“L’Italia ha preso l’impegno 20-20-20 con l’Europa, e lo conferma” . Lo ha detto il ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera, rispondendo a una domanda al Festival dell’economia di Trento, riferendosi alla strategia europea di riduzione del 20% entro il 2020 delle emissioni più dannose per l’ambiente. “Abbiamo deciso – ha aggiunto Passera – di proporci di superare questo 20% di produzione di energia elettrica per via di rinnovabili, per arrivare al 32-33%”. E il tema dell’ambiente e delle energie “verdi” torna a riproporsi proprio in questi giorni: gli Stati Generali delle Rinnovabili e dell’Efficienza Energetica, unione che riunisce una ventina di associazioni che si occupano di rinnovabili, hanno infatti inviato un appello congiunto al Governo, contenente una serie di proposte per uscire dall’attuale instabilità del quadro normativo. Un manifesto in più punti, che vanno dai ritardi accumulati nei decreti, sino alle proroghe dei meccanismi di incentivazione per gli impianti emiliani colpiti dal terremoto, sino al controverso taglio degli incentivi sulle energie rinnovabili: chiedono, dunque, che venga resa pubblica la Strategie Energetica Nazionale. Abbiamo sentito per IlSussidiario.net Marco Pigni, direttore di Aper, Associazione Produttori Energie Rinnovabili.
Perchè si registrano ritardi sui decreti riguardanti le rinnovabili?
C’è stato un cambio dal Governo politico a quello tecnico di Monti: nove mesi, che è veramente tanto tempo, ma non è cambiato quasi nulla. I decreti servono per dare certezza al settore dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, a quello dell’energia termica e dell’efficienza energetica oltre che della produzione di rinnovabili nei trasporti. Senza decreti si fermano gli investimenti, la crescita occupazionale che è sempre salita, nonostante la crisi degli ultimi tre anni: il rischio è che non solo gli imprenditori smettano di investire, ma, addirittura, disinvestano e si inverta il trend che è sempre stato positivo anche in questo primo trimestre del 2012. Come riporta l’Ufficio Studi di Confartigianato, infatti, si è registrato un incremento notevolissimo delle aziende solo nel settore rinnovabili: 37% in più rispetto all’anno scorso. Restiamo fiduciosi che i decreti escano, ma con le correzioni che abbiamo chiesto che, speriamo, portino maggiore certezza e semplificazioni a livello procedurale.
Quali sono le vostre proposte?
Abbiamo proposto di prorogare l’entrata in vigore dell’efficacia dei nuovi incentivi, poiché è stato fatto un taglio rispetto ai precedenti, nello stesso periodo in cui si è registrato un ritardo. Di fatto, i decreti dovevano uscire nel settembre 2011 e sinora, giugno 2012, non si è visto nulla. La nostra proposta è che gli incentivi escano, quindi, con una dilazione di nove mesi rispetto al primo gennaio 2013, che sarebbe la data imposta per legge dal Decreto principale. Mesi preziosi per recuperare il tempo perduto e per poter sviluppare concretamente tutti i progetti che, a causa dell’incertezza, hanno avuto uno stop. Abbiamo chiesto, inoltre, una semplificazione delle procedure per ottenere gli incentivi, evitando, ad esempio, i registri per gli impianti piccoli e utilizzando il modello tedesco.
Di cosa si tratta?
E’ un modello basato sull’automatica riduzione delle tariffe incentivanti: in base a quale obiettivo occorre raggiungere, si riduce automaticamente l’incentivazione senza dover ricorrere a registri o inutili graduatorie registrate dal Gse, il Gestore dei Servizi Energentici.
Le fonti rinnovabili vengono viste come un investimento troppo oneroso. Perchè, dunque, investire nelle rinnovabili?
Perchè sono un intervento a livello multiplo. Alcuni impianti eolici sopra il megawatt di energia sono sicuramente investimenti importanti quindi abbastanza onerosi, si parla di circa tre milioni di euro a impianto o a centrale. Però esistono anche impianti per l’auto-consumo: pannelli fotovoltaici sul tetto, da tre kilowatt o l’eolico da poche decine di kilowatt; sono impianti alla portata del cittadino e del consumatore dove c’è una convenienza per quest’ultimo. Lo Stato dovrebbe continuare a credere nel settore e all’efficienza energetica perchè ogni kilowattora che si strappa alla generazione fossile permette di ridurre emissioni in atmosfera e dipendenza dall’estero per quanto riguarda gli approvvigionamenti da gas o petrolio, i cui prezzi crescono a livelli esponenziali soprattutto nei periodi di crisi, come quello attuale. Questo significa che ci sono più soldi per politiche industriali e welfare e conviene sia a medio che a lungo termine.
Come si colloca l’Italia rispetto ai agli altri paesi europei. Siamo davvero così indietro?
No, affatto. L’Italia ha avuto un’accelerazione importante negli ultimi dieci anni, nonostante le incoerenze e gli “stop and go” normativi e burocratici e la strategia energetica incompleta, a prescindere dalla formazione politica dei governi. Ci sono stati, comunque, dei percorsi coerenti dovuti alle normative europee e che ci hanno tenuti in carreggiata,: ad esempio, i famosi “Obiettivi 20-20-20”, il 20% di risparmio dell’energia elettrica sui consumi finali, il 20% delle rinnovabili coperte sul totale di energia consumata e ridurre i gas serra del 20%. Queste direttive ci hanno obbligatoriamente indirizzato sulla strada giusta. In dieci anni si sono raddoppiati i kilowattora prodotti da fonti rinnovabili, portandoci a 85 miliardi di kilowattora prodotti dai 50 del 2002. Abbiamo, inoltre, già realizzato quasi 100mila nuove imprese che hanno creato occupazione. Siamo a metà classifica, se vogliamo quantificare dove si colloca il nostro Paese rispetto alle altre nazioni europee: sul fotovoltaico siamo i primi in Europa, vale a dire primo mercato mondiale nel 2011, mentre nell’eolico e nelle bioenergie siamo nei primi cinque, sempre nell’Ue. Nella geotermia possiamo fare di più, ma in ogni caso già ora siamo sul podio. Siamo ben collocati e non possiamo, quindi, scomparire dalla futura politica industriale.
(Federica Ghizzardi)