I materiali superconduttori hanno caratteristiche elettriche e magnetiche uniche e sorprendenti che potrebbero rivoluzionare le tecnologie del futuro. La loro diffusione è però ostacolata dalla necessità di doverli raffreddare a temperature molto basse (inferiori a -200 °C). Nonostante la complicazione criogenica, il loro uso è ormai insostituibile nelle apparecchiature biomedicali a risonanza magnetica e nei sistemi magnetici degli acceleratori di particelle e delle macchine per la fusione nucleare. La superconduttività tarda invece ad affermarsi nel settore della produzione, trasporto e uso dell’energia elettrica che rappresenta il naturale ambito applicativo di materiali privi di resistenza elettrica. A distanza di 100 anni dalla loro scoperta, questo articolo ripercorre la storia, le peculiarità e le prospettive della superconduttività. Nella prima parte vengono esaminate le applicazioni biomediche e quella al progetto Large Hadron Collider (LHC) del CERN di Ginevra, nella seconda parte, sul prossimo numero della rivista, si esamineranno una serie di interessanti prospettive di applicazione ai settori dell’energia e dei trasporti.



La storia dei superconduttori inizia cento anni fa, l’8 aprile 1911, quando il fisico olandese Heike Kammerlingh Onnes (1853-1926) osservò che la resistenza elettrica di un campione di mercurio si annullava improvvisamente alla temperatura di 4,2 K (-269 °C) e annotò nel quaderno la seguente frase «Kwik nagenoeg nu» che significa «Mercurio praticamente nullo».
Onnes era stato il primo a produrre, nel suo laboratorio di Leiden, l’elio liquido grazie al quale studiò il comportamento elettrico dei materiali alla bassissime temperature. L’elio liquido è infatti l’unico elemento che rimane liquido fino a temperature prossime allo zero assoluto (-273,15 °C).
Onnes intendeva verificare sperimentalmente che, avvicinandosi allo zero assoluto, la resistenza elettrica dei metalli diminuisce fino a stabilizzarsi a un valore residuo che dipende dal grado di purezza del materiale. Esperimenti effettuati con il platino avevano confermato tale ipotesi e Onnes decise di usare un campione di mercurio facile da purificare mediante distillazione allo stato liquido (solidifica a -39 °C). Questa scelta si rivelò decisiva e in occasione della cerimonia di assegnazione del premio Nobel nel 1913, egli affermò: «il mercurio, alla temperatura di 4,2 K, entra in un nuovo stato che, a causa delle straordinarie caratteristiche elettriche, può essere chiamato stato superconduttivo».



(Heike Kammerlingh Onnes (1853-1926), fisico olandese che scoprì la superconduttività nel 1911; gli fu conferito il premio Nobel per la Fisica nel 1913)


(La storica transizione allo stato superconduttore del mercurio, osservata nel 1911 (da Comm. Phys. Lab. Univ. Leiden, Suppl. 29, 1911))


