In sede di esame di maturità, ormai imminente, la prova di italiano di argomento storico costituisce un’opportunità per lo studente in entrambe le tipologie previste: quella B (redazione di saggio breve di carattere storico-politico) e quella C (tema tradizionale di argomento storico). Ambedue le tipologie implicano l’enunciazione di una tesi che deve essere sostenuta da riferimenti ai dati cronologici e alle testimonianze documentarie o interpretative che, nel primo modello, sono fornite dalle commissioni ministeriali che presiedono agli esami e nel secondo, pur non esplicitate, sono richieste nella stessa formulazione del quesito. 

Fatta salva la differenza tra saggio e tema, per cui nel primo caso la strutturazione della prova è affidata in buona misura all’autonomia dello studente, dalla scelta del titolo al cosiddetto target di riferimento, mentre nel secondo caso si dovrà porre molta attenzione alle categorie chiave con cui il tema è espresso (Europa, guerra mondiale, Resistenza, cittadinanza, ecc.), la prova costituisce come si diceva un’opportunità. Essa infatti offre allo studente la possibilità di dare conto delle varie sfaccettature della sua personalità, che vanno dall’interesse per il contesto nel quale si collocano determinati eventi, alla capacità di raccontarli in un’ottica personale, compresa l’attitudine alla valutazione di quanto è stato appreso in relazione all’oggetto della trattazione. 

Ed è proprio quest’ultima competenza che può sorprendere qualche commissario d’esame attento a scandagliare non solo le conoscenze degli esaminandi strettamente intese, ma anche la loro dimestichezza con la ricostruzione critica di un certo quadro di avvenimenti. Di quale forma di critica stiamo parlando? Di giudizio storico, cioè dell’aspetto più delicato del lavoro dello storico che, ricomponendo i contesti degli eventi, esprime sempre una valutazione. Anche la storia globale, quella che vorrebbe essere meno eurocentrica e meno politica possibile ha una sua fonte di giudizio, rintracciabile nella rinuncia alla narrazione e alla spiegazione degli eventi a favore della loro collocazione entro parametri spazio-temporali di lunga durata dove scompaiono i singoli fattori umani e restano gli ambienti e le strutture economiche. 

Oggi più che mai lo storico non solo è sollecitato a scegliere bene gli strumenti del proprio lavoro — e in questa prospettiva si è decisamente affermata la lezione “annalistica” per cui ogni traccia umana serve alla riorganizzazione storica: dai documenti scritti alle impronte lasciate dall’uomo sul territorio. Lo storico, molto di più, è invitato a decidere se la storia abbia un qualche senso o nessun senso. Alla luce dei tanti drammi contemporanei sembrerebbe prevalere la seconda ipotesi, quella del non senso, alla quale tuttavia da parte di molti, saggiamente, si contrappone l’esigenza di comprendere almeno tutti i fattori che determinano l’attuale situazione del mondo.  

In altri termini, è molto vero che l’attualità, con tutti i problemi che presenta, trascina il giudizio storico e obbliga a modificare un certo modo di leggere il passato. Per fare un esempio, dopo la ricomparsa dell’islamismo radicale, sui libri di testo si dedica maggiore attenzione ai tentativi dell’islam di conquistare l’occidente in epoca medievale e moderna oppure, viceversa, si tende a delineare il caso delle crociate in un’ottica più comprensiva delle ragioni che ne hanno promosso l’origine. Giudicare dunque significa comprendere e non attribuire patenti di conformità rispetto ad una qualche ideologia e tanto meno giustificare tutto ciò che accade, perfino le guerre, sulla base di una ragione hegeliana intesa in modo schematico. 

Resta che la comprensione che domina è per lo più curvata sulla necessità che gli Stati hanno di includere ed omologare le minoranze, culturali o etniche che siano. È la comprensione dei vincitori nei confronti dei vinti cui si dà la possibilità, a certe condizioni, di accomodarsi al tavolo con i posti già assegnati. Il filone improntato dalla cultura istituzionale compare in molte tracce dei temi storici dell’esame di maturità dell’ultimo decennio, che hanno preteso dai candidati una sorta di assenso alle modalità di costruzione dello Stato nazionale. Ecco allora la Resistenza come episodio di significato morale e civile (tipologia C, 2014/15); ecco i 150 anni dello Stato nazionale da delineare nelle tre fasi liberale-monarchica, fascista e democratico-repubblicana (tipologia C, 2008/09); ecco i vari temi sulla Costituzione italiana (tipologia B, 2007/08 e 2006/07); ecco, infine, il tema sul pensiero politico di Giuseppe Mazzini (tipologia B, 2005/2006). 

Nella misura in cui, tuttavia, l’ottica dello Stato accentratore è sconvolta dall’attualità che ci parla di nuove migrazioni e di interepopolazioni che accampano il diritto ad esistere dignitosamente bucando i confini e le frontiere, gli sfondi rigidamente istituzionali entro cui si muove la ricostruzione storica sono destinati a cambiare. Per esemplificare, ci si va chiedendo da più parti che senso abbia l’Europa politica ed economica che abbiamo fin qui conosciuto, se non è capace di comprendere e di accogliere i profughi con politiche rispondenti al bisogno e non emarginanti. Il punto nevralgico da cui comprendere la storia diventa allora quello del migrante, della periferia, dell’escluso. E qualcosa di questo nuovo sentimento del tempo comincia a comparire tra i banchi della maturità, riecheggiato per esempio dall’argomento storico di tipologia B, 2014/15: il Mediterraneo, atlante geopolitico d’Europa e specchio di civiltà. È ancora iniziale, ma comunque interessante il cambio del punto di vista. 

È auspicabile che questo filone non venga abbandonato e che dunque quest’anno, accanto a prevedibili tracce ancora “istituzionali”, come potrebbe essere l’Italia repubblicana dal 2 giugno 1946 in avanti, possano avere spazio riflessioni sulle migrazioni nella storia di ieri e di oggi; sui diritti all’esistenza dei veri esclusi di oggi, i bambini e i cristiani perseguitati; sulle periferie geopolitiche del mondo, come certe parti dell’Asia e dell’Africa, che dopo la fase della decolonizzazione sono magari disponibili a recuperare un rapporto con il vecchio mondo non sul piano dello sfruttamento economico ma su quello del dialogo tra sistemi diversi di vita e di organizzazione dell’ambiente. Si vedrà. Manca ormai poco alla fatidica notte prima degli esami, ma nel frattempo magari può essere utile allargare il proprio orizzonte.