Esami di stato, Maturità 2011: prima prova, tipologia B – 2. Ambito socio-economico. Argomento: Siamo quel che mangiamo? La cultura del cibo, atto conviviale e necessità corporea al contempo, e il rapporto che intercorre tra il cibo e la nostra quotidianità, sono gli argomenti del tema di ambito socio economico.
TEMA SVOLTO – In una società di calcolatori, barbie e superuomini, schiavi dei propri progetti, ricattati dalle carriere brillanti e dal successo, in una società imbrigliata nell’immagine di sé stessa, la vita è puro materialismo. Edonisti come siamo, progettiamo tutto per un benessere ideale, per una vita ideale, da film o pubblicità. Quello che passa dai piccoli o grandi schermi va bene, è giusto, è ciò che alla fine ci fa piacere e ci troviamo a desiderare. La vita è diventata una scatola cinese. Più ne riempiamo gli scomparti, più la vita è piena, compiuta, realizzata. Lo scomparto della famiglia, dello studio, del lavoro, degli amici… Se poi si può condire il tutto con orizzonti e amori platonici, tanto meglio. Tanto, alla fine, o si vive costretti nei propri scomparti o si vive di notte, di droghe e sogni. Alla fine o si è cinici o si è sognatori incoscienti. Plasmiamo la nostra vita come la statua greca più bella, secondo il canone di Policleto più perfetto, il canone di Policleto dettato dalla politica, dalle pubblicità o dalle tendenze più smodate. Più siamo tesi a plasmare, più ci scopriamo soli, fragili e confusi, modellati da una mentalità materialista sempre più comune e banale.
L’alimentazione è un riflesso significativo di questa società moderna sempre più materialista. La storia della nostra alimentazione da sempre è parte significativa della nostra storia complessiva; l’economia e la politica, la cultura nel senso più ampio del termine, la salute, sono tutti aspetti che influenzano e hanno un rapporto privilegiato con l’alimentazione e i suoi problemi. L’uomo lungo la storia si è sempre mosso per rispondere al bisogno primario di sopravvivere, di cibarsi. Per non parlare del valore del cibo come piacere, momento di amicizia e condivisione, che costella innumerevoli epoche storiche sin dai convivia dell’antica Roma. La storia ci ha trasmesso l’immagine del cibo come un dono prezioso dal duplice valore, come risposta al bisogno primario dell’uomo, la sopravvivenza, e come piacere. Sintomatica la ben nota Dieta mediterranea (dal greco diaita, o stile di vita), la quale “è molto più che un semplice alimento. Essa promuove l’interazione sociale, poiché il punto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità, e ha dato luogo a un notevole corpo di conoscenze, canzoni, massime, racconti e leggende”(CNI-UNESCO, La Dieta Mediterranea è patrimonio immateriale dell’Umanità).
Oggi in una vita che ha assunto le sembianze di una corsa sfrenata al consumo, persino il cibarsi non poteva che essere uno dei tanti oggetti di consumo, di marketing. Il rischio è che si riduca sempre più a una concatenazione di fastfood e slogan al neon. I vari Starbuck’s, Mc Donald’s, KFC, Good Burger, Burger King, Donkey & Donuts si moltiplicano ormai a grappoli in America; e stanno arrivando anche in Italia. L’offerta di cibo è estremamente ampia e diffusa, si può mangiare dovunque e a qualsiasi ora ormai. Scriveva bene un anno fa Carlo Petrini su Repubblica quando criticava la politica alimentare attuale: “La politica alimentare […] si deve basare sul concetto che l’energia primaria della vita è il cibo. Se il cibo è energia allora dobbiamo prendere atto che l’attuale sistema di produzione alimentare è fallimentare.[…] Una visione meccanicistica finisce col ridurre il valore del cibo a una mera commodity, una semplice merce. È per questo che per quanto riguarda il valore del cibo abbiamo perso la percezione della differenza tra valore e prezzo […] Scambiare il prezzo del cibo con il suo valore ci ha distrutto l’anima. Se il cibo è una merce non importa se lo sprechiamo, in una società consumistica tutto si butta e tutto si può sostituire, anzi, si deve sostituire. Ma il cibo non funziona così”.
Il cibo non risponde più al bisogno primario della sopravvivenza che ha mosso popoli su popoli lungo la storia, che ha accompagnato il progresso dell’uomo lungo i secoli, è pari ormai a un mero pacchetto di sigarette, a una breve soddisfazione furtiva venduta a buon mercato. Così come si calcola il numero delle sigarette da fumare, si può calcolare anche il numero dei pasti. Non a caso siamo contaminati da diete e disturbi alimentari. La deriva di una società tesa nella ricerca sfrenata del benessere, e quindi sempre più improntata su una logica alimentare meccanicistica, produce una visione del cibo che a tratti ha raggiunto degli effetti paradossali, drammatici, sia dal punto di vista esistenziale, sia dal punto di vista della salute. In una società in cui la visione dell’uomo stesso è contaminata, anche quella del cibo ne è rimasta infetta. I paradossi più drammatici sono esemplificati dai disturbi alimentari sempre più numerosi. Anoressia e bulimia non solo non contemplano il cibo come un’esigenza primaria, una dipendenza primaria, ma addirittura – nella frenesia di affermare sempre più l’uomo come autoreferenziale e dipendente solo da sé stesso – ne fanno un qualcosa da incriminare, di sporco, che contamina l’organismo e lo ostacola nella sua corsa alla perfezione. Per non parlare poi del paradosso dell’obesità, dove il cibo non solo risponde al bisogno primario della fame, ma anche a quello affettivo, fino a diventare una vera e propria patologia. Il cibo risponde agli impulsi del cervello, alle delusioni affettive, allo stress, alle più svariate carenze e mancanze che nulla hanno a che fare con lo stomaco o la fame.
Silvia Maglioni mette in luce un altro fenomeno che fa alquanto riflettere; la tendenza sempre più diffusa a “mangiare mentre si legge la posta, si gioca o si lavora al pc” che non soltanto può avere conseguenze estremamente negative sulla nostra forma fisica, ma è indice anche della disgregazione di quell’antica convivialità che ha attraversato la storia fin dai romani. Si sta perdendo il valore del cibo come rito, momento di amicizia, perno della vita familiare. Non a caso, di pari passo con una concezione puramente meccanicistica del cibarsi, l’ambiente familiare entra sempre più in crisi, le famiglie dalle vicende drammatiche e dalle dimensioni affettive dissociate sono ormai la norma. L’uomo, come mai prima d’ora, non si fida più di nessuno, si concepisce da solo, e non provando più l’esigenza di condividere la vita e i comuni bisogni, non sente nemmeno più l’esigenza di condividere un pasto, riducendosi a mangiare, da solo, davanti a un computer o in un fastfood.
L’alimentazione è una spia importante della disumanizzazione della società moderna. Tutti tesi a rincorrere farfalle, stiamo perdendo il gusto e il valore dell’essenziale che così bene la tradizione incarna. Nel quadro complesso di questo mutamento culturale, la Dieta Mediterranea (non a caso valorizzata dall’Unesco come patrimonio dell’umanità) non è un banale ostacolo alla nouvelle cuisine o alle più smodate innovazioni culturali, non è un morbo malefico che fa ingrassare o una sequenza di regole da rispettare; ma una tradizione preziosa, un richiamo alla semplicità e all’essenziale di cui tanto ha bisogno una società come la nostra, sempre più stravolta e improntata a valori azzardati ed estranei alla nostra storia.
(Sara Tarantini, studentessa di Giurisprudenza, Università Statale di Milano)