Guardano con attenzione quello che accade, ma non nascondono sospetto, incomprensione, insofferenza. Pochi si sono accorti di loro. Eppure sono tanti: sono i tanti ragazzi ai quali il subbuglio generale di questi giorni sta un po’stretto, e in cui, diciamolo pure, avvertono un certo disagio. Il sospetto – dicono – è che si tratti solo di una vacanza generale; l’incomprensione è per manifestazioni un po’ sopra le righe, con un accaloramento eccessivo rispetto alle politiche contestate, che non sono certo stravolgenti; l’insofferenza è per l’arroganza con cui si pretende che tutti debbano partecipare alle adunate di piazza o alle occupazioni. E infine quello che c’è in loro è anche un grande desiderio di normalità, e di discussione pacata sui contenuti. 



La “maggioranza silenziosa” dei ragazzi, che di questi giorni “incasinati” farebbe volentieri a meno, non se la sente affatto di “sospendere le attività” così come se nulla fosse; lo sanno, loro, che il giorno dopo si torna regolarmente a scuola e che il problema vero è quello; e se chiedi anche solo una mezz’oretta per intervistarli, ti dicono candidamente che “sì, va bene, ma facciamo un venti minuti, perché  sono indietro in matematica e venerdì c’è il compito”. E da questo “venerdì c’è il compito” si capisce tanto: che la testa sulle spalle ce l’hanno, che i conti con la realtà li sanno fare, che non sono cinici e menefreghisti (altrimenti non parlerebbero, direbbero “chiedetelo a chi fa le manifestazioni”). Che insomma sono una cosa un po’ più complessa dei quattro slogan in cui i giornali li vorrebbero ingabbiare.



Bigiate, o giù di lì

Prima cosa, fanno piazza pulita di ogni retorica. “Siamo in piazza per dire che…”, gridano i ragazzi inquadrati dalle telecamere, con un bel microfono piazzato davanti alla bocca. Ma sono in piazza proprio per quello? O per altro? I ragazzi della “maggioranza silenziosa” non usano mezzi termini: «decidere di legalizzare la “bigiata” scolastica (da noi si dice così) non mi sembra il modo più ragionevole di risolvere la faccenda», dice Anna di Crema; «molte adesioni a queste manifestazioni sono avvenute per fare un “cabò legalizzato”, e senza accorgersene sono state strumentalizzate da partiti e giornali», le fa eco Giulia di Modena. Cambiano i termini a seconda della provenienza geografica, ma il concetto è sempre quello: smascherare con schiettezza i veri motivi che portano i ragazzi a passare un po’ di ore fuori dalle aule di scuola, via da lezioni, compiti e interrogazioni.



Liberi di distinguersi

Ma se c’è una cosa su cui i non-manifestanti veramente non accettano compromessi è la libertà di scelta, la libertà cioè di distinguersi dal clima di agitazione che vorrebbe forzatamente bloccare tutto. «La maggior parte degli studenti rimane in classe o vorrebbe farlo», spiega ancora Giulia di Modena: «il fatto che uno studente non possa entrare in classe anche dissentendo dalla protesta, oppure che molti ripetano solo slogan senza vere ragioni non mi sembra certamente libertà». D’altronde la spinta a condurre tutti nel mucchio, senza concepire diversità e articolazioni all’interno della presunta massa indistinta degli studenti, ha portato molte scuole, anche con l’appoggio di docenti e presidi, a gesti e iniziative veramente discutibili. E gli studenti se ne sono accorti. Al liceo Gian Battista Vico di Corsico, ad esempio, il Consiglio d’Istituto ha dato la regolare autorizzazione per lo svolgimento dell’assemblea degli studenti. «Tuttavia», racconta Alessandro, che frequenta lo stesso liceo, «l’incontro è stato presentato agli alunni come un sit-in di protesta cui hanno partecipato molti ragazzi. Dopo tre ore, si è tramutato in assemblea informativa in cui l’ex preside del liceo ha parlato per un’ora dei vari punti della riforma Gelmini. Il paradosso è che un’assemblea richiesta come un diritto è stata imposta dai suoi organizzatori come un obbligo per tutti. Infatti chi ha provato a uscire dal luogo in cui si teneva l’incontro, è stato costretto a rimanervi sino alla fine della mattinata». «Bell’esempio di democrazia!», continua deciso Alessandro: «chi avrebbe voluto restare in classe si è visto negare il diritto all’istruzione, poiché essendo stata richiesta “un’assembla” i professori non erano autorizzati a tenere le loro lezioni».

