«Il “diritto a manifestare” si è trasformato in questi anni nel “privilegio di occupare” spazi pubblici che l’Autorità accademica ha il dovere e la responsabilità di mantenere tali», dice Alberto. Lui è un rappresentante degli studenti dell’Università di Torino, dove il Rettore (Ezio Pelizzetti) ha deciso di chiudere i battenti fino alle 20 di oggi.



La scelta è stata presa giovedì 14 maggio, in vista del G8 University Summit 2009, che vede partecipare insieme presidi e rettori degli otto paesi più industrializzati del mondo, più altri da 42 stati di tutti e cinque i continenti.

Le porte di Palazzo Nuovo – sede delle facoltà umanistiche e da sempre epicentro delle rivolte – sono state sbarrate prima che anche ad esso fosse riservata la stessa sorte della Palazzina Aldo Moro. In quella sede, ribattezzata “Block G8”, i dimostranti hanno potuto organizzare il loro quartier generale. «Questa decisione comporta un notevole disagio per tutti – spiega Alberto –, ma andava presa. Era ora che qualcuno ristabilisse quell’ordine che la stragrande maggioranza degli studenti desidera».



Questa situazione però non è nuova nell’Ateneo torinese. E così si pagano oggi le conseguenze di ciò che andava fatto ieri: «Già in occasione delle Olimpiadi e della Fiera del Libro del 2008 Palazzo Nuovo era stato usato come centro della protesta. L’autunno dei tagli, poi, ha sancito definitivamente l’occupazione dell’atrio.

L’autorità accademica, però, non aveva mai deciso di intervenire, e questi sono i risultati!». E qui torna la solita questione: chi organizza delle vere e proprie guerriglie urbane, mettendo a repentaglio l’ordine pubblico, strumentalizza la scuola e l’università. In effetti è difficile parlare di rivolta «degli studenti».



Se non altro perché tale non è il profilo della maggioranza di quelli che hanno «dichiarato guerra» al G8 delle università: si va dagli anarco-insurrezionalisti, che si organizzano in rete e lanciano fatwe manco fossero Al Zawahiri, agli antagonisti di ogni sorta e a qualunque costo, a quel che rimane dell’autonomia operaia, ai Carc ed ai Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo.

Tutto questo non ha niente a che vedere con l’università, nonostante gli organi di stampa alimentino l’equivoco. Il problema è che, come al solito, con la chiusura dell’Ateneo torinese ci rimettono tutti coloro che in università ci vanno – sembrerà strano – per un solo motivo: studiare.

(Stefano Verzillo)