è un margine minore per effettuare delle politiche che lo aumentino ulteriormente. Questo è il problema che il governo ha di fronte a sé, e deve confrontarlo con le tante promesse che ha fatto nei mesi scorsi.
Il governo prevede un Pil al +1% nel 2017. È credibile?
Bisogna vedere se nel 2017 la Brexit lascerà un segno più evidente di quanto abbia fatto finora soprattutto sul Pil di Regno Unito e Germania. In realtà nessuno sa esattamente quale sarà l’entità dell’effetto della Brexit, che sostanzialmente è ancora di là da venire. Finora c’è stato solo qualche conseguenza sul fronte degli investimenti delle multinazionali, che stanno decidendo se rilocalizzare o meno. Fatto sta che il governo si aspetta un Pil al +1% per il 2017 grazie agli effetti benefici nel tempo delle politiche messe in campo finora come gli 80 euro e l’abolizione dell’Imu sulla prima casa.
Lei pensa realmente che ci sarà questa crescita?
Al momento i dati non riflettono questa tendenza, e le stesse misure a favore degli investimenti delle imprese sono ancora largamente da valutare. Nel 2016 c’è stato il superammortamento, che dovrebbe essere confermato per il 2017. In cantiere ci sono inoltre gli incentivi per l’industria 4.0 illustrate dal ministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda, che dovrebbero favorire l’ammodernamento e la digitalizzazione dell’economia.
Quale effetto avranno gli incentivi?
A suo tempo incentivi simili erano stati erogati anche dal governo Berlusconi, ma non avevano funzionato molto. Le aziende che per ragioni loro scelgono di modernizzarsi lo fanno anche senza gli incentivi, mentre quelle che ritengono di non volerlo o poterlo fare, non cambiano certo idea solo perché hanno a disposizione questi sgravi. Per poter introdurre o rendere convenienti le nuove tecnologie spesso occorre ampliare le dimensioni delle imprese.
Di fatto che cosa prevede il piano per l’industria 4.0?
Il piano per l’industria 4.0 intende supportare una maggiore diffusione della cultura digitale, nonché l’incentivazione degli investimenti privati in tecnologie innovative e beni collegati all’automazione e allo sviluppo. L’obiettivo è inoltre quello di favorire l’acquisizione di competenze in capitale umano, la cosiddetta “agenda digitale”, il completamento degli strumenti pubblici di supporto come il rifinanziamento del fondo centrale di garanzia e lo scambio tra salario e produttività. Lo stesso superammortamento passerebbe dal 140% al 250%.
Quali effetti avranno le misure proposte da Renzi con il cosiddetto “patto della lavagna”?
Le misure proposte da Renzi hanno ragioni di equità. L’intervento sulle pensioni serve a fare sì che chi riceve un assegno troppo basso ne ottenga uno un po’ più alto. Ciò forse porterà i pensionati a consumare un po’ di più, ma non è da lì che ci si può aspettare un effetto sulla crescita. A influenzare la crescita economica e gli investimenti dovrebbero essere piuttosto il piano per l’industria 4.0, il rinnovo del superammortamento e gli incentivi alla produttività.
Lei condivide la battaglia di Renzi con l’Unione europea a favore della flessibilità?
Si può discutere del fatto che in passato le regole dell’Unione europea siano state interpretate in modo troppo rigido. Se però l’Ue intende proseguire verso forme di maggiore integrazione, è difficile prescindere dal Fiscal compact. Negli Stati Uniti i singoli Stati non possono fare deficit. Il Fiscal compact è quindi la base per procedere in una direzione federale, che comporta la rinuncia a una parte della sovranità per condividere i progetti.
(Pietro Vernizzi)