Anche quest’anno il Miur ha indicato per gli studenti del liceo scientifico come seconda prova dell’esame di Stato la tradizionale prova di matematica, sebbene dal gennaio 2015 nel liceo scientifico sia stata introdotta come seconda materia caratterizzante, accanto alla matematica, la fisica. Questa notizia, resa nota il 31 gennaio, è stata accolta dalla maggior parte degli insegnanti e studenti con approvazione e sollievo ma, per alcuni addetti ai lavori e osservatori esterni, è stata accompagnata da un senso di delusione e letta come l’ennesimo segnale di un certo immobilismo e della scarsa disponibilità ai cambiamenti all’interno del mondo scolastico. 



In effetti se si entra nel merito di questa scelta, ci si trova davanti ad una situazione piuttosto articolata e complessa che induce a porre degli interrogativi piuttosto che a trarre delle conclusioni semplicistiche e affrettate.

La prima considerazione riguarda l’organizzazione del quadro orario del liceo scientifico, dove per l’insegnamento della fisica sono previste due ore settimanali nel primo biennio, tre nel secondo biennio e nel quinto anno, a fronte delle cinque ore settimanali nel primo biennio, quattro nel secondo biennio e nel quinto anno che si hanno per la matematica. Quale sorpresa può esserci se gli studenti e gli insegnanti si sentono più sicuri davanti ad una prova di matematica rispetto a una di fisica? 



Si tenga inoltre presente che la prova di matematica e quella di fisica non sono comparabili o concepibili come una alternativa all’altra come avviene, fatte le debite distinzioni, tra la prova di greco e quella di latino nel liceo classico. 

Infatti nel quadro di riferimento della seconda prova di fisica dell’esame di Stato per i licei scientifici, pubblicato alla fine del 2015, tra le competenze generali della disciplina fisica troviamo che i nostri studenti devono:

– essere in grado di esaminare una situazione fisica formulando ipotesi esplicative attraverso modelli o analogie o leggi;
– essere in grado di formalizzare matematicamente un problema fisico e applicare gli strumenti matematici e disciplinari rilevanti per la loro risoluzione;
– essere in grado di interpretare e/o elaborare dati, anche di natura sperimentale, verificandone la pertinenza al modello scelto; 
– essere in grado di descrivere il processo adottato per la soluzione di un problema e di comunicare i risultati ottenuti valutandone la coerenza con la situazione problematica proposta. 



È evidente che si tratta di un profilo molto diverso da quello richiesto ad uno studente per affrontare la prova di matematica.

Tuttavia da questo elenco emerge un riconoscimento del valore formativo proprio della fisica e delle scienze sperimentali che spesso nella pratica didattica viene disatteso o non considerato. La “provocazione” quindi dello scritto di fisica come seconda prova, sebbene non sia ancora stata realizzata, porta con sé una sfida e una proposta.

Per condurre i propri studenti a tali livelli, è necessario insegnare a guardare e a saper porre domande, significa far acquisire una familiarità col fenomeno studiato capace di cogliere gli indizi utili, occorre formare nello studente una sensibilità che si impara guardando come un maestro guarda: ma questo richiede tempo.

Certo insegnare in questo modo apre degli scenari molto affascinanti, ma impone delle scelte che normalmente sono poco praticate nella scuola: ad esempio organizzare lo svolgimento del programma per nuclei tematici fondamentali, decidere di dare un peso diverso ai vari argomenti per dedicare più tempo alla dimensione sperimentale della disciplina oppure condividere idee e lavori con altri colleghi.

Tutto questo, è evidente, non può essere improvvisato e implica una gradualità nella sua realizzazione; ma col tempo che si ha a disposizione si riuscirà a trasmettere agli studenti sufficienti conoscenze e sensibilità per la scienza fisica?