“L’Italia non vale più del 2% del prodotto lordo mondiale” dice Francesco Confuorti, presidente di Advantage Financial, alla vigilia delle elezioni politiche di casa nostra. Difficile pertanto che i mercati possano preoccuparsi dell’esito del voto. L’unica cosa di cui potrebbero avere paura è il debito pubblico. Certo questo non esaurisce i nostri problemi: un sistema politico scarsamente rappresentativo, unito al deficit di “vision” di tutta la classe politica, e un sistema produttivo e bancari frammentato fanno il resto. Confuorti, anche grazie alla sua esperienza internazionale, cominciata negli Usa, ha maturato sull’Italia un punto di vista privilegiato.
Che cosa ha significato per lei l’avventura negli Stati Uniti?
E’ stata l’esperienza più interessante che abbia mai vissuto, oltre naturalmente ai miei figli e alla mia famiglia. Se non ci fosse stata l’America non avrei mai potuto maturare quella predisposizione al rischio e anche un po’ all’avventura, nel senso positivo del termine, che porta a creare benessere per sé e per gli altri.
Lei ha operato anche a Wall Street?
Ho iniziato a Chicago, operando alla Borsa delle merci, e poi anche a Wall Street, dove ha ancora sede il nostro quartier generale, la nostra casa madre, che controlla le nostre aziende in Europa, quindi anche in Italia.
In base alla sua esperienza, gli hedge fund, cioè i fondi d’investimento più speculativi, con che occhi guardano alla situazione politica italiana?
Innanzitutto bisogna tenere presente che l’Italia non vale più del 2% del prodotto lordo mondiale, mentre l’Europa non rappresenta più del 20%; all’interno dell’Europa, poi, c’è la Germania, che ha fatto circa l’80% del surplus, quindi l’Italia occupa una posizione residua.
Fa parte, però, ancora dei Paesi del G7…
Il G7 è la sigla dei Paesi più industrializzati, ma l’economia mondiale si muove sui consumi e sulla crescita. Il non saper migliorare la nostra situazione, visto che i francesi vendono nella moda e nell’alimentare al posto nostro e i tedeschi nell’industria, vuol dire che noi non sappiamo rivalutare il nostro Made in Italy.
E questo perché?
Perché abbiamo un sistema aziendale frammentato, in gran parte fatto di aziende micro, che va bene, ma abbiamo pure un sistema bancario frammentato, dove invece ci sarebbe bisogno di una maggiore concentrazione e della creazione di un portale in grado di supportare le Pmi italiane, che hanno un problema nell’assorbire i capitali delle banche stesse. Abbiamo quindi un problema serio, ma risolvibile. A non trovare soluzione invece è la politica italiana, che non ha un peso sufficiente per rappresentare la nostra economia italiana all’interno del G7 o all’interno della comunità europea.
E’ per questo che la scorsa settimana Juncker ha detto che ci sono dei timori per quanto riguarda l’Italia, soprattutto con queste elezioni, vista la sostanziale instabilità politica che l’esito elettorale potrebbe dare?
Tralasciando Juncker, che non ha un peso reale, è giusto dire che l’Italia ha bisogno di un sistema politico più rappresentativo. La rappresentanza, in democrazia, vuol dire anche sapere fare delle intese, dei buoni compromessi, e non solo alimentare degli antagonismi. La Germania insegna: sono ancora impegnati a cercare di mettere in piedi un governo, di trovare delle soluzioni. Questo è un punto molto importante. Il problema vero dell’Italia è che non ha una rappresentanza adeguata all’interno delle istituzioni internazionali e quindi si ritrova a contare su persone che spesso non rispondono alle esigenze del Paese. Una sorta di disconnessione degli interessi nazionali con chi questi interessi dovrebbe rappresentare, in Europa, alla Nato o negli ambiti dove bisogna contare. L’unica eccezione è la Banca centrale europea, dove Draghi ha svolto un eccellente lavoro.
Agli occhi dell’Europa il sistema bancario italiano è solido?
Ci sono banche solide, però c’è un processo di consolidamento che non può avvenire in quattro anni. Se una barca sta per affondare, la prima cosa è salvare la gente. Il sistema finanziario italiano — che ha ancora 400 banche e banchette che hanno bisogno di fondersi in fretta — deve seguire l’esempio francese: Parigi ha accorpato, oggi ci sono 3 o 4 grandi banche che rappresentano il credito del Paese e quindi contano su marginalità, manager e capacità tali da poter essere presenti a livello internazionale e da rappresentare le aziende. Tanto che le banche francesi , il 30% del nostro sistema bancario, rappresentano anche aziende italiane all’estero.
