Tra pochi giorni inizia l’esame di maturità 2010: per la seconda prova agli studenti del Classico toccherà la versione di greco. Quattro ore per tradurre quindici-venti righe di un autore che si spera noto (nel 2006 fu Plutarco, nel recente passato è toccato anche a Platone, mentre Aristotele manca da più di vent’anni) e si teme ignoto, come capitò con Epitteto nel 2001.
Come ormai tradizione, nei giorni che precedono l’esame impazza il toto-autore, si spera nei filosofi, di cui si conosce generalmente il pensiero, si desidera pazzamente qualche autore di struttura lineare e, perché no, la fortuna di una versione già fatta. Ma la traduzione è un’affascinante sfida che non può essere ridotta alla speranza di un autore facile, sempre che la linearità della struttura equivalga a facilità di traduzione. Come fare allora ad affrontare la seconda prova attrezzati nel miglior modo possibile? Ci sono dei suggerimenti che si possono assimilare nei pochi giorni di attesa prima del fatidico 23 giugno.
1. Considerare il titolo. Il primo pensiero di ogni studente che riceve la versione riguarda solitamente la lunghezza: quello di contare le righe sembra essere uno sport molto praticato. Sebbene di nessuna utilità pratica sulla prova, può servire come primo rapporto con il testo, compagno di avventura per alcune, importanti ore della nostra vita. Ma proprio perché non utile, se tendete ad agitarvi lasciate perdere: che le righe siano sedici o diciannove, sappiate che il tempo a disposizione è sufficientemente ampio, basta non perderlo.
Allora, la prima cosa che faremo una volta trovataci davanti la versione sarà quella di guardare il nome dell’autore e di leggere il titolo. Se si tratta di un nome noto, come Plutarco o Platone (tanto per citarne due usciti negli ultimi anni), si può fare mente locale sull’epoca in cui è vissuto. Nel caso di un improvviso e improvvido vuoto di memoria, il dizionario ci viene incontro, riportando in apertura l’elenco alfabetico degli autori e il secolo di appartenenza. Conoscere la collocazione cronologica si rivela importante per certe scelte lessicali (tra Platone e Plutarco, per rimanere all’esempio, passano cinque secoli, un po’ come la distanza che c’è tra noi e Machiavelli; e in cinque secoli la lingua cambia eccome!).
Se poi dell’autore conosciamo anche le essenziali linee poetiche e stilistiche, tanto meglio: un punto in più per inoltrarci nel testo. Ma se anche non conoscessimo l’autore (chi sarà mai Epitteto?) non perdiamo mai di vista il titolo: se si parla di un “Codice etico per lo storico” (come nel caso dell’ultima versione di greco, di Luciano) il testo dovrà attenersi all’argomento. Può sembrare banale, ma potrebbe rivelarsi determinante, e di certo evita le sparate grossolane, tanto comiche per la commissione quanto tragiche per il candidato.
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2. L’ordine delle parole. Proprio perché meno legate alla disposizione delle parole (in italiano non potrei mai invertire l’ordine di soggetto e complemento oggetto, a scapito del senso della frase) le lingue antiche necessitano di cura e attenzione da parte del traduttore: se l’autore antico è complessivamente più libero nella disposizione delle parole, la sua scelta sarà sempre mirata a trasmettere un senso, mai legata al caso. Capire che l’anticipo di un termine, di un sintagma o di un’intera frase è funzionale a un determinato significato permette un salto di qualità nella comprensione e nella resa del testo. Individuare i confini delle singole frasi e il rapporto tra esse dentro un periodo evita di essere noi casuali nella traduzione.
3. È un altro che parla, non noi. La traduzione è un’operazione da svolgere sempre con estrema discrezione. In fondo, dobbiamo proporre ad altri un pensiero, un racconto o una tesi che un uomo, vissuto più di duemila anni fa, ha deciso di scrivere anche per noi. Dobbiamo immaginare di trovarci tra amici e che uno di essi parli una lingua che solo noi conosciamo: nostro dovere sarà di trasmettere agli altri il suo discorso, e saremo tanto più bravi quanto più non ci distaccheremo dai concetti che lui sta esprimendo. Tradurre un testo è un incontro eccezionale con un uomo che ci sta comunicando qualcosa: rispettiamolo. Non illudiamoci mai che una frase ci sembri dire una certa cosa, guardiamo a quello che dice, non a quello che pare a noi. Non c’è niente di peggio che ridurre il testo greco a quello che noi, o il vocabolario, vogliamo che ci dica.
Se giunti a metà di una frase non siamo più in grado di coglierne il significato, o accade un’improvvisa sterzata nel senso, è inutile accanirsi con il quattordicesimo significato di un termine sul vocabolario alla ricerca di qualcosa che faccia al caso nostro. Torniamo all’inizio della frase, rileggiamo il testo greco e analizziamolo, se necessario anche morfologicamente: è più facile che a sbagliare siamo noi piuttosto che l’autore antico, che quella lingua parlava e usava.
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4. Attenti agli spiriti. Che non sono quelli dell’autore antico e dei suoi amici che aleggiano minacciosi sul nostro lavoro, ma i piccoli segni ortografici che si studiano nelle prime lezioni di IV ginnasio e che agli occhi dello studente medio sembrano talvolta un inutile fardello. Invece, uno spirito può fare la differenza, così come uno iota sottoscritto, un accento acuto o circonflesso e la sua collocazione nella parola. Le montagne non sono confini, i pronomi relativi non sono negazioni, ma a distinguerli sono solo spiriti e accenti. Guardate, usate del tempo per l’analisi del testo originale, riferitevi al vocabolario se ci fossero dei vuoti di memoria (magari agevolati dall’ansia): basta questo per allontanare gli spiriti, quelli sì, cattivi.
5. E le particelle? Ci sono molte parole in una versione di greco, che spesso ci insegnano a non tradurre nemmeno. Ma si può pensare che un autore antico abbia perso del tempo a scriverle senza voler dire niente? Penso che a nessuno sia mai capitato di scrivere – coscienziosamente – delle parole senza scopo. Non si può pretendere di cambiare il modo di tradurre in pochi giorni, ma almeno si faccia in modo che la non traduzione di una particella sia una scelta ponderata, non un’abitudine.
6. Un prezioso alleato: il tempo. Per fare tutte queste operazioni, che è bene riassumere: riflettere su titolo e autore, analizzare il testo, muoversi con la dovuta discrezione nella disposizione delle parole e nell’uso delle particelle, non serve usare il tempo che useremmo per tradurre, come qualcuno potrebbe a questo punto temere. Quattro ore sono tante, rispetto alle due tradizionalmente usate nel corso del quinquennio: c’è tutto il tempo per lavorare, tradurre e soprattutto rileggere quanto si è fatto. Per la maggior parte degli studenti si tratterà dell’ultima versione della vita: tanto vale godersi ogni istante, assaporandolo come una partita d’addio.
(Matteo Capitani, liceo classico e scientifico A. Carrel, Milano)