Caro direttore,
sarebbe utile riflettere sul dato diffuso da Almadiploma, un’associazione che ha fatto una indagine sui diplomati del 2013 e da cui ha tratto come conclusione che il 44% dei diplomati del 2013, se tornasse indietro ai tempi dell’iscrizione alla scuola superiore, cambierebbe indirizzo di studio e/o scuola, anche se 84 studenti su 100 si dichiarano complessivamente soddisfatti della propria esperienza scolastica. Si tratta di un dato preoccupante che deve essere preso in considerazione e analizzato oltre le risultanze immediate.
Infatti è facile dire che i ragazzi e le ragazze sono costretti a scelte nel complesso decisive ad una età nella quale non sanno ancora bene quali siano le loro capacità e che cosa interessi loro veramente. Come è facile dire che le scuole superiori sono di una rigidità esagerata, tali da non permettere di fatto a chi ha sbagliato scelta di cambiare strada senza perdere uno o più anni. Così è facile attribuire alle scuole superiori una gestione dell’orientamento di tipo propagandistico quando dovrebbero essere più attente a quello che gli studenti cercano, alla realizzazione delle loro abilità.
In sintesi vi è certamente una revisione da fare nel campo dell’orientamento: bisogna dare a studenti e studentesse le condizioni per esercitare una scelta, e più che fare un’esposizione da supermercato dell’offerta di ogni scuola si deve aiutare un ragazzo o una ragazza a capire se stesso, a riconoscere i propri interessi, a valutare realisticamente le proprie capacità. Ma come fare per aiutare un ragazzo o una ragazza a identificare una strada in cui trovare la realizzazione delle proprie attitudini o in cui scoprire un fascino tale da suscitare un impegno continuo ed efficace? Ci vogliono due condizioni da cui partire: un adulto di cui ci si fidi e un inizio di stima di sé. Le due condizioni sono legate una all’altra, perché un giovane impara a vedere il positivo che ha in sé se viene guardato in modo positivo.
In realtà questo è solo un aspetto della questione. Ve n’è un altro che chiama in causa gli insegnanti delle scuole superiori. Perché spesso ragazzi e ragazze non sono soddisfatti? Certamente perché sbagliano strada, ma in molti casi questo accade anche perché non vengono valorizzati in ciò che sono, nelle capacità e negli interessi che hanno.
Bisogna avere il coraggio di dirlo: troppo spesso i giovani non sono soddisfatti non perché sbagliano strada, ma perché non sono valorizzati da insegnanti che chiedono loro fatiche su fatiche senza concedere mai uno sguardo di positività.
Qui sta il problema serio delle scuole superiori, che uno studente possa trovare un adulto capace di valorizzarlo, capace di cogliere il valore che porta. Incontrare insegnanti che valorizzano rafforza nella scelta, la fa maturare, al contrario trovarsi di fronte alla freddezza di chi vuole solo il dovere per il dovere porta al massimo a sopportare la scuola come un peso di cui liberarsi al più presto. Occorre allora introdurre dentro la scuola un nuovo approccio, tale per cui in quello che uno studente o una studentessa impara, tante volte con non poca fatica, possa trovare qualcosa di appassionante per sé, il fascino di una bellezza che ne liberi le energie creative. Non si deve eliminare il dover fare, non si devono togliere compiti o esercizi; c’è qualcosa di più importante da aggiungere, di importante e semplice − che uno studente sappia che quello che impara ha un valore.
Anche i voti agli esami di Stato rientrano in questa logica di svalutazione della persona: capita spesso di trovarsi di fronte alla delusione di studenti che al posto di un 80 hanno preso un 78 o votazioni similari. Ci si chiede spesso perché gli insegnanti siano così restii a valorizzare gli studenti, tanto da essere così poco disposti ad assegnare due punti per fare un voto pieno. Una domanda di difficile risposta, ma sintomatica di quella rigidità che porta a considerare gli esami di Stato come un incubo, all’opposto di quello che dovrebbero essere in realtà, la valorizzazione di un percorso di maturazione di sé. Si dovrebbe finalmente avere il coraggio di mettere da parte le misurazioni per andare a vedere quello che un ragazzo vale, dove stia la sua positività e con questo indicargli la strada che deve percorrere per riuscire nella vita.
Rimane un’ultima e decisiva domanda: chi degli insegnanti è soddisfatto degli studenti con cui ha fatto anni di scuola insieme? Chi li ha così a cuore che li risceglierebbe? È ora di chiederselo! Sarebbe interessante che ogni insegnante, spesso così portato a vedere i limiti e le incapacità dei suoi studenti, cominciasse a chiedersi che cosa vede di positivo in ogni suo studente. Questa sì sarebbe una rivoluzione.