Basta fare attenzione alla data di diffusione del documento denominato Buona Scuola per capire che lo scopo con cui nasce il provvedimento è ottemperare agli effetti della sentenza della Corte europea che inchioda due giorni dopo lo Stato italiano alle sue responsabilità e lo obbliga all’assunzione di decine di migliaia di insegnanti precari.
Una sanatoria doverosa, quindi, ma condita al debutto con titoli roboanti tanto attrattivi quanto effimeri, come il tema della carriera degli insegnanti, prima vincolata alla sola anzianità di servizio, oggi, dopo l’approvazione del ddl, pure. Via libera invece all’ideologia del gender, complice l’acquiescenza di Ncd, che inizia la trattativa sul tema a tempo scaduto quando il testo non si poteva più cambiare.
Va detto in ogni caso che il provvedimento sarà fonte di un contenzioso infinito, avendo discriminato con effetti retroattivi varie categorie di precari, soprattutto quelli considerati figli delle leggi Gelmini. Ma soprattutto la legge è figlia di un atteggiamento truffaldino del governo, che ha posto la fiducia dopo aver ammesso per bocca del presidente del Consiglio di aver fatto errori bisognosi addirittura della convocazione di una conferenza nazionale sulla scuola. Un trucco. Per fermare le piazze e ottenere il via libera da un Parlamento delegittimato ogni giorno di più, ed ogni giorno di più ansioso di traguardare il 2018.
L’errore originario di Renzi è stato quello di pensare di poter basare la riforma della scuola sul ricatto: usare come merce di scambio l’assunzione di 100mila precari per ottenere il placet sulle innovazioni, peraltro scomparse dal testo.
Oggi quindi il piano assunzionale è ormai merce di scambio per approvare la riforma della scuola che riforma non è. Le conseguenze più probabili di questa che forse può essere per Renzi una vittoria di Pirro sono legate alla percezione che man mano matura sull’operato del governo. Un governo di titoli, i cui capitoli contengono il nulla.