Negli anni successivi si cercò di stimare l’effettivo valore della resistenza elettrica di un superconduttore misurando il decadimento temporale di una corrente elettrica circolante in un anello superconduttivo; il valore della resistività di un superconduttore risultò se non rigorosamente nullo sicuramente inferiore a 10-23 O.m: per osservare una diminuzione dell’1% della corrente occorrerebbe attendere oltre 2000 anni. L’assenza di resistenza elettrica non è però l’unica caratteristica di un superconduttore. Circa venti anni dopo la scoperta di Onnes, i fisici tedeschi Walther Meissner (1882-1974) e Robert Ochsenfeld (1901-1993), scoprirono che i superconduttori oltre a essere dei conduttori perfetti sono anche dei perfetti materiali diamagnetici in grado di espellere il flusso magnetico dal loro interno quando vengono raffreddati al di sotto della temperatura di transizione, detta temperatura critica.
Era la conferma che la superconduttività rappresentava un nuovo stato della materia. Si dovette attendere il 1957 per avere una teoria microscopica in grado di spiegare il fenomeno della superconduttività. L’ipotesi geniale alla base della teoria BCS, dalle iniziali dei tre fisici americani John Bardeen (1908-1991), Leon N. Cooper (1930-…) e John R. Schrieffer (1931-…), prevede che, per valori di temperatura inferiori a quella critica, gli elettroni formino tra loro delle coppie, dette «coppie di Cooper», in grado di viaggiare nel materiale senza dissipare energia.
L’accoppiamento di due elettroni, vietato dalla repulsione coulombiana, avviene tramite la loro interazione con gli atomi del reticolo: al passaggio del primo elettrone si ha una deformazione del reticolo circostante e un conseguente eccesso di carica positiva che tende ad attrarre un altro elettrone nella stessa regione creando un moto correlato tra i due elettroni. L’inquadramento teorico del fenomeno (premiato con il Nobel per la Fisica nel 1972) dette un notevole impulso alla ricerca di nuovi materiali superconduttori che sorprendentemente si rivelarono più numerosi di quanto si potesse immaginare.
Dalla loro scoperta, la superconduttività è stata osservata in oltre cinquanta elementi della tabella periodica e in migliaia di leghe e composti metallici. La svolta decisiva avviene cinquant’anni fa con la scoperta che le leghe e i composti di niobio sono superconduttori, ma è negli anni ottanta che la superconduttività compie il grande salto in termini di fisica e di future applicazioni.



La scoperta dei superconduttori ad alta temperatura

Nel 1986 Karl A. Müller (1927-…) e Johannes G. Bednorz (1950-…) dei laboratori IBM di Zurigo, scoprirono un composto ceramico a base di ossidi di rame bario e lantanio, in grado di esibire lo stato superconduttivo a una temperatura mai osservata prima, circa 35 K. Tale scoperta (premiata con il Nobel per la Fisica nel 1987, forse il premio Nobel più veloce della fisica) spalancava un nuovo orizzonte alla ricerca di nuovi superconduttori, quello degli ossidi ceramici. Pochi mesi dopo, Paul Chu (1941-…) dell’Università di Houston sostituendo il lantanio con l’ittrio, nel composto di Bednorz e Müller, ottenne un materiale, denominato YBCO, che spostava il confine della superconduttività alla temperatura di 92 K: erano nati i superconduttori ad alta temperatura, HTS (acronimo di High Temperature Superconductors); da allora i superconduttori tradizionali sono chiamati LTS (acronimo di Low Temperature Superconductors). La scoperta provocò un forte interesse in tutta la comunità scientifica e pubblica, rinnovando la speranza nelle affascinanti prospettive applicative della superconduttività. L’entusiasmo generale e il notevole eco da parte della stampa furono tali da far ipotizzare che la scoperta di Chu avrebbe rivoluzionato il mondo, risolto i problemi energetici e cambiato persino la nostra vita. Negli anni successivi, il valore di temperatura critica venne più volte migliorato fino all’attuale record di 135 K di un composto a base di mercurio e tallio. I superconduttori HTS hanno il grande vantaggio di utilizzare come refrigerante l’azoto liquido (77 K), una sostanza facile da produrre, abbondante in natura, economica e già utilizzata in diversi processi industriali.
Non esiste tuttora una teoria in grado di spiegare la superconduttività esibita dai materiali di tipo ceramico dato che la teoria BCS funziona solo per valori di temperatura inferiori a circa 40 K in quanto a temperature superiori l’agitazione termica degli atomi del reticolo rende impossibile la formazione delle coppie di Cooper. La formulazione di una nuova teoria, attesa da venticinque anni, potrebbe indicare la strada per realizzare il materiale che tutti aspettano: il superconduttore a temperatura ambiente.

