Sisifo ricomincia a salire la montagna con il suo masso di pietra. Ieri sono arrivati i rappresentanti della Troika e sono ripresi i colloqui-scontri. Quindici giorni per arrivare a un accordo che dovrebbe essere approvato durante l’Eurogruppo del 20 marzo. Ce la faranno? Difficile fare un pronostico. Secondo il primo ministro che in Parlamento ha genericamente illustrato l’accordo del precedente Eurogruppo, si è arrivati a un compromesso onorevole tra Atene e i creditori per ulteriori riforme in cambio di aiuti nell’ambito del piano di salvataggio. Ha detto di credere che forse si è arrivati davvero al punto di voltare pagina nelle relazioni coi creditori e che questi abbiano accettato l’idea che l’austerity debba finire. “Ora sono assolutamente convinto che per la prima volta in sette anni è stato concordato che dobbiamo lasciarci alle spalle il principio di austerità, e questo è cruciale per il Paese”.
Comunque, Tsipras è stato vago, altrettanto come il risultato dell’Eurogruppo. I prossimi colloqui sono coperti da un velo di ambiguità. Si dovranno redigere delle misure, cioè un taglio di 3,6% del Pil, e delle “contro-misure” che favoriscano lo sviluppo economico. Ma quali siano queste “contro-misure” non è dato sapere. Tsipras e i “syrizei” continuano a sostenere che il governo non voterà ulteriori tagli alle pensioni: “Neanche un euro di tagli”, ebbe a sostenere un mese fa il primo ministro.
Il punto è che nessuno crede più alle dichiarazioni del Governo. Pacatamente e passivamente si aspettano le decisioni relative alla seconda valutazione e la strategia del Fmi sulla sua ulteriore partecipazione al piano di salvataggio. È vero che tra europei e Fmi le analisi sul debito e sull’avanzo primario sono discordanti, ma sembra che tra di loro si arriverà a un accordo. Ed è proprio sulle differenze di questi due punti di vista che Atene ha tirato per le lunghe le trattative che nello specifico dovevano concludersi a inizio dicembre 2016. Ma allora il lavoro del governo si era arenato: troppo alto il costo politico di alcune riforme che sono rimaste nel cassetto. Oggi, stando ai conti, nel 2018 ci sarebbe un “buco” di 500 milioni che andrà riempito. Come?
Secondo Bloomberg, i creditori starebbero redigendo un pre-progetto (un mini-memorandum?) in cui sono elencati tutti i “doveri” di Atene che in cambio otterrebbe il via libera alla prossima tranche del prestito. In sintesi, i punti: sistema fiscale, rapporti di lavoro ed energia. I tre ostacoli difficili da superare per i “syrizei”. In pratica la “linea rossa” del governo dovrà essere superata. Sempre Bloomberg scrive che sarà difficile trovare un accordo per marzo e tutto il pacchetto andrà sul tavolo dell’Eurogruppo il 7 aprile.
Atene continua a perseguire una “soluzione politica” al problema delle misure e della gestione del debito pubblico. “L’accordo ci sarà e anche a breve. In questo periodo non conviene a nessuno una situazione di incertezza in Europa. Specialmente ora che in molti paesi importanti si avvicinano le elezioni”, ha dichiarato la giovane portavoce di Syriza. Si fa affidamento, infatti, alle armi di un ingenuo “ricatto” da parte di Atene. Forse anche per allungare i tempi delle decisioni pesanti che riescano a convincere tutti i parlamentari “syrizei”.
E che si cammini sul filo del rasoio lo dimostra il nervosismo che si è creato dopo il recente Eurogruppo tra il ministro delle Finanze e il primo ministro, in merito alle decisioni da prendere. Quali decisioni? Lo sapremo quando i colloqui iniziati ieri porteranno a un qualche risultato. Sicuramente questo ritardo non fa bene all’economia. Stando ai dati della Banca centrale di Grecia, nel solo mese di gennaio sono stati prelevato 1,5 miliardi dai depositi bancari. In un certo senso si respira la stessa aria di incertezza che ha accompagnato Atene nel febbraio del 2015, quando dopo “scatti di orgoglio” e “dure battaglie” Tsipras è stato costretto ad accettare le condizioni dei creditori.
Come uscire da questo imbuto? Sempre la portavoce di Syriza: “Bisogna intervenire subito per la creazione di nuovi posti di lavoro. Non ci può essere sviluppo senza ridurre la disoccupazione. Più in generale, le contro-misure dovranno proteggere i più deboli, chi è stato maggiormente colpito dalla crisi. Devono permetterci di continuare e concludere il nostro sforzo per una sanità e un’istruzione gratuita e riqualificata per tutti i cittadini e per il rafforzamento della rete di previdenza sociale”. Ma non fa cenno al fatto che per ridurre la disoccupazione servono capitali che non ci sono e non arrivano.