Quando nel 2000 l’Eta assassinò l’imprenditore basco (membro del Pvn) José María Korta, l’allora deputato generale di Guipúzcoa, Román Sudupe, piangeva sconsolato la morte del suo amico senza trovare spiegazioni alla tragedia. «Hanno ucciso un vero nazionalista basco», arrivò a dire il dirigente del Pnv (Partito nazionale basco). Mercoledì, quando il Presidente del Governo basco Ibarretxe ha condannato l’ultimo omicidio, ha voluto sottolineare di Ignacio Uría, affiliato al Pnv, che era «un figlio di questo popolo».
Fare distinzioni tra le vittime di una banda sanguinaria non ha alcun senso. Il valore di una vita stroncata in modo così vile non può essere paragonato a un altro fatto simile. Può essere invece del tutto pertinente trarre letture diverse, che è possibile fare al di là dell’azione barbara.
L’attentato contro Ignacio Uría ci costringe a volgere lo sguardo alle tre ultime decadi del secolo scorso e ci fa recuperare il ricordo dei Paesi baschi e della Spagna che decisero di arrendersi davanti al male.
Il blocco definitivo, da parte del primo governo di Felipe González, nella costruzione della centrale nucleare di Lemóniz dopo che l’Eta aveva assassinato cinque persone che lavoravano al progetto, si può individuare come il primo momento in cui gli assassini constatano la debolezza dei responsabili di questa nazione.
Già negli anni Novanta, fu la giunta di Guipúzcoa, governata dall’Ea (Solidarietà basca, formazione nazionalista), a cedere dopo numerosi attentati alle minacce che chiedevano di cambiare il tracciato originale dell’autostrada di Leizarán. I Paesi baschi subivano così due importanti rovesci: la perdita di qualità di due opere di primo livello e, soprattutto, la percezione che da allora sarebbe stata l’Eta a dare il ritmo alla crescita delle infrastrutture.
Quelle due sconfitte della democrazia, benedette dai nostri politici, furono ratificate da una società silente e mesta che si è mostrata incapace e indolente nel far fronte alle minacce dei terroristi.
Per questo, l’elemento più originale che in questa occasione ci resta della morte dell’imprenditore
Uría è il lavoro da fare, che torna a farsi presente e che il popolo basco non può lasciar da parte. Recuperare le redini della democrazia, sostenere il diritto alla crescita, dimostrare che il bene è più forte del suo antagonista.
La costruzione della Y basca (la TAV basca in cui era impegnata l’impresa di proprietà di Uría) ha avuto la sua prima vittima, ed è in memoria di Ignacio Uría, e delle vittime precedenti, che una società come quella basca ha l’obbligo morale di dimostrare che tanti anni di governo nazionalista non possono annullare per sempre un popolo. Una nuova vittoria dell’Eta risulterebbe molto difficile da digerire ma, se possibile, ancor più complicata da comprendere.