Sapere il perché

Si protesta e ci si scalda per cosa, poi? Si chiedono anche questo, i tanti, tantissimi studenti che stanno fuori dai cortei. Perché, come dice ancora Anna di Crema, «il decreto Gelmini non mi sembra altro che il tentativo di rimettere in sesto una situazione obiettivamente un po’ critica. I punti presi in considerazione non mirano, a mio parere, ad uno smantellamento dell’istituzione scolastica». E qualunque sia l’opinione sulle tematiche discusse, l’importante, dicono, è cercare di ragionare e capire, invece che mettersi subito a urlare. Così ad esempio la pensa “Margi”, che frequenta il liceo a Rimini: «Mi sembra di essere circondata da gente che invece di cercare di capire quale sia la verità e di andare a fondo dei fatti che ci circondano, preferisce rimanere in superficie e farsi trasportare da ciò che accade». E continua: «i miei coetanei si stanno mobilitando tanto per aspetti parziali, senza guardare all’urgenza di un cambiamento nel mondo della scuola».

Quando l’ideologia genera il menefreghismo

Giulia, Francesca e Gabriele sono del liceo Berchet di Milano, e oggi vanno a scuola, anche se quasi tutti i loro professori sciopereranno. Il loro istituto è fortemente schierato a favore delle ragioni della manifestazione, e l’adesione allo sciopero così alta che la maggioranza degli studenti, compresi i tanti assai poco interessati all’argomento, staranno a casa. «Non dico che tutti quelli che fanno la manifestazione non siano preparati sull’argomento» dice Giulia: «alcuni miei compagni di classe hanno organizzato dei momenti di discussione anche fuori dall’orario scolastico. Il problema è che informandomi mi sono resa conto che buona parte del decreto Gelmini non è che contenga cose rivoluzionarie, e le cose principali, come il maestro unico, non hanno a che fare con la scuola superiore». «Una cosa assolutamente evidente è che molti vanno contro la Gelmini per partito preso, sostanzialmente andando dietro a un pregiudizio», continua Francesca. Ma quello che più preoccupa è che l’alternativa è tra il “movimentismo” dei collettivi e il menefreghismo generale: «molti miei compagni di classe», dice Gabriele, «rimangono a casa solo per giocare alla play-station, e non c’è alcun nesso con le proteste. In generale quelli dei collettivi negli ultimi anni hanno sempre più perso la capacità di attrarre la gente, e così prevale il menefreghismo». Come dire che se l’impegno politico è solo fatto di proteste e di manifestazione pregiudiziali, allora meglio occuparsi degli affari propri. Inoltre, dicono all’unisono Giulia, Francesca e Gabriele, non è assolutamente vero che la protesta è apolitica e apartitica, come molti giornali sostengono in questi giorni: cartelli, volantini e slogan sono tutti fortemente politicizzati e chiaramente ascrivibili all’ideologia di sinistra.

Essere protagonisti

Ma tra disinteresse e ideologia c’è comunque un’alternativa. Lo dice Federica, del liceo scientifico del Parco Nord, nell’hinterland milanese: «quando c’è manifestazione la si prende molto alla leggera, stando o a casa a dormire o a studiare da qualcuno; a volte entriamo se c’è qualche compito. Ma all’interno della scuola non c’è tutta questa tensione di cui si parla nei telegiornali, almeno non nella nostra. Ma sicuramente – continua Federica – c’è il bisogno di essere più protagonisti nella scuola italiana, nel senso che a volte ci muoviamo molto più come pedine, invece che prendere una posizione e stare sul serio su determinate idee».

Protagonisti: eccola qua l’alternativa. I tanti giornalisti, intellettuali e sociologi improvvisati che in questi giorni si mostrano stucchevolmente commossi dall’impegno civile di giovani che lanciano slogan imparati a memoria, e che impediscono a chi lo vuole di fare lezione regolarmente, dovrebbe stamparsela nella memoria questa parola. Protagonisti: è questo che la “maggioranza silenziosa” degli studenti chiede di poter essere. E lo chiedono agli adulti, ai professori, ai giornalisti, ai politici: non vogliono essere marchiati dall’ideologia, sempre più vuota e stanca; e non vogliono essere abbandonati al nichilismo del disinteresse e della dormita di comodo. Qualcuno risponda.

(Rossano Salini)

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