(Evoluzione storica della temperatura critica dei materiali superconduttori (per convertire la temperatura in gradi Celsius: °C= K -273,15))

 

Le grandezze caratteristiche dei superconduttori

I confini dello stato superconduttivo sono definiti da tre parametri tra loro dipendenti: temperatura critica (Tc), campo magnetico critico (Hc o Hc2) e densità di corrente elettrica critica (Jc). Se uno solo di tali valori viene superato si perde lo stato di superconduzione del materiale. Un valore elevato di Tc è auspicabile in quanto semplifica il raffreddamento del materiale e riduce conseguentemente i costi di esercizio; il valore del campo magnetico critico determina la possibilità di generare campi magnetici elevati; Jc rappresenta il parametro fondamentale per tutte le applicazioni di potenza e garantisce oltre a una efficienza energetica elevata anche dimensioni compatte dei dispositivi superconduttivi.
In base alle loro caratteristiche, i superconduttori sono classificati in due categorie: tipo I e tipo II.
Al tipo I appartengono i materiali elementari scoperti nei primi anni della storia della superconduttività. Hanno valori delle grandezze critiche molto modesti, sono diamagneti perfetti e il loro comportamento è del tutto previsto dalla teoria BCS.
I superconduttori più interessanti per le applicazioni appartengono al tipo II; sono leghe o composti che presentano temperature critiche elevate e la loro transizione dalla fase normale a quella superconduttiva è graduale in quanto presentano due valori di campo magnetico critico Hc1 e Hc2: per valori inferiori ad Hc1 esibiscono l’effetto Meissner, per valori compresi tra Hc1 e Hc2, il campo magnetico penetra nel superconduttore sotto forma di sottili filamenti, detti vortici magnetici, all’interno dei quali il materiale è allo stato normale.
Ogni vortice contiene un quanto magnetico pari a F0=h/2e=2,07.10-15Wb (weber). Aumentando il campo magnetico esterno, aumentano i vortici nel materiale fino a quando, raggiunto il valore Hc2, tutto il materiale sarà occupato dai vortici magnetici e transirà allo stato normale.

(Comportamento di un superconduttore di tipo II immerso in un campo magnetico esterno (adatt. da Physics World). È possibile visualizzare i vortici magnetici decorando la superficie del superconduttore con particelle ferromagnetiche (foto a sinistra, Physics Letters 24A, 526, 1967))

 

 

 

Fili e nastri superconduttori

 

Lord Onnes aveva da subito intuito le possibili applicazioni tecnologiche di questi nuovi materiali: «poiché sono materiali facilmente lavorabili, possiamo immaginare esperimenti elettrici d’ogni genere con apparecchiature prive di resistenza […] e campi magnetici intensi mediante avvolgimenti senza nucleo in ferro».
Per progettare e realizzare apparecchiature o dispositivi superconduttori compatti e ad alta efficienza, è tuttavia necessario disporre di materiali superconduttori sotto forma di fili e cavi flessibili in grado di trasportare densità di correnti elettriche elevate e resistere alle notevoli sollecitazioni elettromagnetiche. I fili superconduttori sono generalmente dei compositi costituiti da sottili filamenti superconduttori incorporati in matrici metalliche al fine di aumentarne la stabilità elettrica e termica. Nelle condizioni tipiche di esercizio, tutta la corrente è trasportata senza perdite dai filamenti superconduttori, mentre in caso di superamento di uno qualsiasi dei valori critici, essa tenderà a trasferirsi nella matrice metallica evitando di danneggiare irreversibilmente i filamenti superconduttori.

(Particolare di un filo superconduttore composito costituito da sottili filamenti superconduttori in NbTi in una matrice di rame (immagine ottenuta mediante microscopia elettronica a scansione, fonte: CERN))


Il primo filo superconduttore commerciale fu prodotto all’inizio degli anni sessanta, permettendo lo sviluppo dei primi elettromagneti superconduttori. I materiali superconduttori più utilizzati a livello industriale rimangono ancora quelli LTS a bassa temperatura critica e in particolare la lega NbTi (Tc=9,8 K) e il composto intermetallico Nb3Sn (Tc=18 K), in grado di trasportare densità di correnti elettriche elevate (> IO4 A/mm2) e con caratteristiche idonee per la realizzazione di elettromagneti per apparecchiature a risonanza magnetica (RM), acceleratori di particelle e impianti per la fusione nucleare.

