Il 31 ottobre è uscito su Repubblica un articolo di Marco Lodoli, docente, giornalista e scrittore, dal titolo “La fine dell’umanesimo. Quell’altrove culturale dove vivono gli studenti”. Nell’articolo, tra l’altro, si legge: “(…) Quante volte negli ultimi anni ho raccolto dai miei colleghi sfoghi di questo genere: professori di lettere, storia, filosofia, arte che si sono ben preparati per la loro lezione e che finiscono a parlare nel vuoto, come radioline lasciate accese in un angolo, e a poco a poco si scaricano, si spengono malinconicamente. Perché accade questo, perché sembrano saltati i ponti e le rive si allontanano sempre di più? A riguardo mi sono fatto un’idea. Finita, esaurita, muta, forse non proprio morta e sepolta, ma di sicuro messa in cantina tra le cose che non servono più: la cultura umanista sembra aver concluso il suo ciclo, ai ragazzi non arriva più niente di tutto quel mondo che ha ospitato e educato generazioni e generazioni, che ha prodotto una visione del mondo complessa eppure sempre animata dalla speranza di poter spiegare tutto nel modo più chiaro, adeguato alla mente dell’uomo, alle sue domande, ai suoi timori”.
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Maria Chiara Giorgioni, 5° anno liceo classico.
Caro direttore,
una lontananza della cultura umanista dalla vita avvertita sempre più dalle nuove generazioni. Questo il senso dell’articolo di Marco Lodoli. Chi ancora si interessa ad essa è una creatura in via di estinzione. Io mi dichiaro offesa, come credo anche tutti gli iscritti alla facoltà di lettere e filosofia, che mi risultano non essere pochi e nemmeno in calo.
Comunque sia, io, per parte mia, non vedo tra i miei coetanei un’insofferenza specifica per le discipline umanistiche. Se dovessi accusare qualcosa direi di una generale lontananza dell’istituzione scuola dalla vita, che peraltro non è il caso della mia particolare scuola. E in questo senso direi che il diverso atteggiamento dei ragazzi di oggi verso la cultura e la tradizione rispetto alle precedenti generazioni è dovuto anche al cambiamento del sistema scolastico e del modo di educare. Quindi sarebbe semplice liquidare il problema dicendo che non è colpa dei ragazzi ma degli insegnanti che non sanno fare il loro lavoro, poiché loro compito è anche mostrare il nesso della tradizione con la vita attuale.
Tuttavia Lodoli sembra affermare una cosa più grave, che cioè gli insegnanti non riescono a trasmettere questo nesso, e che gli studenti non lo colgono, perché esso non esiste più. Ma ancora più sconcertante, a mio parere, è l’osservazione sul fatto che questo potrebbe non essere un problema. Come anche l’affermazione che “la memoria non basta a reggere l’urto con le onde fragorose del mondo che sarà, che è già qui: serve energia, e quella non la trovi più nei cataloghi e nei musei”.
In primo luogo non posso essere d’accordo con Lodoli quando, per sostenere la totale rottura dell’attualità con il passato, afferma che “I nostri ragazzi (…) amano e odiano in un altro modo”. Poiché, se la forma con cui esprimiamo i nostri sentimenti è diversa, la sostanza resta la stessa. Per questo la cultura umanista è ancora vitale ed ha un senso, perché essa mette in evidenza le domande fondamentali dell’uomo, la sua vera essenza, il suo desiderio infinito; ciò che resta immutato in ogni epoca ed è strutturale nella natura umana. Domande come quelle di Leopardi − “a che tante facelle? che fa l’aria infinita, e quel profondo infinito seren? che vuol dir questa solitudine immensa? ed io che sono?” − ce le poniamo anche noi, seppure con altre parole, ora più che mai, in un mondo che sempre più si cerca di spogliare di ogni significato che trascenda la superficie. E sono proprio queste domande, questi bisogni imprescindibili dell’uomo a muovere la ricerca scientifica che ha portato ai progressi tecnologici che hanno tanto mutato la forma della nostra vita.
In secondo luogo, a queste affermazioni risponderei (ricordando un intervento del professor Zanetto, docente di letteratura e lingua greca nell’Università Statale di Milano) che il presente non può prescindere dal passato, in quanto il presente è l’ultimo di una serie infinita di attimi che partono dall’origine del tempo, e dunque è intimamente legato al passato. Perciò tanto più l’uomo cerca di innovarsi, tanto più torna alle origini, torna alla tradizione. Questo nella nostra vita quotidiana è riscontrabile a tutti i livelli: dai discorsi dei personaggi politici più evidenti che rispecchiano argomentazioni e dinamiche ciceroniane ed isocratee, ad uno degli ultimi numeri di Io donna che aveva in copertina una modella la cui posa richiamava volutamente la Nike di Samotracia.
Perciò, senza sapere da dove veniamo, e dunque chi siamo, non possiamo andare da nessuna parte. Senza passato non c’è futuro. Quindi è terribile l’affermazione che “Non è detto che questo dichiarato disinteresse per la tradizione sia una pura sciagura”. Se così fosse sarebbe terribile!Dunque non è vero che è avvenuto un taglio netto con tutto ciò che c’era prima, perché la cultura umanista permette ancora oggi una lettura più approfondita e più completa della realtà. Permette di guardare alle cose con occhi diversi, notando dettagli che aprono un livello di comprensione maggiore. Esempi come quelli scritti sopra ve ne sono un’infinità.
Ma la cosa più importante è che questa comprensione più approfondita del reale diventa sempre più indispensabile in un mondo come il nostro che, come dice Lodoli, ha il mito “dell’onnipotenza tecnologica”. Una tecnologia (frutto indiretto delle domande esplicitate nella cultura umanista) che apre all’individuo infinite possibilità, che le precedenti generazioni non avevano. Questo richiede alla persona un grado di consapevolezza maggiore per non perdersi nelle infinite possibilità o non lasciarsi inconsciamente guidare dall’opinione dominante, magari inculcata da un potere invisibile.
Ossia questo grado di comprensione della realtà diventa indispensabile per essere veramente liberi nelle proprie scelte. Faccio un esempio banalissimo: io mi sento sempre in dubbio quando decido di guardare un film in streaming, perché l’attuale montagna di siti esistente che offre questo servizio pone di fronte ad una scelta tra centinaia di titoli di ogni genere, e se non si attua un criterio valido di scelta ci si ritrova sempre a guardare cose che magari avremmo volentieri evitato, anche se le abbiamo scelte noi! La cultura umanista, o chiamata con il suo nome, la tradizione, ci offre il livello di comprensione della realtà indispensabile per essere liberi di scegliere ciò che vogliamo.
Concludo ripetendo che la cultura umanista, come vuole chiamarla Lodoli, è indispensabile per il futuro poiché essa ispira la tecnologia e le innovazioni, ma soprattutto la tecnologia e l’innovazione sfidano, mettono alla prova, la consapevolezza di sé che solo con la cultura umanista si può raggiungere.
Maria Chiara Giorgioni – Liceo classico Don Carlo Gnocchi, Carate Brianza