Il Comitato monetario della Federal Reserve, come previsto, ha deciso di alzare ancora i tassi di interesse. Questo perché, come ha chiarito Janet Yellen, l’economia Usa “sta andando bene”. In Europa, invece, è stato confermato un forte aumento dell’inflazione, che a febbraio è salita del 2% su base annuale, contro l’1,8% di gennaio. In questo quadro per Pier Carlo Padoan la crescita del Pil in Italia dovrebbe rafforzarsi quest’anno e il prossimo. «Il rafforzamento della crescita è previsto proseguire quest’anno e nel prossimo, confermando l’efficacia dell’impostazione della politica di bilancio favorevole alla crescita e volta ad assicurare un graduale, ma deciso consolidamento delle finanze pubbliche», ha detto il ministro dell’Economia. Sarà davvero così? Abbiamo fatto il punto con l’economista Francesco Forte.
Professore, la Fed ha aumentato i tassi di interesse. Cosa cambia per noi?
Questo aumento anticipato arriva dalla constatazione che c’è effettivamente una crescita dell’economia, una riduzione della disoccupazione e un aumento dei prezzi che consigliano di farlo. Inoltre, il debito pubblico americano ha raggiunto il tetto stabilito per legge, che ora dovrà essere innalzato. Questo fenomeno genera una certa sensazione di politica fiscale facile, cui si risponde con l’aumento dei tassi. Tutto questo farà salire i saggi di interesse sul mercato internazionale per il debito pubblico, anche per l’Italia ovviamente. Inoltre, ci saranno pressioni su Draghi per far aumentare i tassi della Bce.
Pressioni favorite anche dall’ultimo dato sull’inflazione europea…
Sì, anche se la crescita dell’inflazione in parte dipende da un fenomeno stagionale, quello che ha visto crescere molto i prezzi di frutta e verdura per via del clima rigido di questo inverno, e dall’aumento delle quotazioni del petrolio dopo un periodo in cui sono state artificiosamente basse per un eccesso di offerta. Adesso c’è quindi un grosso problema per il nostro debito pubblico, perché finito il Qe dovremo spendere di più per gli interessi. Potremmo anche finire al centro della speculazione dei mercati.
A parte gli effetti sulla finanza pubblica e sulle politiche monetarie della Bce, cosa cambierà per l’economia reale?
Ci saranno degli effetti positivi, perché la domanda globale è in crescita e quindi ci sarà maggiore possibilità di esportare. Il problema è che l’Italia è in stagflazione, in quanto ha un’inflazione che tende al 2% e un tasso di crescita intorno all’1%. È un classico esempio in cui il rapporto tra inflazione e crescita è invertito rispetto a quello che dovrebbe essere.
Qual è il rischio principale della stagflazione?
La stagflazione ostacola la crescita del Pil. Il rischio principale è di essere intorpiditi nel medio lungo termine, di diventare il Paese di coda dell’Unione europea in cui se le cose continuano così tra 3-4 anni chi propone di uscire dall’euro vincerà le elezioni. Oppure potremmo anche essere commissariati: del resto siamo una “preda” più ghiotta della Grecia. Questo rischio, che era prevedibile e ora si sta materializzando, purtroppo non è stato e non viene affrontato dalla classe politica.
Dunque Padoan sbaglia quando parla delle nostre prospettive di crescita?
Abbiamo rigidità nei contratti di lavoro, un problema con le sofferenze bancarie non aiutato dalla tassazione sugli immobili, un modestissimo investimento in opere pubbliche: alla nostra crescita mancano quindi delle spinte. Potremmo migliorare un pochino, però la disoccupazione rimarrà alta e la crescita del Pil sotto il 2%.
(Lorenzo Torrisi)