(Sezione di un filo superconduttore composito in NbTi con matrice in rame per RM (Brucker))

 

(Sezione del cavo in Nb3Sn per la bobina toroidale del reattore a fusione nucleare ITER (ENEA/Tratos))

 

(Nastri HTS in Bi-2223 (sopra, IFW Dresda) e Y-123 (sotto, American Superconductors))

 

Una significativa attività di sviluppo internazionale ha consentito di mettere a punto, negli ultimi anni, processi idonei alla fabbricazione dei materiali ceramici ad alta temperatura sotto forma di fili e/o nastri compositi con matrice metallica. I composti HTS più interessanti per le applicazioni sono ossidi a base di Bi-Sr-Ca-Cu (BSCCO), con matrice d’argento nelle varianti stechiometriche «2223» (Tc=110 K) e «2212» (Tc=85 K) e l’YBa2Cu3O7 (YBCO, Tc=92 K) depositato sotto forma di film sottile su nastri metallici. Accanto ad essi sta dimostrando buone potenzialità il boruro di magnesio (MgB2), la cui temperatura critica (40 K) risulta intermedia rispetto ai materiali LTS e HTS.
L’Italia è particolarmente attiva sia nella fabbricazione di conduttori in MgB2 (Columbus Superconductors) che nello sviluppo di componenti massivi quali tubi, anelli e barre in MgB2 (Edison). La sempre maggiore diffusione di componenti superconduttori richiede inoltre la definizione di norme internazionali riguardanti le metodologie di misura e le specifiche di prova di fili e di nastri superconduttori. Tale attività normativa è svolta, a livello nazionale, dal Comitato Tecnico CT 90 «Superconduttività» del CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano).

(Valori di densità di corrente critica Jc (B) dei principali superconduttori LTS e HTS e settori di applicazione)

 

 

 

Applicazioni attuali della superconduttività

 

Come già accennato, le potenzialità applicative della superconduttività sono ostacolate dalla necessità di dover raffreddare le apparecchiature a temperature molto basse (da -200 C a -270 C). Nonostante ciò, le tecnologie superconduttive si sono già affermate in alcuni importanti settori (biomedicale e fisica delle alte energie) grazie alle migliori prestazioni tecniche rispetto alle tecnologie tradizionali. In giro per il mondo sono inoltre installate un gran numero di apparecchiature sperimentali che permetteranno di verificarne il grado di maturità e competitività e il rispetto degli standard industriali richiesti riguardanti costi, prestazioni e affidabilità. Come evidenziato in seguito, i vantaggi derivanti dall’uso di questi materiali straordinari non si limitano al miglioramento dell’efficienza energetica e i progettisti sono attratti sia dalla possibilità di poter ridurre significativamente le dimensioni e i pesi delle apparecchiature sia dalle nuove funzionalità non ottenibili con i materiali tradizionali.

 

