Un tema quanto mai attuale quello scelto per gli studenti di indirizzo socio-economico, quello della crisi economica e della difficoltà per i giovania entrare nel mercato del lavoro. Un tema che è stato deciso di commentare con l’aiuto di alcune considerazioni di Mario Sensini, il 45esimo rapporto Censis e un rapprto Istat. Più Steve Jobs, il geniale fondatore di Apple recentemente scomparso. Per IlSussidiario.net ha svolto il tema Paolo Covassi.
In questi giorni è in discussione tra i due rami del parlamento la riforma del lavoro. Il Presidente di Confindustria Squinzi, patron della Mapei, ha dichiarato che questa riforma “è una boiata ma è necessaria”. Forse più di tante analisi statistiche e sociologiche questa affermazione dice che siamo in una condizione tale per cui anche una boiata è necessaria. Come siamo arrivati a questo punto? Tante sono le cause e le concause, molti sono stati gli errori e le storture introdotte nel passato, e purtroppo ripercorrere tutte le tappe che ci hanno portato alla situazione attuale non è di per sé un aiuto a cogliere la vera gravità della situazione. In gioco non c’è solo il lavoro di alcuni, perché cause e conseguenze non sono solo economiche ma anche e soprattutto culturali e, quindi, sociali.
Il mercato del lavoro in Italia è in una situazione paradossale, definito fondamentalmente da uno squilibrio delle tutele, per cui a fronte di lavoratori “intoccabili” ci sono altri che sono praticamente privi di qualunque diritto.
Difficilmente si potrebbe spiegare altrimenti il fatto che nel triennio 2008-2011 i dati Istat hanno registrato che il mercato complessivo del lavoro è calato di 438.000 unità mentre, nello stesso periodo, il numero dei lavoratori di età compresa tra i 15 e i 34 anni è diminuito di oltre 1 milione, il che significa che senza questa “emorragia” di giovani il mondo del lavoro sarebbe stato addirittura in crescita. Un ulteriore, importante dato fornito dal Censis, indica che nel 2010 il 38% dei licenziamenti ha coinvolto giovani sotto i 35 anni e un ulteriore 30% la fascia di età tra i 35 e i 44 anni.
La mancanza di lavoro però non è solo una questione economica, è anche e soprattutto un dramma personale e quindi sociale. Il lavoro è certamente il modo in cui una persona adulta è in grado di mantenere sé e la propria famiglia, ma è anche ciò attraverso cui passa la realizzazione personale del singolo, restare senza lavoro getta le persone in una sorta di “zona d’ombra” che nel caso dei giovani diventa un vero e proprio ostacolo all’ingresso nel mondo adulto. E c’è un altro dato, profondamente inquietante, che descrive la situazione attuale: l’11,2% dei giovani tra i 15 e i 24 anni e il 16,7% tra i 35 e i 29 anni non studiano e non lavorano. Un esercito silenzioso di giovani che vivono senza aspettare più nulla dalla vita e senza più nulla desiderare. Perché tanto nulla merita il proprio impegno, perché non si vede una correlazione diretta tra il proprio fare e i risultati. Un’apatia che sta assumendo dimensioni preoccupanti, con cifre percentuali doppie rispetto alla media europea, che certamente si “nutre” di questa mancanza di prospettive. Così nell’Italia delle piccole e micro imprese non ci sono neanche più giovani che hanno voglia di avviare una propria impresa: solo il 32,5% si sente attratto da questa prospettiva, anche qui media ben al di sotto di altri Paesi europei che senza dubbio non hanno la nostra tradizione imprenditoriale alle spalle.
Uno spettacolo comico di Zuzzurro e Gaspare di qualche anno fa era intitolato: “Non c’è più il futuro di una volta”, una forma ironica che nasconde un messaggio amaro, perché non c’è nulla di peggio che togliere ai giovani la prospettiva di un futuro, di potersi realizzare, di poter costruire qualcosa per sé e per gli altri. Ma contemporaneamente questo non può essere un alibi per il singolo o per una categoria di persone. Alla fine causa ed effetto si confondono, si alimentano vicendevolmente, i giovani vivono senza prospettive perché il futuro non ne offre e viceversa. Il livello personale, sociale ed economico si fondono (si confondono?) e non si può sinceramente pensare di uscire da una situazione del genere con delle regole, magari una boiata purché sia. Occorre affrontare il problema nell’interezza delle proprie espressioni, a cominciare dalla scuola che possa premiare chi vale, a non considerare tutte le strade percorribili da tutti in nome di un egualitarismo che in realtà mortifica invece di valorizzare, proporre regole certe per chi entra nel mondo del lavoro, andare incontro a chi vuole creare impresa e a chi già opera, ma soprattutto trovare il modo di ridestare il desiderio dei giovani di essere protagonisti della propria vita. Non serve innanzi tutto rispondere ai desideri, ma nutrirli, farli crescere. Come diceva Saint-Exupéry per costruire una nave è necessario il materiale, occorre radunare gli uomini, ma “prima di tutto svegliate in loro il desiderio del mare, immenso e infinito”.
Fanno eco a queste parole quelle di un altro grande personaggio, recentemente scomparso: Steve Jobs. Lui che non aveva neanche concluso gli studi, che aveva scelto di seguire un corso di calligrafia (cosa fondamentale per il futuro sviluppo del sistema MacIntosh!) davanti agli studenti di Stanford non dice cosa fare o non fare, non detta regole, ma li sprona a seguire i propri desideri, a essere vivi: “stay hungry, stay foolish”. Ma anche i semi migliori hanno bisogno della terra giusta per crescere. Un nuovo Steve Jobs oggi dovrebbe fare un percorso diverso per emergere, in Italia troverebbe modo di attecchire? Quella che stiamo vivendo è una situazione nuova, servono quindi soluzioni nuove e studiare possibilità che prima non c’erano. Il vero problema forse è proprio nel divario che vede una parte della popolazione attiva ingessata in una situazione di “rigidità” lavorativa a cui deve necessariamente fare da contraltare una mobilità e una capacità di adattamento estrema, eccessiva, che non crea spazi di crescita personale (e sociale) ma anzi deprime chi avrebbe la possibilità di emergere.
Allora serve inventiva, intrapresa, forse serve quello spirito di sacrificio tanto caro ai nostri nonni e che noi abbiamo perso per strada. Noi che siamo cresciuti vedendo i nostri desideri esauditi prima ancora che li potessimo esprimere saremo chiamati a prendere in mano e realizzare ciò che “il vostro cuore e la vostra intuizione” come dice sempre Jobs, ci chiedono di diventare. Allora si può anche vivere in un contesto difficile, incerto, per certi versi peggiore di chi ci ha preceduto, ma il vero dramma è lo spegnersi del desiderio di compimento e di felicità che ha mosso Steve Jobs e muove ognuno di noi. Perché non c’è statistica o indagine sociologica che possa ostacolare un cuore che desidera: siate affamati, siate folli, siate vivi.
(Paolo Covassi)