Caro direttore,
accetto con piacere la sua proposta di condividere qualche riflessione sull’aumento delle tensioni sui mercati e sull’Italia in particolare, ma premetto che, diversamente da quanto dicevo nel maggio scorso, la situazione è più complessa e fatico a delineare uno scenario di medio termine.
Il flusso incessante di notizie e commenti fortemente negativi sulla situazione politica italiana come premessa di una nuova fase di crisi finanziaria (lasciando stare gli scenari “anni Venti”, spesso menzionati), viene alimentata globalmente da testate come New York Times, Cnn e Bbc e localmente dai loro fedeli “followers” Corriere della Sera & Repubblica: si citano “investitori stranieri” in fuga dall’Italia per mettere in guardia l’elettorato di middle class che è il più sensibile al rischio di bruciare i risparmi di una vita. Ovviamente, chi gestisce decine di miliardi di euro da Londra o New York non segue né i reportage allarmisti di Cnn né le crociate di Repubblica. Non è possibile fornire con precisione i dati di investitori stranieri in fuga se non con ritardo di mesi e grande approssimazione e ci si affida quindi a dichiarazioni spesso rilasciate da gestori minori, purché confermino la solita tesi delle riforme necessarie, dell’incertezza sulla disciplina fiscale, eccetera.
Con questa premessa, cioè il forte sospetto che molti attori non finanziari si augurino una crisi del debito italiano, possiamo sintetizzare i fatti che giustificano una certa preoccupazione.
Siamo purtroppo già arrivati a una fase di maturità del ciclo economico europeo, in cui tra l’altro:
1. il “locomotore Germania” potrebbe patire più di altri una guerra commerciale su scala globale;
2. la Bce con la fine dell’anno interromperà il Quantitative easing (ma continuerà a reinvestire il denaro dei titoli che vanno a scadenza, il che è una vera benedizione per l’Italia);
3. la leadership della Bce diventerà presto un tema caldo con il rimpiazzo di Mario Draghi da ottobre 2019;
4. le tensioni commerciali tra Usa e resto del mondo aumentano l’incertezza degli investitori e peseranno sulle decisioni di investimento di grandi multinazionali;
5. i mercati emergenti sono sotto grande pressione sia per ragioni prevalentemente interne (es.: Turchia, Brasile) che per fattori politici globali (es.: Cina, Russia) e questa crisi è amplificata dalla fuga dalle loro valute verso il dollaro, i Treasuries Usa e il Bund tedesco.
In questo contesto, i Btp italiani hanno un appeal limitato per i possibili compratori. Ancora più semplicemente, il Btp è una delle prime posizioni che i gestori riducono in caso di mercati agitati, come anche succede per le banche italiane quotate. Il contesto è cambiato molto in 12 mesi e gli investitori obbligazionari sono più sensibili al rischio di credito soprattutto se alla base vi sono complesse dinamiche politiche.
A causa dei pochi compratori naturali (natural buyers) oltre alla Bce e alla più limitata liquidità del mercato, rispetto alla situazione pre Qe, si può assumere che l’impatto marginale che flussi di vendita hanno sui prezzi dei Btp sia molto importante. Si può argomentare che il “destino” dei Btp e anche del Bund, ma di segno opposto, è quello di rimanere ipersensibili a flussi relativamente piccoli. Come detto nella nostra intervista di maggio in piena crisi, uno spread superiore ai 200 punti base è assolutamente naturale per l’Italia e non dovremo stupirci di quota 300, che a mio parere sarà superata. Quello che preoccupa davvero gli investitori stranieri è la sconcertante combinazione di assenza di capacità, realismo, volontà e strumenti europei per gestire contemporaneamente le conseguenze finanziarie di Bce/Qe in uscita, profonda crisi politica Ue, rallentamento della crescita, acuirsi di tensioni internazionali.
In sintesi, l’Italia è in una situazione di strutturale debolezza politica ed economica, in un contesto Ue di profondi contrasti interni, che pesa più dei timori di riduzione dell’ottimo primary budget surplus (attualmente vicino a 1,7%) come effetto di possibili politiche fiscali più espansive. Possiamo aspettarci dunque un peggioramento del quadro economico e politico europeo e un’Italia che attraverserà mesi molto delicati.
Se il governo italiano potesse contare su un esplicito appoggio degli Usa e di una parte dell’Ue, potrebbe tentare di gestire un anno di transizione con politiche leggermente espansive, cioè “non ortodosse” e apertamente avversate dalla Commissione europea e dalla Bce.
Il costo di un rialzo temporaneo dei tassi reali per alcuni mesi può essere del tutto accettabile se è parte di una policy di stimolo intelligente. Temo però che il tessuto imprenditoriale e la fiducia dei consumatori siano a un livello tale di “depressione”, e cioè di scarsa reattività a circostanze potenzialmente favorevoli, che anche la flat tax genererà benefici solo in una ottica di diversi anni e solo in combinazione con altre politiche espansive.
Per questo, da adesso in poi, la strategia italiana consiste nell’avere supporto da Washington, Francoforte e dai paesi Ue meno allineati al blocco franco-tedesco. Poi i mercati e la politica ci riserveranno sorprese a sufficienza per rivedere le nostre analisi.