Elettromagneti superconduttori

Gli elettromagneti sono generalmente degli avvolgimenti in cui fluisce una corrente elettrica che produce un campo magnetico. Il campo magnetico generato dipende dal numero di spire dell’avvolgimento e dall’intensità della corrente elettrica. Nel caso in cui siano richiesti alti campi magnetici su volumi significativi, l’uso di elettromagneti in rame comporta potenze di decine o centinaia di megawatt (MW) abbinati a sistemi di raffreddamento per evitare un riscaldamento eccessivo. L’introduzione nell’avvolgimento di un nucleo ferromagnetico permetterebbe il rafforzamento del campo magnetico, ma non oltre 2 tesla (T). Si tratta in ogni caso di sistemi pesanti, ingombranti e dispendiosi dal punto di vista energetico. L’uso di fili superconduttori permette la realizzazione di elettromagneti estremamente compatti, leggeri e potenti (superiori a 10 T) per la loro abilità di trasportare correnti 100-1000 volte più intense dei fili in rame, con un consumo di energia molto ridotto per mantenere le basse temperature. In alcune applicazioni (per esempio nei sistemi a risonanza magnetica) una volta iniettata la corrente, è possibile scollegare il generatore e collegare tra loro le estremità dell’avvolgimento: la corrente continuerà a fluire indefinitamente senza nessun decadimento in una sorta di moto perpetuo. Gli elettromagneti superconduttori sono quindi la soluzione ideale per diverse apparecchiature tra cui: sistemi biomedicali a Risonanza Magnetica (RM), acceleratori e rivelatori di particelle, reattori per la fusione nucleare, treni a levitazione magnetica.

 

Apparecchiature biomedicali a Risonanza Magnetica

I sistemi di diagnostica che sfruttano la risonanza magnetica hanno assunto una grande importanza per il riconoscimento di malattie del sistema nervoso, delle ossa e di organi interni: non impiegano radiazioni ionizzanti, sono sensibili ai tessuti molli e sono in grado di fornire informazioni su diverse caratteristiche delle molecole organiche. L’impiego di magneti superconduttori ha permesso di progettare e realizzare sistemi molto compatti da installare negli ospedali con un notevole risparmio dei costi operativi e una migliore risoluzione delle immagini tomografiche grazie al valore elevato, alla stabilità e all’omogeneità del campo magnetico. Durante l’esame RM, il paziente è posto all’interno di un magnete superconduttore, il cui campo magnetico induce l’allineamento dei dipoli magnetici nucleari (in particolare i nuclei dell’idrogeno contenuti nell’acqua e nei grassi) con un moto di precessione degli spin attorno alla direzione del campo magnetico. A questo punto, applicando un campo elettromagnetico (radiofrequenza) oscillante alla stessa frequenza del moto di precessione, detta frequenza di Larmor, si ottiene la condizione di risonanza: i nuclei assorbono la radiazione e subiscono una deflessione. Interrompendo l’emissione della radiofrequenza, i nuclei ritornano ad allinearsi lungo le linee di forza del campo magnetico e la variazione di flusso magnetico corrispondente viene misurata da bobine riceventi, elaborata da un computer e trasformata in immagini estremamente dettagliate. La maggior parte degli scanner a risonanza magnetica sono equipaggiati con magneti superconduttori in NbTi, operanti tra 0,5 T e 2 T, raffreddati con elio liquido. Con un fatturato mondiale superiore a quattro miliardi di euro all’anno, la vendita di sistemi biomedicali RM rappresenta l’80% dei ricavi complessivi delle tecnologie superconduttive. Molto interessante è il sistema a risonanza magnetica prodotto da Paramed Medical Systems che utilizza fili in MgB2. Questo sistema permette di eliminare la sensazione di claustrofobia grazie alla configurazione degli avvolgimenti superconduttivi a «magnete aperto».

 

(Sistemi RM con elettromagnete superconduttivo in NbTi (fonte: Philips) e in MgB2 (fonte: Paramed))

 

 