Ma con 149 miliardi di crediti deteriorati in pancia nel 2017 come possiamo pensare di presentarci agli occhi dell’Europa e della grande finanza come solidi dal punto di vista bancario?
I crediti non performing sono parte di una situazione globale. Certo, le banche italiane ne hanno di più per i motivi che sappiamo. Il problema è crescere: se una banca cresce riesce ad accantonare, se non cresce vuol dire che lo stock di non performing aumenta. Quindi bisogna favorire le grandi fusioni per arrivare ad avere un sistema competitivo, in grado con la redditività di gestire quello che non ha funzionato e di conquistare fette di mercato. L’Italia ha bisogno di crescere, di tagliare la spesa improduttiva e il debito, e far sì che il sistema finanziario sia strutturato per poter garantire il credito.
Qual è, secondo lei, la cosa di cui i mercati potrebbero avere più paura da lunedì 5 marzo?
L’unica cosa di cui i mercati potrebbero avere paura è il debito pubblico, che è esploso con l’entrata nell’euro, perché le nostre aziende sono competitive e abbiamo dei marchi che hanno successo. Le nostre aziende sono sane, per la gran parte, anche se piccole. Il problema dell’Italia è una gestione politica non adeguata, una mancanza di visione politica. Ecco, alto debito pubblico e scarsa visione politica sono i due anelli mancanti del successo italiano.
I mercati hanno dato già per assodato che in Italia non ci sarà una maggioranza stabile?
I mercati danno sempre per scontato che in Italia vada tutto male, poi arrivano e comprano a man bassa. Comunque non ci sarà una maggioranza per formare un governo, il governo dovrà essere formato da una coalizione ampia. Questo è lo scenario più accreditato. Se invece qualcuno vincesse, questo, anche in termini finanziari, renderebbe lo scenario più interessante. La questione importante è che i politici trovino la forza di fare gli interessi di tutti gli italiani e di non essere perennemente in campagna elettorale, sempre politicamente divisi. Comunque tutti si aspettano che non ci sarà una maggioranza definita e quindi ritengo che le reazioni negative saranno minime, almeno finché non si capirà se riusciremo a fare davvero un governo. Dovessero passare 4 o 5 mesi, la Germania metterà il paracadute e ci dirà di fare un governo con un altro presidente del Consiglio non eletto, come è già successo in passato.
Quindi ci aspetta un Gentiloni bis?
Non lo so. Gentiloni è una persona per bene, di alta levatura, ma ritorniamo alla gestione di uomini e non di Paese, come ho già detto prima.
Quindi i mercati hanno già in qualche modo attutito questo colpo?
L’Italia non è un Paese leader, è un Paese “leadered”, cioè che segue, non conduce. Quindi quello che succede in Italia è poco interessante per il mondo, perché la percentuale degli asset italiani, che poi è la percentuale quotata in Borsa, è molto relativa rispetto al nostro Pil. Il nostro mercato borsistico segue i trend internazionali. Il nostro problema è l’allargamento dello spread e del costo del denaro, il pegno che il Paese indebitato deve pagare.
Come analista teme la vittoria dei partiti populisti?
L’Italia è un Paese “imbragato” dall’Europa: chiunque vinca, restiamo all’interno del sistema europeo.
Allora non resta che la grande coalizione?
L’Italia è un Paese in cui bisogna tornare a remare insieme per abbassare il debito e il tasso di retorica, ritrovando l’unità nell’interesse degli italiani, della sua economia, dei giovani, delle piccole imprese che rappresentano un grande patrimonio, quel Made in Italy capace di esportare verso il 10% più ricco del mondo. Per questo ci vuole un governo degli italiani, che poi sia un governo di tutte e tre le coalizioni o di due coalizioni poco importa, purché sia un governo stabile.
A proposito di made in Italy, sono anni che si dice che va potenziato, perché è un volàno della crescita. E il Made in Italy funziona dove c’è il marchio di grande valore, basti pensare alla moda o all’alimentare…
Oltre all’italianità, al Made in Italy, bisognerebbe aggiungere la sostenibilità. A tal proposito, noi di Advantage Financial, con il marchio GreenMango, ci stiamo focalizzando proprio sulla sostenibilità, perché aiuta a riscoprire dei valori che abbinati al Made in Italy potrebbero fare tanto.