È durata circa mezz’ora la votazione per eleggere il nuovo presidente del Libano, nel Parlamento di Beirut. È stato scelto il generale Michel Suleiman (118 voti su 127), unico candidato, alla presenza di circa 200 ministri e dignitari arabi e occidentali, tra cui il ministro degli Esteri Franco Frattini e l’alto rappresentante per la politica estera della Ue Javier Solana.



L’elezione mette fine a 18 mesi di stallo e crisi politica che hanno portato il Paese sull’orlo di una nuova guerra civile. All’inizio del mese oltre 60 persone erano state uccise in scontri armati fra miliziani dell’opposizione guidata dal movimento sciita filo-iraniano Hezbollah e sostenitori del governo del premier Fuad Siniora, sostenuto dall’Occidente. La settimana scorsa i due campi avversi hanno raggiunto in Qatar un accordo politico per l’elezione del presidente; la formazione di un governo di unità nazionale; e la stesura di una nuova legge elettorale. La carica di presidente era vacante da novembre e l’elezione è stata rinviata per 19 volte.

Il ministro Frattini ha espresso l’auspicio di una stabilizzazione della situazione e ha assicurato l’appoggio italiano al consolidamento della democrazia libanese. «L’elezione di Suleiman è la giusta via verso il consolidamento della situazione» ha detto il responsabile della Farnesina, aggiungendo che «l’Italia continuerà a svolgere il suo ruolo» anche attraverso il contingente schierato nell’ambito della missione Unifil.



Il primo ministro libanese, Fouad Sinora, che si dimetterà una volta insediatosi Suleiman, ha rivendicato i meriti del suo esecutivo, in stallo da ben diciotto mesi: «È stata la miglior esperienza della mia vita. Abbiamo difeso l’indipendenza del Libano», ha detto il primo ministro, asceso al potere nel 2006 sulla spinta delle manifestazioni popolari che per settimane erano seguite alla morte di Rafik Hariri, ucciso in un attentato l’anno prima. Europa e Stati Uniti guardano già al suo sostituto: Saad Hariri, figlio di Rafik, e leader della maggioranza antisiriana. Damasco oggi è più impegnata a trovare un dialogo con Israele che a districarsi nel ginepraio libanese. Ma c’è una presenza più inquietante nello scenario mediorientale: l’Iran di Ahmadinejad. La prepotenza di Hezbollah dice che adesso è con Teheran che si devono fare i conti.

Le prime parole del Presidente – «Il Paese inizia a risvegliarsi dalla distruzione, chiedo a tutti voi, forze politiche e cittadini, di iniziare una nuova fase, un progetto nazionale con mentalità civilizzatrice», queste le prime parole da presidente di Suleiman
Rivolgendosi a Hezbollah – e dopo aver osservato un minuto di silenzio per ricordare i “martiri libanesi” – Suleiman ha osservato come «l’emergere della resistenza» fosse «necessario perché lo Stato andava disintegrandosi». Non solo, ma «le Sheba Farms sono ancora sotto occupazione israeliana, l’occupazione continua e possiamo ancora beneficiare dalla resistenza»; ma, ha avvertito l’ex generale, «non si può sprecare la forza della resistenza nelle lotte interne».
Insomma, un riconoscimento dello status di Hezbollah come forza militare in chiave anti-israeliana, ma non come strumento di lotta politica interna; Suleiman ha infine lanciato un avvertimento anche a Siria ed Iran: «Non possiamo permettere che qualcuno utilizzi la santa causa palestinese per i propri fini».


Chi è il nuovo presidente – Michel Suleiman, 59 anni, da oggi dodicesimo presidente del Libano, ha avuto il pregio di conservare l’unità delle truppe e tenerle lontano dalle lotte di potere che negli ultimi anni hanno sconvolto il Paese dei Cedri.
Suleiman era stato nominato comandante in capo delle Forze Armate nel 1998, mentre il Libano era ancora sotto tutela siriana. In circa dieci anni, è sempre stato garante dell’indipendenza dell’esercito. Anche nei recenti scontri di inizio maggio, costati la vita a 65 persone, il generale ha mantenuto una posizione di basso profilo senza prendere apertamente posizione per l’uno o l’altro schieramento: «Coinvolgere l’esercito nei disordini interni servirebbe soltanto agli interessi d’Israele».
Il nuovo presidente appartiene alla comunità cristiana maronita, alla quale secondo la Costituzione del Paese spetta la carica di presidente della Repubblica. Ma il generale ritiene che la religione debba restare al di fuori della politica. «Una vera educazione cristiana insegna il rispetto della nazione, della democrazia, della libertà, di tutte le religioni e delle comunità«, osservava tempo fa Suleiman.
Nato il 21 novembre 1948, originario della città d’Amchit nel nord del Libano, Suleiman è figlio di un membro delle forze di sicurezza interna (FSI). Si arruolò nell’esercito nel 1967, frequentò la Scuola militare di Beirut nel 1970 ed è laureato in scienze politiche e amministrative; parla correntemente il francese e l’inglese. Sportivo, ama il nuoto e il tennis. E’ sposato e padre di tre figli.
Nonostante molti lo accusino di aver protetto le azioni di Hezbollah, Suleiman si è guadagnato il rispetto dei libanesi in occasione delle manifestazioni organizzate dopo l’assassinio dell’ex primo ministro, Rafic Hariri, il 14 febbraio 2005, attribuito a Damasco dalla maggioranza antisiriana. Il generale allora si rifiutò di impiegare l’esercito per reprimere le manifestazioni, con cui i libanesi hanno costretto alla fine la Siria a ritirarsi dopo 29 anni di presenza militare nel Paese dei Cedri.