Acceleratore LHC

I superconduttori sono protagonisti assoluti nella realizzazione di acceleratori di particelle per la fisica delle alte energie. Nel 1983 al Fermilab di Chicago (USA), entrò in funzione Tevatron, il primo acceleratore superconduttore con energia del fascio di 1 teraelettronvolt (TeV). Nel 2008 è entrato in funzione il Large Hadron Collider (LHC) presso il CERN di Ginevra. Si tratta del più potente acceleratore di particelle situato in un tunnel di 27 km di circonferenza, 100 metri sotto il livello del suolo al confine tra Francia e Svizzera. In LHC, le particelle vengono accelerate, mediante cavità in cui oscilla un campo elettromagnetico con frequenze radio (400 MHz), da un valore minimo di iniezione di 0,5 TeV al valore massimo di 7 TeV in circa 30 minuti. Raggiunta la massima energia i fasci collidono frontalmente con energie di 14 TeV nel centro di massa per circa 12 ore, un valore mai raggiunto fino ad ora.
Benché l’energia sia fornita dal sistema a radiofrequenza il limite in energia delle particelle di un acceleratore circolare è dato dalla rigidità magnetica; nel caso relativistico (e LHC lo è totalmente, con γ da 450 a 7000) la relazione tra energia dei fasci e caratteristiche dell’acceleratore è: E ≈ 0,3 B.R , dove l’energia E è misurata in TeV, il campo magnetico B in tesla e il raggio di curvatura R della traiettoria delle particelle in chilometri. LHC ha ereditato il tunnel dal progetto LEP (1), con un raggio di curvatura di circa 3 km, e grazie ai magneti superconduttori da 8,3 T può raggiungere 7 TeV.

 

Attualmente l’energia del fascio è limitata a 3,5 TeV per problemi legati alle saldature delle connessioni tra i dipoli superconduttori. La configurazione magnetica utilizzata è quella a dipolo puro, cioè di un campo trasversale (rispetto alla traiettoria delle particelle). Il dipolo di LHC è un «due-in-uno» cioè alloggia due magneti in un solo insieme, detta massa fredda. Tale configurazione ha permesso l’uso di un tunnel più compatto. È realizzato con conduttori di NbTi e opera in elio liquido superfluido alla temperatura di 1,9 K. Tale temperatura permette di ottenere densità di corrente, e di conseguenza campi magnetici, più elevati. Le correnti sono dell’ordine di 10-15 kA, corrispondenti a densità di corrente di 400 A/mm2 (nelle bobine in rame i valori massimi sono dell’ordine di 10 A/mm2). Oltre 2/3 del tunnel sono occupati dai 1232 dipoli, che curvano le particelle mantenendole in orbita circolare; sono lunghi 15 metri e hanno una massa di oltre 30 tonnellate l’uno. Oltre 4 km sono allocati per i magneti quadrupoli, necessari per focalizzare i fasci e combattere la naturale divergenza dei fasci, e per i multipoli di ordine superiore: i sestupoli che correggono le aberrazioni cromatiche (la dipendenza della forza di focalizzazione dall’energia delle particelle, che non è esattamente uguale per tutte), gli ottupoli, decapoli e dodecapoli.
Se i magneti fossero stati realizzati in rame, sarebbe necessario costruire, per ottenere gli stessi risultati, un anello di 120 km con un consumo di elettricità 40 volte superiore.
Le forze elettromagnetiche in gioco sono estremamente elevate e richiedono soluzioni innovative dal punto di vista ingegneristico e materiali speciali (acciai austenitici). Il campo magnetico esercita sulle bobine una forza di circa 3 MN (300 tonnellate) per metro di lunghezza!
Quando si perde lo stato superconduttivo, per una perturbazione, l’enorme energia magnetica immagazzinata (7,5 MJ per ogni dipolo, circa 9 GJ in tutto l’anello) deve essere scaricata in modo controllato per evitare danni severi. In effetti, l’incidente del 19 settembre 2009, in cui a causa di un guasto a un’interconnessione da 13 kA si sono danneggiati 53 magneti superconduttori, è stato un caso da manuale di avaria in cui, per vari motivi, non si è controllata l’energia magnetica.

(La linea di magneti dipoli in blu che riempiono il tunnel. In primo piano si vede una interconnessione elettrica tra i magneti, simile a quella che causò un grave incidente nel 2008)

 

LHC utilizza anche superconduttori HTS (nastri BSCCO) per realizzare i passanti di corrente che assicurano il collegamento elettrico fra le alimentazioni elettriche (a temperatura ambiente) e i magneti superconduttori (a 1,9 K). Si tratta della più importante applicazione su larga scala dei materiali superconduttori HTS. Sono stati impiegate alcune decine di chilometri di nastro in BSCCO con matrice in lega argento-oro per realizzare i passanti di corrente HTS.
LHC, sta ora funzionando con un’energia pari a circa la metà del suo valore di progetto e si prevede che possa raggiungere i pieni valori nominali di progetto nel 2013-14. È previsto un upgrade intorno al 2020 per aumentare il numero di collisioni di un fattore cinque rispetto al progetto attuale. Questo upgrade si basa su nuovi magneti che utilizzano il composto intermetallico superconduttore, Nb3Sn, che ha proprietà superiori al NbTi (ma di più difficile tecnologia) e che permette di ottenere un campo magnetico di 13 T, ovvero 60% in più dell’attuale LHC. Per l’upgrade saranno necessari circa 50 di questi magneti ad alto campo. Inoltre, è prevista l’utilizzazione di cavi superconduttori da 100-200 kA per collegare gli alimentatori (che saranno posti molto distanti dall’anello, addirittura in superficie) ai magneti. Questi cavi faranno uso di nastri e/o fili superconduttori HTS, tipicamente YBCO o MgB2 che il CERN sta sviluppando con alcune ditte anche italiane.
Infine, sono iniziati gli studi per un rifacimento di LHC intorno al 2035 con magneti ad altissimo campo: 20 T. Cambiando tutti i 1700 grandi magneti di cui è composto LHC si potrebbero ottenere collisioni a 33 TeV nel centro di massa, sempre riutilizzando il tunnel esistente, con uno sfruttamento massimo dell’infrastruttura e delle possibilità offerte dalla superconduttività.

(Corrente critica (mediata su tutto il filo o nastro composito) dei superconduttori LTS (Nb-Ti e Nb3Sn) e HTS (YBCO e Bi-2212) per l’LHC attuale e futuro)

 

 

 


Sergio Zannella
(Ricerca e Sviluppo, Edison S.p.A.;
l’autore è anche Presidente del comitato tecnico CT 90 Superconduttività del CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) e membro del Board internazionale di ESAS (European Society for Applied Superconductivity)) 

 

Lucio Rossi
(Professore presso l’Università degli Studi di Milano – Dal 2001 dirige il Gruppo Magneti Superconduttori per il progetto LHC del CERN di Ginevra)


NOTE:

    1. Il LEP (Large Electron Positron Collider), messo in funzione nel 1989 e dismesso nel 2000, avrebbe potuto essere più piccolo per produrre i (50+50) GeV di collisione: infatti esisteva una versione di circa 13 km di lunghezza. Fu costruito lungo 26.7 km sia per permettere un upgrade a (100+100) GeV, che fu realizzato, sia in vista di LHC. Gli Americani spingevano allora (fino al 1993) per un Super Superconducting Collider adronico di (20+20) TeV. SE il tunnel del LEP fosse stato «piccolo», LHC non sarebbe mai stato competitivo con SSC e non avrebbe «vinto» la competizione con il gigante americano

       

       

      Indicazioni sitografiche:

      1. Numero speciale di Physics World per celebrare i 100 anni della superconduttività http://physicsworld.com/blog/2011/04/celebrate_the_centenary_of_sup.html
      2. European Society for Applied Superconductivity: http://www.esas.org/
      3. Consortium of European Companies determined to use superconductivity: http://www.conectus.org/
      4. The IEEE Council on SuperConductivity: http://www.ewh.ieee.org/tc/csc/
      5. A Teacher’s Guide to Superconductivity: http://www.ornl.gov/info/reports/m/ornlm3063r1/contents.html
      6. Superconductor information for beginners: http://www.superconductors.org/
      7. Progetto ITER: http://www.iter.org
      8. Progetto LHC: http://lhc.web.cern.ch/lhc/

       

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      © Pubblicato sul n° 42 di Emmeciquadro

       

       

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